11/10/11

Euro 2012, nazionali qualificate

Con le gare di stasera si sono decise tutte o quasi le nazionali qualificate ad Euro 2012. Ancora 4 mancano all'appello, che verranno fuori dagli spareggi.

Da diverse giornate già qualificata l'Italia: la cura Prandelli funziona e gli azzurri si sono qualificati con largo anticipo. Meglio di noi la Germania schiacciasassi, con 10 vittorie su 10 gare; la Turchia vince e supera il Belgio, accedendo agli spareggi. Qualificata anche  l'Olanda, con 9 vittorie, davanti alla Svezia che è la miglior seconda, quindi è qualificata direttamente all'europeo. Anche Inghilterra qualificata da alcune giornate, con 5 vittorie e 3 pareggi, dietro ad un sorprendente Montenegro, che ha strappato due pari agli inglesi e si guadagna i play off. Spagna schiacciasassi, stravince il girone alle spalle del vuoto, dato che la Repubblica Ceca, seconda, dista 11 punti.

Ma per altre nazionali, il traguardo non è stato assolutamente facile: in diversi gironi tutto era in bilico fino all'ultima giornata. Nel gruppo B la Russia vince il girone, rendendo vana la vittoria dell'Irlanda che ora dovrà passare per gli spareggi. Stasera c'era anche Danimarca Portogallo, spareggio per il primo posto. Ai portoghesi bastava il pareggio, ma la Danimarca vince. Ora il Portogallo dovrà affrontare lo spareggio. Francia che rischiava grosso con la Bosnia, a pochi minuti dalla fine agguanta il pari per 1-1 La Grecia, vincendo fuori casa contro la Georgia, accede agli Europei: Croazia seconda, andrà agli spareggi.

Fotografia - What is That? - Bokeh



Carissimi lettori, bentornati sulla rubrica fotografica di Frews.
Oggi torniamo a scuola. Tranquilli, non scappate urlando facendo preoccupare le persone che avete attorno. Non è niente di grave! La nostra scuola non ha voti, pagelle, note o interrogazioni...
Siete su What Is That?, la nostra personalissima sezione di insegnamento dove tutti ammettiamo la nostra "beata ignoranza" (di chi legge, ma sopratutto di chi vi scrive) e insieme cerchiamo di farci un po' di spazio attraverso la nomenclatura fotografica. Mettetevi comodi quindi, che oggi si parla di Bokeh.



Molti di voi, alla lettura dell'argomento odierno, avranno strabuzzato gli occhi. Altri, saranno ancora fermi alla riga precedente e leggeranno queste parole solo tra qualche minuto, ancora persi nel tentativo di pronunciare quella strana parola. Tutta quella parte di voi che ho appena descritto, con tutta probabilità a fine post se ne uscirà con un bel: "Eh! Potevi dirlo subito che parlavi di quella roba lì! senza sti paroloni!".
Perchè? Perchè a discapito del nome che pare tanto complicato, non stiamo parlando d'altro che di un semplicissimo effetto fotografico che tutti, principianti e esperti, possiamo utilizzare per rendere unici alcuni nostri scatti. Addirittura, molti di noi lo han già utilizzato senza rendersene nemmeno conto...


Andiamo però con ordine. Partiamo proprio dal termine tanto ostico. La parola "Bokeh" deriva dalla lingua giapponese, nello specifico dalla parola "Boke", il cui significato viene identificato in sfocatura o più in generale in confusione mentale. Assimilato dal gergo fotografico a fine anni '90, il termine indica delle zone dell'immagine fotografica volutamente non messe a fuoco che contribuiscono ad esaltare e arricchire l'immagine stessa. Si parla pertanto di resa dello sfuocato e di contributo delle zone fuori fuoco.


Come potete vedere dagli esempi, che rendono sicuramente meglio di molte parole, si tratta di immagini che molto spesso vediamo e magari realizziamo inconsciamente. E' importante però conoscere questo tipo di tecnica e sopratutto come si realizza per poterla poi impiegare al momento giusto. E allora, come si realizza?
 

Se parliamo di messa a fuoco, inevitabilmente ci addentriamo nel concetto di profondità di campo, ossia la parte anteriore e posteriore al soggetto principale dell'immagine che risulta nitida (per capirci, a fuoco). Il bokeh infatti viene realizzato tramite un basso rapporto focale, cioè con una profondità di campo ridotta.
Il rapporto focale, come sapete, dipende essenzialmente dall'apertura del diaframma. Più chiuso sarà il diaframma, maggiore sarà la profondità di campo. Pertanto, per realizzare i nostri bokeh dobbiamo necessariamente utilizzare una ampia apertura del diaframma (che per chi non lo sapesse è indicato con una lettera F sulla vostra macchina fotografica: l'ampiezza è indicata da un numero basso: F 4 o 5).
Sono consigliati preferibilmente obiettivi tele e mediotele 85-100 mm.



Le moderne reflex digitali ci forniscono un ulteriore strumento per realizzare questo tipo di effetto. Smanettando con la vostra macchina, vi sarete di certo imbattuti nella possibilità di settaggio del puntatore di messa a fuoco. Le possibilità, solitamente, sono: punto di messa a fuoco singolo, multiplo e con effetto 3D. Il punto di messa a fuoco singolo, ci aiuta nel rendere nitido un singolo dettaglio, lasciando sfocato il resto dell'immagine.



Ma in quali casi è consigliato utilizzare questa tecnica?
Beh, non esiste una regola assoluta. Sta alla vostra sensibilità e al vostro stile trovare la giusta collocazione per questo particolarissimo effetto. Personalmente, lo utilizzo spesso per concentrare l'attenzione di chi guarda lo scatto su un singolo dettaglio, lasciando che lo sfondo sfocato funga da cornice quasi surreale. Oppure è proprio lo sfondo sfocato ad assumere, per assurdo il ruolo di protagonista. Tutto dipende da come interpretate la tecnica.

E per oggi la lezione è finita. Compiti per casa? Certo! Provate questa nuova tecnica e mandatemi i vostri scatti al solito indirizzo mail per partecipare alla Photo Of The Week o anche solo semplicemente per qualche consiglio o scambio di idee. Buona fotografia a tutti!


Avete qualche richiesta particolare o un dubbio amletico che vi assale? Mandate i vostri questiti via mail a servlad90@yahoo.it 
Sarà per noi un piacere esaudire ogni vostra richiesta!
  

DAT e Senato




Secondo i promotori  del diritto all'autodeterminazione la legge sulle DAT attualmente in discussione al senato sarebbe palesemente ideologica "perchè contro la volontà dei pazienti e dei medici" (Livia Turco). Non solo ma a parere di altri "oggetto" di questo disegno di legge sarebbe "la continuazione non voluta di una persistenza vegetativa senza speranza"..."qui è il punto vero, e" con esso "la vera necessità mancata di un'alleanza fra concezioni e speranze diverse" (Adriano Sofri).
Intanto, chi l'ha detto che un paziente in stato di continuativa non consapevolezza, si trovi in una condizione "persistente" e senza speranza?  Più volte infatti si è visto che certi pazienti, apparentemente irrecuperabili, sono venuti fuori da stati di totale assenza percettiva. Come se, pur non avendo potuto partecipare alla vita di relazione, avessero continuato invece a possedere una coscienza personale. Infatti sfogliando alcune interviste pubblicate sui giornali, si legge quanto questi pazienti, fossero stati in grado di percepire in modo nitido il mondo circostante e quanto abbiano sofferto nell'impossibilità di comunicare la loro presenza vitale. E la cosa è ancor più vera se si tiene presente che sotto il profilo scientifico, non si hanno notizie  che stabiliscono il contrario. Dunque prima di negare la presenza di personalità, in un essere umano che non riesce a manifestare se stesso, bisognerebbe almeno chiedersi fino a che punto quella precisa irreversibilità sia o meno effettiva e non riguardi invece gli stati di morte cerebrale, in cui il cervello è completamente inattivo. Proprio perchè il paziente non c'è più, nel senso che è deceduto.
Ed eccoci arrivati al tema centrale del presente articolo: la legge sulle DAT. Che cosa ci dice esattamente, quale interesse tutela e soprattutto a chi è rivolta?
Come ha giustamento precisato il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella «lo spirito della legge è quello dell’articolo 32 della Costituzione italiana che assicura il diritto a scegliere le terapie». Così il consenso informato finalmente «diventa norma». Ma in cosa consiste il consenso informato? Esso - prosegue la Roccella -  è "un’informazione da parte di un medico a un paziente che cerca di scegliere, sempre fino a un certo punto. E questo perché l’ultima parola è sempre del medico, anche quando siamo coscienti». Dunque la legge - aggiunge la Roccella -  «serve a garantire la possibilità di un paziente di scegliere anche quando non è cosciente e allo stesso tempo anche assicura il diritto del medico di scegliere in scienza e coscienza. Tutto questo, attraverso la dichiarazione anticipata di trattamento (dat)». Non essendoci certezze scientifiche sugli stati vegetativi, dunque, «quando si firma una dat, queste indicazioni non possono essere rigide». Ma entrando nel dettaglio della normativa in discussione, ci accorgiamo che essa cerca di portare avanti il senso di una cooperazione dinamica, nella relazione clinica tra il medico e il paziente che non viene orientata in modo fatalistico verso un esito finale ma è adeguata alla salvaguardia dell'uno e dell'altro soggetto di questo rapporto. A condizione che siano presi in seria considerazione i desideri del paziente, sempre che questi siano al tempo stesso ragionevoli e legittimabili. Appunto perchè il senso delle dat è il raggiungimento degli obiettivi di fiducia, speranza, rispetto della vita, professionalità, etica del lavoro e di argine alla medicina difensiva. E' possibile e ammirevole, secondo voi, tentare di realizzare queste aspettative nel nostro paese fortemente basato su una medicina tecnologica? La risposta cambia, e tanto, a seconda che si voglia far prevalere una visione del diritto ispirata al semplice individualismo o al contrario, ad una visione antropologica dello stesso, dove si faccia invece strada il rispetto solidale per la vita, in qualsiasi sua manifestazione.  Se guardiamo al passato, il testo che per la prima volta cerca di offrire al malato terminale la possibilità di interrompere i trattamenti necessari per rimanere in vita è il "Natural Death Act del 1976" in California, attualmente non più in vigore. Successivamente nel 1990 - sempre negli Stati Uniti - fu approvato il "Federal Patient Self Determination Act"  per dare ai pazienti la possibilità di avere informazioni sulla possibilità di stilare delle direttive anticipate. Tuttavia, questa proposta di legge, non ebbe seguito, perchè fu bloccata in seguito ad una consultazione popolare, nello stato di Washington, l'anno dopo, nel 1991.
Guardando all'Europa, i primi paesi che hanno legiferato in questa materia, sono stati l'Olanda, il Belgio, la Spagna e la Francia. Mentre, per quanto riguarda il nostro Paese, il primo vero dibattito sul testamento biologico avvenne nel 1990, con la proposta da parte della Consulta di bioetica di Milano, della "biocard" o "carta di autodeterminazione".  Con l'uso di tale documento, ogni cittadino italiano  nella fase terminale della sua vita, avrebbe potuto stabilire sia il tipo di trattamento sanitario  che il rifiuto dei provvedimenti di sostegno vitale, come l'alimentazione e l'dratazione artificiali.
E qui entriamo nel vivo della questione. A seguito della proposta della biocard, il Comitato Nazionale di Bioetica, nel 2003 cerca di dare un equilibrio, centrando la normativa del fine vita sul concetto di alleanza terapeutica. Così secondo il parere del Comitato ogni cittadino italiano avrebbe  dovuto  avere, piuttosto la possibilità di stabilire  anticipatamente con delle dichiarazioni scritte, un dialogo col proprio medico di fiducia da continuare idealmente anche in assenza di coscienza. Non solo. L'anno dopo, sempre il CNB espresse un secondo parere, nel quale affermava che "cure quotidiane e indispensabili come – ma non solo – l’idratazione e l’alimentazione (anche se somministrate per via enterale o parenterale), qualora disponibili attraverso il sistema sanitario e sino a quando risultino realmente efficaci, a motivo delle favorevoli condizioni cliniche in cui versa il paziente, nel fornire sostanze essenziali per i processi metabolici dell’organismo umano, rappresentano sempre un mezzo ordinario e proporzionato in ordine alla sopravvivenza del paziente. Chi intende privarsene per porre fine anzitempo alla propria vita non può esigere da parte del medico una collaborazione a tale azione. La prosecuzione di tali cure del corpo da parte di chi assiste il paziente, salvo il caso in cui esse risultino futili perchè non contribuiscono alla conservazione dell’omeostasi del suo corpo, non costituisce un "accanimento" e rappresenta un dovere umano e professionale. Al contrario, non iniziarle o sospenderle (fatto sempre salvo il caso sopra citato) rappresenterebbe una figura di "abbandono" umano e professionale del malato, ancor più grave in una società nella quale non mancano persone e mezzi per attuare tali cure essenziali, anche senza oneri per il paziente ed i suoi familiari". Poi nel marzo del 2009, il dibattito sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, finalmente trovò ingresso nel nostro Parlamento con il ddl Calabrò che riaffermò in modo inequivocabile, la assoluta indisponibilità della vita umana anche da parte di terzi, seppure molto vicini alla persona del malato. Infatti il ddl all'art. 1: "riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile e indisponibile". Quindi, esso "vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del Codice penale ogni forma di eutanasia"; così impone l'obbligo al medico di informare il paziente (...) sul divieto di qualunque forma di eutanasia". Questo divieto poi è rafforzato dal successivo art.3 dove si afferma che  alimentazione e idratazione "non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento" anche perchè, in base all'art.4 non è consentito ricostruire la volontà presunta del paziente. Mentre secondo l'art. 6 "il fiduciario "si impegna a verificare attentamente che non si determino a carico del paziente situazioni" di cui "agli articoli 575, 579, e 580 del Codice penale".
A conferma di ciò, in base all'art. 7, il "medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente".
Il punto centrale dell ddl è che, il diritto alla vita appartiene anzitutto al soggetto stesso del malato e quindi anche allo Stato nel quale vive; e ciò spiega perchè il dissenso a praticare determinate terapie necessarie al sostentamento, non può essere considerato per legge patrimonio di altri, soprattutto di chi ha rapporti molto stretti con il paziente. Ed ecco perchè riguardo all'idratazione e all'alimentazione, bisogna considerare il momento esatto in cui il soggetto esprime la propria volontà che non sempre può coincidere con il tempo in cui effettivamente questi trattamenti avranno luogo. Dunque il problema riguarda le esigenze di più soggetti, quelli direttamente interessati e quelli che sono coinvolti indirettamente o meglio de relato. Probabilmente allora "gli uomini dovrebbero lasciare che la loro condotta fosse guidata dagli stessi principi: principi tali che seguendoli ne deriverebbero a tutti la massima sicurezza e soddisfazione e la minima sofferenza possibili"..poichè "se gli uomini, in quanto individui, si arrendono al richiamo dei loro istinti elementari, sfuggendo il dolore e cercando il piacere solo per sè stessi, il risultato...non può che essere uno stato di insicurezza, di paura, e di confusa sofferenza... se oltre a ciò, essi usano la loro intelligenza partendo da presupposti individualistici, vale a dire egoistici...difficilmente le cose andranno meglio" (Albert Einstein).


dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. Roma