19/07/11

Caro papà...di Manfredi Borsellino

Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori, preparavo l’esame di diritto commerciale, ero esattamente allo “zenit” del mio percorso universitario. Mio padre era andato, da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare i ragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella via Zandonai, dove nel bel mezzo del “taglio” fu raggiunto dalla telefonata di un collega che gli comunicava dell’attentato a Giovanni Falcone lungo l’autostrada Palermo-Punta Raisi.
Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiuma da barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussò alla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisione che in diretta trasmetteva le prime notizie sull’accaduto. Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggio di chiedergli nulla né lui proferì parola.
Si cambiò e raccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò, non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando lui stesso la macchina di servizio, nell’ospedale dove prima Giovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebbero spirati tra le braccia. Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò un momento di non ritorno. Era l’inizio della fine di nostro padre che poco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio, salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell’uomo dissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutti conoscevamo.
Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.
Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell’economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni.
La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d’altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore “Pippo” Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell’Università di Palermo e storico esponente dell’Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.
Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.
Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell’85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati “deportati” all’Asinara, o quella dell’anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese. Ma quella era un’estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all’apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.
Così quell’estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo “esposta” per la sua adiacenza all’autostrada per rendere possibile un’adeguata protezione di chi vi dimorava. Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.
Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti. Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel “tenere comizio” come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.
Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell’attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio.
Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”, perché quando giunsi in via D’Amelio fui riconosciuto dall’allora presidente della Corte d’Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna. Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.
La mia vita, come d’altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza “se” e senza “ma” a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in “familiari superstiti di una vittima della mafia”, che noi vivessimo come figli o moglie di ….., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva “Paolino” sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.
Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.
Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere.
D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe “cavalcato” l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di …. o perché di cognome fa Borsellino. A tal proposito ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.
Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.
Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.
*( La testimonianza del figlio del giudice – pubblicata per gentile concessione dell’editore – chiude il libro “Era d’estate”, curato dai giornalisti Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi- Pietro Vittorietti editore).

La Nuova Evangelizzazione nell’era del «tempo breve»


di Andrea Menegotto
Domenica 17 luglio, a Rio de Janeiro, si sono conclusi i lavori del primo seminario di comunicazione per i vescovi del Brasile, dove è intervenuto anche monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Ampi stralci del suo intervento sono ripresi in un articolo del quotidiano vaticano L’Osservatore Romano del 18-19 luglio 2011 («La missione evangelizzatrice nell’era digitale», p. 8) e da News.va, il portale multimediale vaticano che raccoglie le notizie prodotte dai network dei media della Santa Sede, dotato peraltro di notevoli possibilità di collegamento con i principali social network.
Senza utilizzare troppi giri di parole ─ come si conviene , appunto, a un efficace comunicatore ─ l’arcivescovo, nel descrivere le sfide poste dalle nuove tecnologie all’opera di evangelizzazione della Chiesa cattolica, ha affermato: «Se la Chiesa non prenderà coscienza dei cambiamenti culturali suscitati dal sistema comunicativo che attualmente conosciamo, troveremo molte difficoltà nell'evangelizzare in un futuro prossimo». E, ancora: «[…] è fondamentale superare una visione meramente strumentale dei mezzi di comunicazione ─ ossia concepire i mezzi solo come altoparlanti che i destinatari ascoltano in modo acritico ─ e riconoscere che è la stessa cultura a trasformarsi costantemente a causa della comparsa di nuove forme di comunicazione attraverso le nuove tecnologie». Del resto, queste ultime «creano nuovi modi di socializzare, nuovi linguaggi e nuove relazioni fra le persone, e allo stesso tempo schiudono orizzonti e pongono sfide al compito evangelizzatore di ogni battezzato».
Tuttavia, pur dovendo necessariamente tenere conto delle trasformazioni provocate dalle nuove tecnologie, per il Papa (prima il beato Giovanni Paolo II, oggi il suo successore Benedetto XVI) e per i Vescovi la missione resta la stessa ieri, oggi e sempre: la Nuova Evangelizzazione. Essa non coincide con il cedimento del messaggio cristiano alle rivendicazioni di presunta autonomia tipiche ella nostra epoca ─ le quali altro non sono che tentativi di progressiva scristianizzazione della nostra società nel segno della tentazione relativista, tecnocratica e autodeterministica ─, ma semplicemente è il riannuncio con nuovo ardore, nuovi metodi ed espressioni del messaggio bimillenario di Gesù Cristo proclamatosi «la via, la verità e la vita» (Giovanni 14,6); lo stesso identico messaggio affidato da Gesù agli Apostoli e, ora, a tutta la Chiesa.
Dunque, una Chiesa che, forte del mandato ricevuto, si deve porre oggi anche a detta dei suoi stessi pastori a rispondere in maniera adeguata alla sfida dell’annuncio in un’epoca complessa, post-moderna, relativista, globalizzata e tecnologica. Un’era che Marco Niada, giornalista economico milanese da anni residente a Londra, vede caratterizzata da quello che con espressione felice definisce il «tempo breve» (cfr. Il tempo breve. Nell’era della frenesia: la fine della memoria e la morte dell’attenzione, Garzanti, Milano 2010; per una recensione e un inquadramento in ottica sociologica e in una prospettiva di raccordo con alcuni temi fondanti l’insegnamento di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si rimanda al contributo di Massimo Introvigne, «Il tempo breve» di Marco Niada. «La fine della memoria e la morte dell’attenzione», disponibile sul sito del CESNUR).
Secondo Niada, la nuova rivoluzione non è tanto quella di Internet, ma quella dei telefoni cellulari di nuova generazione, i cosiddetti smartphone, che sono sempre di più computer portatili in costante collegamento con il Web: l’uomo e il giovane del 2011 che hanno con sé giorno e notte, in casa e in ufficio, al lavoro e in vacanza il Blackberry, l’iPhone e l’iPad sono fondamentalmente diversi dall’uomo di uno o due decenni prima. Niada non è nemico della tecnologia, ma richiama problemi reali, così efficacemente riassunti da Introvigne: «Il primo è stato studiato da psicologi e psichiatri già da molti anni: il rischio di una dipendenza da Internet e dai cellulari che ricorda la dipendenza dalla droga e che isola chi ne è vittima, bambini compresi, dal mondo reale. Il secondo problema è al centro dello studio sociologico di Internet da molti anni: si tratta del cosiddetto “information overload” (sovraccarico d’informazioni). Grazie a, o per colpa di, Internet riceviamo più informazioni di quante siamo capaci di assorbire, vagliare e organizzare e alla fine entriamo in crisi. Niada aggiunge, citando dati di diversi studi, due ulteriori elementi: la crisi della memoria – chi vive di Google ha sempre meno memoria, perché è abituato a cercare le informazioni sul Web e non tra i propri ricordi –, e la “morte dell’attenzione”. Il nostro tempo di attenzione si assottiglia sempre di più, e senza attenzione – come insegnavano appunto i monaci del Medioevo – non può nascere la riflessione e neppure la preghiera».
È quest’uomo post-moderno che vive nel e del «tempo breve», spesso isolato e collocato in una realtà virtuale, sovraccarico di informazioni, in crisi di memoria e incapace di dedicare attenzione e quindi riflettere davvero, nonché entrare in un rapporto profondo con il Creatore, l’obiettivo della Nuova Evangelizzazione. D’altra parte , come scriveva Giovanni Paolo II nel Messaggio per la XXXVI Giornata delle comunicazioni sociali, lungi dal demonizzare Internet e la tecnologia: «[…] Internet ridefinisce in modo radicale il rapporto psicologico di una persona con lo spazio e con il tempo. Attrae l'attenzione ciò che è tangibile, utile, subito disponibile. Può venire a mancare lo stimolo a un pensiero e a una riflessione più profondi, mentre gli esseri umani hanno bisogno vitale di tempo e di tranquillità interiore per ponderare ed esaminare la vita e i suoi misteri e per acquisire gradualmente un maturo dominio di sé e del mondo che li circonda», e soprattutto: «Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell'evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c'è spazio per Cristo, non c'è spazio per l’uomo».
Dunque, Internet stesso si configura come un luogo da evangelizzare affinché diventi uno spazio umano autentico e un luogo in cui l’uomo possa incontrare Cristo e così ritrovare se stesso.
Da questo punto di vista, risultano emblematiche due icone: la prima è quella di Papa Giovanni Paolo II, ormai anziano e quasi al culmine della malattia che con un click del mouse, durante una semplice cerimonia tenutasi presso il Palazzo Apostolico il 22 novembre 2001 invia alle chiese particolari dell’Oceania via e-mail l’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Oceania; si tratta della prima volta nella storia in cui un documento pontificio è inviato direttamente dal Papa via e-mail.
La seconda icona, più recente, è quella invece che vede Papa Benedetto XVI, nella solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 2011 ─ coincidente peraltro con il sessantesimo anniversario di sacerdozio dello stesso Pontefice ─ mettere in rete il già citato portale vaticano News.va con un semplice tweet (termine tecnico utilizzato per indicare nel social network Twitter un «aggiornamento di servizio») su un tablet, ovvero un «pc tavoletta».
Due icone certo, che ci dicono che siamo solo all’inizio di una grande opera perché gli utenti delle nuove tecnologie incontrando tanti ─ troppi ─ «messaggi», possano incontrare anche il «Messaggio» per eccellenza.
Fonte foto: News.va

Consigli Fotografici: Copyright & Batch Watermarking - Fotografia in sicurezza


Diamo oggi inizio alla sezione “Consigli” della rubrica fotografica di Frews.
Come già spiegato, i nostri consigli saranno estremamente pratici e semplici da mettere in atto. Abbiamo deciso quindi di iniziare con un consiglio fondamentale per chi pubblica le proprie foto in rete. Come poterlo fare in completa sicurezza? Come tutelarsi da eventuali furti e plagi?
Eccovi qualche dritta sulla pubblicazione di immagini.

Innanzitutto occorre fare una precisazione. E' importante sottolineare quanto sia difficile rintracciare eventuali trattamenti delle immagini non autorizzati. In questo caso, la vastità della rete internet non aiuta. E' estremamente difficile imbattersi in un utilizzo non appropriato di una propria immagine, come ad esempio la sua ri-pubblicazione senza la citazione della fonte originaria. Risulta quindi indispensabile utilizzare alcuni espedienti per far desistere i naviganti poco corretti dall'impossessarsi di immagini di cui vogliamo detenere quantomeno i diritti e i riconoscimenti.

Il primo espediente riguarda il copyright. Se pubblicate le vostre immagini su un blog a vostra gestione, abbiate l'accortezza di inserire un cosiddetto “Disclaimer” che dichiari esplicitamente il vostro diritto sui contenuti pubblicati. Un esempio tipico di dichiarazione di possesso del copyright può essere

Tutte le foto sono proprietà di VOSTRO NOME/TITOLO DEL BLOG e come tali sono soggette a copyright. E pertanto tutto il materiale qui contenuto non è utilizzabile nè in alcun modo riproducibile, in qualsiasi forma e misura senza il consenso scritto dell'autore.

Già una dicitura come questa fungerà da deterrente per i ladri di immagini e vi darà il completo controllo sulle vostre immagini. Questo, ovviamente, vale solo e unicamente se voi siete in possesso del file originale in alta qualità. In caso di dispute legali, il possesso di quel file è determinante per l'assegnazione del possesso dello scatto. Per questo motivo è necessario conservare i file originali anche dopo averli pubblicati su facebook, blogger o qualsivoglia piattaforma.

Il secondo consiglio che vi propongo riguarda la pratica di Batch Watermark, più semplicemente l'inserimento della firma alle vostre foto. 


Come potete vedere in questo, è presente in basso a sinistra la firma dell'autore. Questo simbolo apparentemente insignificante è importantissimo. Vi permette di marchiare con un simbolo indelebile i vostri scatti, in modo che se dovessero essere utilizzati da terzi, il vostro nome sarà sempre e comunque visibile. Per questo motivo è consigliabile inserire il proprio nome e cognome, oppure l'indirizzo del vostro blog. Ma come inserire la firma?
Io vi consiglio un programma semplicissimo da usare: FastStone Photo Resizer, un software gratuito scaricabile all'indirizzo http://www.faststone.org/FSResizerDetail.htm
Tra le tante funzioni, questo programma vi permette creare una copia dello scatto firmata senza modificare il file originale. Inoltre, potete firmare più file contemporaneamente, catalogarli in specifiche cartelle e conservare nel tempo il vostro Logo di firma per i futuri scatti.

Spero che questi primi consigli vi tornino utili. Fatemelo sapere commentando questo post o mandandomi una mail all'indirizzo che troverete nelle note. Buona fotografia a tutti!

 Mirko Fin



Avete qualche richiesta particolare o un consiglio da suggerire? Mandate le vostre richieste via mail a servlad90@yahoo.it 
Sarà per noi un piacere esaudire ogni vostra richiesta!

Paolo Borsellino 19 anni dopo

Si ricorda oggi a Palermo ed in tutta Italia la strage di via D'Amelio, il 19 luglio 1992, in cui con un'autobomba vennero uccisi il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino e gli agenti della polizia di Stato che lo scortavano: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Alle 16.58 sara' osservato un minuto di silenzio in via D'Amelio.
In tanti scrivono sui profili facebook o sui propri spazi blog: Paolo Vive, Non sei mai morto, il Tuo insegnamento resta.
In questi 19 anni ne abbiamo sentite e lette di tutti i colori su Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Sono stati tirati per la giacca per giustificare le politiche di destra e di sinistra, per dire tutto ed il contrario di tutto e quindi Paolo Borsellino in questi 19 anni è morto e risorto centinaia di volte.
19 anni fa avevo 19 anni. Ricordo quelle immagini in televisione, quel boato enorme che sentivamo nel cuore, ed ancora risento, e la paura ed il disorientamento di quei giorni perchè davvero tutto ci sembrava perso definitivamente in mano al male.
19 anni fa avevo 19 anni, un altro mondo per me, università, pochi pensieri, primi passi come giornalista e vissi quell'attentato con la rabbia di un figlio che perde un padre.
19 anni dopo sono padre e vivo quell'attentato con la rabbia di un padre che deve difendere i propri figli.
Ci siamo chiesti in redazione, stamattina, come ricordare Paolo Borsellino.
Abbiamo deciso due modi semplici, senza troppi giri di parole, senza anche noi farlo rinascere e riucciderlo contemporaneamente.
Ti ricordiamo, Paolo, dapprima nella preghiera, silenziosa, personale, quella di ognuno di noi al suo Dio. E poi alle 16.58 pubblicheremo qui su Frews la lettera che scrisse Manfredi, tuo figlio, perchè da  allora racchiude le parole che noi tuoi figli volevamo e vorremmo sempre dirti.

La nuova, terza (ed ultima?), giunta Alemanno: ecco i cognomi!

Tre anni di governo della città, tre giunte, decine di assessori: numeri da giocare al lotto nella speranza di vincere qualcosa, oltre ad un posto in Giunta. Non sono donna e quindi non ho una quota che mi assegni un eventuale assessorato; non sono parente di nessuno dei capi del Pdl di Roma e quindi non posso sperare di essere messo nel listino; sono solo me stesso: voto, ci credo, rimango fregato e voterò qualcun altro al prossimo turno sicuramente.
Causa ricorso al Tar sulle quote rosa, la Giunta Alemanno 2 (quella varata di fretta qualche mese fa per buttare fumo sullo scandalo assunzioni dirette all'Atac) è stata di nuovo azzerata per mancanza di donne!
Quante uscite serali nel mio passato avrebbero dovuto essere azzerate per mancanza di donne. Una volta non c'era questa norma delle quote rosa. Abbiamo già detto come la pensiamo però, un piccolo ripensamento, mi sta venendo: se per ogni uscita tra amici ci fosse lo stesso numero di uomini e donne, per legge? Organizzo col mio migliore amico la gita al mare in Liguria ma non ci posso andare se non con due bionde e se non le trovo io il tribunale me le da d'ufficio, me le ritrovo in macchina insomma, già in bikini e zaino sulle ginocchia! Non male sta idea delle quota rosa.
Torniamo a noi ed ai nomi che abbiamo avuto, come di consuetudine, in anteprima esclusiva per noi di Frews grazie ad un passante cinese, ma che ha studiato bene l'italiano, che mentre fotografava il cavallo del Marc'Aurelio ci ha giurato di aver sentito dire da un usciere del Campidoglio, che il barista stamattina ha detto a quella delle pulizie che la giunta sarà piena di tutte quelle persone che non hanno trovato posto all'Atac per chiamata diretta (non perchè non ci fosse spazio ma per via dello scoppio dello scandalo) e che hanno cognome che inizia per A...e  finisce per lemanno, oppure per R...e finisce in ampelli, ed ancora M con Arsilio e via sciorinando tutti i cognomi noti del Pidielle romano.
Sembra che la giunta sarà composta di sole donne e così subito dopo chiamerò il Telefono Azzurro che non è quello dei bambini ma quello per difendere noi maschietti, noi principi azzurri che, come sempre, arriviamo un momento troppo tardi, siamo troppo intelligente, siamo troppo onesti, non siamo del genere giusto e quando tocca noi... beh c'è già qualcun altro.