19/02/12

Un veneto a Roma 2 episodio: la grande Olimpiade

La storia racconta che, nel 197 a.C., il console romano Tito Quinzio  Flaminio, dopo aver sconfitto Filippo V nella battaglia di Cinocefale, proclamò durante i Giochi Istmici di Corinto la libertà  della Grecia, fino ad allora occupata dalle truppe della Macedonia. I cittadini Greci andarono in visibilio. Ritengo che il signor Tito
Quinzio non avrebbe mai immaginato che, ad un suo lontano successore nel Governo della Città di Roma e nel comando delle sue legioni Municipali, sarebbe stato impedito di ospitare i Giochi olimpici proprio a causa della Grecia. Ebbene sì, questa settimana l’argomento che a un Veneto a Roma viene  servito su un piatto d’argento, non può che essere la mirabolante storia dell’Olimpiade Romana (bis). E nessuno mi accusi di avere il dente avvelenato! Il fatto che Venezia sia stata buttata fuori con  poco garbo dal novero delle concorrenti, proprio per lasciare spazio alla concorrente capitolina c’entra poco o nulla. Ammetto che il progetto delle Olimpiadi in laguna mi intrigava e non ritengo disprezzabile il fatto che questo avrebbe coinvolto anche una vasta zona intorno alla città lagunare, includendo altre realtà limitrofe (le province di Padova, Vicenza, Treviso e persino Trieste) e utilizzando per la gran parte strutture già esistenti (13 su 26). 
A ben vedere, però, le gare di windsurf nei canali veneti, con  guizzanti pantegane a far da coreografia, sembrava anche al sottoscritto un’idea un po’ eccessiva. Una sorta di grande festa campestre allargata, con mezzi pubblici che, a partire dai treni,spesso non hanno fatto grandi passi avanti rispetto dalla tradotta dei canti della Grande Guerra (provare la “freccia della palude” Rovigo-Verona per credere). Era dunque giusto che Roma, grande città europea, ci strappasse il progetto. D’altra parte Torino aveva già avuto le Olimpiadi invernali, Milano l’Expo e il nord poteva dirsi mediamente soddisfatto. Per ciò che riguarda il sud, a parte l’avventata candidatura di Palermo subito ritirata, sembrava che mancassero alcuni presupposti. Ora, però, sono successi due fatti, fra i quali uno mi ha lasciato un po’ perplesso, l’altro completamente basito. Il  primo: il Governo decide di negare la lettera in cui si garantiva la garanzia finanziaria e la presa in carico di eventuali deficit legati alla manifestazione. 
Il secondo: un sacco di gente su facebook,  twitter e con ogni altro mezzo atto a comunicare, gesti compresi, esprimeva, con lo stesso entusiasmo della folla di Corinto del 200  a.C., compiacimento per la scelta o soddisfazione per il conseguente stato d’animo del sindaco, che sulle prime non sembrava dei migliori, specie quando, in Campidoglio era stato visto brandire una pala senza che non ci fosse proprio più neve a terra. Anzitutto una riflessione sull’esecutivo: le motivazioni portate da  Monti per il diniego vertevano tutte su ragioni di carattere economico e, per non far sfigurare la candidatura della Capitale, accanto agli elogi, spiegavano che anche a Londra i costi erano raddoppiati e che, per quanto riguardava Atene, non si poteva proprio dire che la manifestazione avesse portato bene al Paese ospitante (Pechino, non pervenuta). 
Non posso certo dire di non essere per nulla d’accordo con Monti ma, secondo il mio parere, il rifiuto aveva anche ragioni di carattere politico e d’immagine. Peraltro, anche senza essere tifosi di Keynes e del New Deal, viene da chiedersi se, per rilanciare l’immagine dell’Italia nel mondo, lo sforzo economico legato ad un’Olimpiade, non avrebbe consentito di rinnovare alcune infrastrutture che sono comunque necessarie e di permettere al Paese di aggrapparsi alla definizione di “grande Nazione” all’altezza di organizzare un evento simile (tra le candidature restano ancora in  piedi, tra le altre, quella della Spagna e dell’Arzebaigian). Forse un pensierino supplementare poteva essere fatto.  Per ciò che riguarda, invece, l’esultanza popolare c’è, a mio parere, un’altra spiegazione che poco c’entra, o solo in parte, con i
ragionamenti che hanno dettato le azioni del Governo. Sarò stato disattento, ma quando il Veneto ha perso la sua candidatura non ho visto il veneziani esibirsi in gare d’impennate con le gondole per la felicità. Viene dunque da chiedersi: perché molti romani hanno invece scelto di esprimere la propria soddisfazione? La ragione è semplice e on riguarda né le tasse, né i sacrifici già compiuti dagli italiani,  né le spese in sé. La ferma convinzione della maggior parte degli italiani, romani compresi, era che nel momento in cui si fosse dato avvio alle opere per l’Olimpiade Romana i soliti noti legati alla politica, a partire dai palazzinari, passando per le società di comunicazione, quelle di servizi e di varie ed eventuali, si sarebbero gettati come avvoltoi sulla carcassa da spolpare mettendoin atto il ben noto modello “Mondiali di nuoto 2009”, in cui molte delle opere preventivate, per responsabilità condivise tra destra e sinistra, erano all’avvio delle gare ben lungi dall’essere compiute e gli impianti erano largamente di ripiego. Roma, in ogni caso, se la sarebbe cavata per le Olimpiadi, così come se l’è cavata con i Mondiali di nuoto: basta un campo lungo sul Colosseo o sui Fori Imperiali per far dimenticare qualsiasi disagio. 
Quello che infastidisce, però, è che, in un periodo di crisi, possano crearsi le condizioni per cui alcuni megaricchi possano diventarlo ancora di più. Ed è disarmante constatare, inoltre, che i cittadini non mettano neppure in dubbio che un fatto del genere possa essere evitato o che, ove accada, non possa succedere in misura quantomeno accettabile. Trovo assurdo che, ancora una volta, la politica non abbia compreso il messaggio e che si sia invece dannata per accapigliarsi, tra nordisti e sudisti, recriminando sulla sensibilità del Governo,  foraggiando editoriali, prese di posizione e sproloqui di opinionisti. La verità? Anziché contare i soldi spesi per l’Expo milanese si sarebbe potuto pensare ad una riforma della legge sugli appalti. In ogni caso non si rattristino i romani: per l’ultima Olimpiade, quella del 1960, una delle innovazioni fu la sostituzione dei i tram coi puzzolentissimi bus su gomma che ancor oggi (un po’ migliorati grazie al metano) intasano le strade sferragliando sui sampietrini.  Chissà stavolta cosa sarebbe potuto capitare.
Marcello Spirandelli

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