13/05/12

Veneto a Roma 13 - Voglio una biblioteca aperta alla sera!


Facciamo un gioco. Dite alla vostra ragazza o a vostra moglie che vi fermate in centro dopo il lavoro per studiare con un po’ di tranquillità per preparare un concorso  o un esame. Ditele che siete in compagnia di una collega, sia essa dell’università o di lavoro, che deve preparare la medesima prova. Ditele infine che andrete a studiare in un pub o in un’enoteca.
Indovinate ora quale sarà la reazione: a) colpo di cecchino prezzolato, incaricato in seguito di fare scempio del vostro cadavere per poi disperderne i resti nelle fogne onde non lasciare traccia alcuna; b) attuazione di una delle pratiche in uso in oriente per punire il furto, riveduta e corretta per essere applicata al caso specifico; c) omicidio a mani nude o tramite piccole dosi d’antigelo somministrate giornalmente, come imparato nella  sue serie preferita, “Desperate Houswives”;
d) risata di scherno al ricordo che non vedete la porta della palestra da 12 anni e che all’ultima partita di calcetto siete passati dall’attacco, alla difesa, alla porta, alla panchina, alla pneumologia nella camera iperbarica.
Anche non volendo esercitare le  doti di casanova impenitente, infatti, se avete il problema di esservi accordati con un individuo qualsiasi per studiare nel dopolavoro (a meno che non siate tra  i fortunati che escono alle 5) o se sapete che a casa, piuttosto che gettarvi sui libri, preferirete guardare perfino Maria De Flilppi, avrete la sgradita sorpresa di non sapere dove poter studiare. Roma non è certo la città che non dorme mai e a dire il vero dorme parecchio. Ma fino a qualche mese fa c’erano almeno 2 biblioteche che garantivano, qualche giorno la settimana, l’orario serale: la Tortora a Testaccio e la Rispoli al centro. Non inserisco nel novero il Caffè Letterario ad Ostiense perché per studiare lì occorre essere non udenti o attrezzati di uno strumento che crei il vuoto pneumatico intorno ai timpani.
Tutto questo lo so bene perché, studiando mentre lavoravo, la tesi l’ho preparata in massima parte in biblioteca di sera, ringraziando il Comune ogni momento per avere la possibilità di appoggiarmi da qualche che non fosse il mezzo metro quadro infestato da muschi e licheni della mia stanza. E confesso di aver comunque silenziosamente mormorato perché erano soltanto 2 le biblioteche che offrivano (peraltro mica tutti i giorni) questo servizio.
Qualcuno controbatterà: magari erano mezze vuote! Certo! Vuote come la spiaggia di Ostia ai primi caldi. Ogni sera toccava sgomitare per trovare un buco dove assestarsi, pregando che non ci fosse la solita presentazione del libro o che non toccasse, addirittura, ritirarsi in buon ordine per non aver trovato neppure uno strapuntino dove assestarsi. E, dopo aver dovuto piazzare lo zaino dentro all’armadietto sgangherato e senza chiave, dopo aver chiesto informazioni al banco per aver perso per l’ennesima volta la chiave del wi-fi, dopo essere risusciti a conquistare un proprio spazio di manovra con la stessa capacità di Giulio Cesare ad Alesia, era possibile entrare in un mondo di pace, di creatività e di conoscenza che soltanto dopo aver cominciato a lavorare ho compreso di amare tanto intensamente.
Oggi, caro Comune, per le solite motivazioni che, senza aver sentito, immagino una in fila all’altra, mi hai levato questo spazio. In un Paese che ha la spasmodica necessità di crescere nella conoscenza e di ripartire dalla sua immaginazione, si precludono le biblioteche a chi ha un’occupazione. Su questo ho ben poca voglia di scherzare: perdonatemi ma è francamente vergognoso. Se proprio volessimo tagliare qualcosa, potremmo evitare di costruire un ponte pedonale che non porta in nessun luogo (vedasi il Ponte della Scienza che collega il Lungotevere dei Papareschi al nulla che c’è dall’altra parte) o di buttare soldi nella costruzione del non si sa cosa dietro ai Mercati Generali.
Non ne servirebbero molte. Una o due ben fornite e con ampi spazi sarebbero già sufficienti. E che dire dei privati? Delle università? Delle scuole? Possibile che neppure i cinesi ci abbiano ancora pensato? Che una qualche struttura pubblica o privata non apra alla sera un posto dove il Popolino possa studiare? Lo chiedo anche a  voi che leggete queste righe…. Possibile che non ci siano luoghi dove poter sbattere per scrivere o studiare?  

3 commenti:

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  2. Non ci sono neanche i locali stile starbucks! (ma quello in tutta Italia)... cosa che peraltro invidio molto ai paesi esteri e che PARADOSSALMENTE hanno nomi del tipo "CAFFE' ITALIA". Ma dove li avranno mai visti in Italia i locali dove puoi buttarti su un divanetto per ore con il tuo pc o il tuo libro senza che il proprietario "a una certa" ti inviti gentilmente a far spazio ad altri???

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  3. Hai ragione, già sarebbe qualcosa. Un punto in cui poter leggere e potersi fermare, un luogo in cui perdersi rispetto agli affanni che si incontrano lungo la via. Chissà perchè, in Italia sembra che non si senta l'esigenza di poter stare da soli con un libro, o a scrivere su un blocknotes o sul proprio pc. L'italiano è sempre in compagnia, sempre a vociare, a discorrere, a gesticolare. Invece secondo me ce ne sarebbe un gran bisogno di luoghi come questi

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