03/10/11

Fotografia - I Grandi Maestri - Eric Lafforgue

 
Non ne avevamo abbastanza. Semplicemente, non ne avevamo abbastanza.
Non ci bastavano le sezioni sui consigli, la scuola amatoriale di fotografia, la foto della settimana e la promozione di mostre e concorsi. Sentivamo di poter dare di più. Che mancava qualcosa...

Ed è così che abbiamo deciso di iniziare questa piccola, nuovissima rubrica che vuole dare il giusto spazio e le luci della ribalta ad alcuni fotografi di spessore che abbiamo incrociato girovagando nel web e  nelle varie mostre cui abbiamo assistito. Sperando che il nostro nuovo spazio vi piaccia direi di terminare con le chiacchiere e di aprire le danze...

Oggi iniziamo a parlare di un fotografo nato nel 1964 che attualmente vive a Tolosa in Francia, sebbene la sua vita sia stata caratterizzata da una serie incredibile di viaggi. Parliamo oggi di Eric Lafforgue
La sua passione per la fotografia inizia nel 2006. I suoi scatti finiscono in breve tempo sulle riviste ed i giornali di tutto il mondo per le illustrazioni del Nord Corea, Papua Nuova Guinea, le tribù d'Etiopia e tutti i luoghi del mondo da lui visitati. Eric Lafforgue trascorre la maggior parte del suo tempo viaggiando per il mondo, prediligendo incontri e scatti con alcune delle popolazioni sconosciute ai più.

Lavora sia su digitale che su pellicola. I suoi strumenti di lavoro: 
Hasselblad H4D-50
Canon 1Ds Mk III
5D Mk II
Leica M6.

Quelli che vedete sono solo alcuni assaggi della sua immensa bravura. Per la galleria completa delle sue opere, vi rimandiamo al suo sito ufficiale. Vi consiglio vivamente di darci un occhio. Verrete catapultati in luoghi della terra tanto incredibili, da togliere il fiato...

                  
                       


Sperando che il nostro primo appuntamento con la nuova rubrica "I Grandi Maestri" vi sia piaciuto, auguriamo a tutti Buona Fotografia! Un giorno, potremmo essere noi i grandi maestri di qualcuno!

Laura & Ser Vlad

Parlare al cellulare in metropolitana...anche a Roma!

Da un recente viaggio a Milano ho potuto (ri)constatare quanto il capoluogo lombardo sia più avanti, rispetto alla Capitale, nel campo delle infrastrutture con vetture della Metropolitana moderne, spaziose, luminose e pulite e nelle quali funziona anche il cellulare. Mi sono sempre chiesto che cosa sarebbe successo a Roma in caso di presenza del segnale GSM pure nelle metropolitane: tra poco saprò darvi risposta.
Recentemente infatti mi sono accorto che alla fermata di Piazza di Spagna  continuavo a ricevere messaggi di posta sul Black Berry ed ho pensato dapprima ad una coincidenza fortunata. Invece apprendo ora che le stazioni per ora "illuminate" da questo segno del progresso, oltre a quella su citata, sono anche Barberini e Repubblica. Sulla linea A il tratto Battistini-Termini sarà interamente completato entro novembre; quello Vittorio Emanuele-Anagnina sarà ultimato a maggio del 2012. Sulla linea B invece i lavori di copertura del segnale Gsm inizieranno a novembre 2011 per terminare a fine 2012.
Quindi i più fortunati come me, che vivono tra Spagna e Cornelia, già con Novembre potranno stare comodi seduti (o scomodi in piedi) e parlare al telefono anche nei venti minuti di "sotterranea".
Ovviamente già fioccano in redazione le lettere di chi si lamenta per la perdita dell'unico posto in Roma dove non funzionano i cellulari e quindi si può stare in pace a leggere un libro, affiancate a quelle di chi dice che era ora che si colmasse questo ritardo verso le sempre citate capitali del nord Europa.
Certo, sparire lì sotto per venti minuti, oggi che siamo abituati ad essere sempre on line, era sì un piccolo luogo e momento di libertà, di evanescenza.
Però è anche vero che io spesso non prendo la metropolitana proprio per questo motivo perchè se devo attendere una telefonata importante che ritarda non posso mica sostare fuori dalla metro in attesa della chiamata.
Cari amici che cercate rifugio dai cellulari in città mi spiace, trovatevi un altro posto oppure spegnete il cellulare prima di scendere nelle viscere della capitale tanto ci sarà sempre il vicino al telefono e potrete ascoltare beatamente i fatti suoi

Il nulla non può essere rappresentato






Il testamento biologico, altrimenti detto "living will" altro non è se non un documento scritto con il quale una persona, perfettamente capace di intendere e volere, quindi nel pieno delle sue capacità mentali e fisiche, stabilisce nero su bianco, quali dovranno essere le cure alle quali intende o non intende sottoporsi, se si dovesse trovare nelle condizioni di non poter esprimere più il suo giudizio. In pratica, si tratta un documento scritto che costituisce l'unico ponte di dialogo tra il medico e il paziente che ha perso ogni facoltà intellettiva a causa di una malattia o di un trauma sopravvenuto. In questo modo il paziente, quando presta il suo consenso informato, lo fa anticipatamente rispetto al momento in cui si verifica effettivamento l'evento che compromette la sua volontà. Ma - e questo è il punto cruciale - la vita può essere delegata? No, perchè è interessante notare che per esempio il bene salute è un diritto fondamentale del singolo che non muta la sua natura giuridica, sol perchè il suo titolare ha rinunciato anche al suo interesse per la vita; lo prova anche il fatto che nessuno, compreso il medico curante, può arrogarsi il diritto di provocare in alcun modo la fine della vita altrui così come non può agire in modo contrario alla sua etica professionale. Infatti il rapporto medico-paziente non può essere ridotto ad una relazione contrattuale, basata sullo schematico scambio tra diritti e doveri da una parte e dall'altra. Tanto è vero che sono sempre salvate entrambe le volontà. Entrambe libere di rifiutare le cure e di non accettare richieste che contrastino con la propria coscienza.  Oggi purtropppo però viviamo in una società abbastanza conflittuale, dove qualunque questione  viene gettata sul tappeto della battaglia, al quale non si sottrae nemmeno il campo della salute. Ma l'essere umano, almeno nel momento della sua maggiore fragilità come nel caso della malattia, non può essere trattato come un campo di battaglia e dunque bisognerebbe porre al centro del dibattito sulla salute, il valore dell'arte medica che  come tutte le arti va coltivata. Essa andrebbe pertanto adeguata allo straordinario potenziale terapeutico esercitato dal medico. Il quale deve studiare il percorso migliore per fare uscire fuori dalla crisi della malattia, quella determinata persona fatta di materia e di spirito. Ricordiamoci che Ippocrate, diceva :"Natura medicatrix" ovvero la natura è medicina, con ciò volendo dire che spetta al medico farsi interprete della stessa natura per comprendere qual'è la migliore strategia di cura per far accedere quella persona malata al suo processo di guarigione. Ecco perchè ai medici Cos gli si chiedeva anzitutto di stare attenti a non nuocere ai pazienti: "Primum non nocere". Anche se in taluni casi, con il consenso, è lo stesso paziente che esprime liberamente la sua ferma volontà di declinare dalla sua qualità giuridica di titolare dell'interesse alla conservazione del bene della vita e di diventare oggetto materiale del reato di "omicidio del consenziente", previsto dall'art.579 del codice penale. Anche se in questo caso, secondo parte della dottrina, si tratterebbe di un delitto perpetrato non "contro" ma "sulla" persona, in quanto esso lede un interesse di immediata pertinenza statuale, ossia l'interesse alla conservazione dei consociati, giacchè il soggetto passivo, in tale delitto, è lo Stato, non l'uomo. Questa ultima considerazione è importante e la dice lunga sul fatto che la società, ammetendo ai singoli il diritto di rinunciare alla propria vita, perde il suo significato originario di custode dell'interesse dell'altro e insieme il senso di giustizia.
Ma giungiamo al 1990, quando in Italia la Consulta di Bioetica di Milano, propone di stilare per legge un documento chiamato "biocard" o "carta di autodeterminazione" con la quale si può decidere liberamente di stabilire alcuni tipi di trattamenti nel caso in futuro ci si trovi nella fase terminale della propria vita o di rifiutare lucidamente quei strumenti di sostegno vitale come l'alimentazione e l'dratazione artificiale. Nel frattempo però, soccorre la Convenzione di Oviedo che all'art.9, si preoccupa di precisare che nel caso di dichiarazioni anticipte, debbano essere prese in considerazione le "cose desiderate dal paziente" valutate in relazione sia alla sua situazione clinica sia ai nuovi ritrovati della scienza. Successivamente sempre in Italia, il Comitato Naionale di Bioetica, provvede a far proprio il contenuto dell'art.9 di Oviedo, approvando il documento intitolato "le Dichiarazioni anticipate di trattamento" che pongono al centro il tema dell'alleanza terapeutica perchè soltanto grazie a questa "il dialogo tra medico e paziente idealmente" può continuare anche quando il secondo non è più in grado di prendervi parte. Dunque stando a quanto detto, le dichiarazioni sono un giusto concetto fino a quando esse mantengono il loro carattere precipuo di dichiarazioni, assolutamene non vincolanti per il medico, quindi non contrarie alle norme giuridiche vigenti in Italia. Per la medesima ragione, tali disposizioni non possono avere ad oggetto la sospensione di presidi vitali come l'alimentazione e l'idratazione, necessari per il sostentamento del paziente. Soprattutto perchè, la sua deve rimanere una volontà attuale, significa condizionata da eventuali futuri progressi della scienza che possano vanificare le precedenti dichiarazioni. Se si accettasse il contrario, si dovrebbe anche ammettere che chi dispone del proprio corpo privo di "temporanea" volontà, lo considera privo di personalità giuridica. E se un corpo non è più persona ma solo materia, allora come può essere rappresentato da un fiduciario se equivale a nulla? Come saggiamente diceva F. Mastropaolo: "Il nulla non si rappresenta"! Quindi in breve, semplicemente non esiste.

dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. Roma