05/09/11

Cosa sta succedendo nel mondo islamico?


Recensione di un recente volume di Massimo Introvigne
di Andrea Menegotto
5 settembre 2011
Improvvisamente, nel 2011, antiche certezze nel mondo islamico si sono sgretolate. Regimi che sembravano solidissimi, dalla Tunisia di Ben Ali all’Egitto di Mubarak, sono caduti in poche settimane. La guerra alla Libia di Gheddafi ha sconvolto la politica europea. In Siria, in Yemen, in Bahrain, in Palestina quelle che sembravano certezze sono state rimesse in discussione. Su questo scenario, già di per sé difficile e confuso, ha fatto irruzione il 2 maggio 2011 la notizia della morte di Osama bin Laden, che ha indotto a ripensare l’intera questione del terrorismo.
Dunque, che cosa sta succedendo nel mondo islamico?

Il diritto alla salute e l'individuo. Siamo davvero padroni della nostra vita? Parte seconda: Il ruolo del medico e il coro di Antigone.









Oggi la categoria medica contemporanea, rischia di compromettere la relazione con i propri pazienti, trovandosi incredibilmente nella condizione di non essere in grado di trasformare in certezza qualunque loro desiderio soggettivo. Eppure nemmeno gli scienziati che condividono la cultura biotecnologica più moderna possibile, ritengono giusto escludere l'importanza della cura, della premura verso il paziente che si trova in uno stato di fragilità. Il Comitato Nazionale di bioetica nel  2001 affermava che “l'obiettivo della 'guarigione' diventa solo uno tra i tanti che la Medicina può prefiggersi ed assicurare. In queste inevitabili incertezze, che gravano su moltissimi casi, si annida il germe delle possibili reazioni di delusione, di ripulsa e di conflitto perché il "contratto" tra medico e paziente, per esplicito ed informato che sia , ha troppi margini di aleatorietà per non comportare un elevato tasso di potenziale disillusione dei pazienti e di una loro reazione negativa nei confronti del medico” . Allora quale dovrebbe essere il ruolo del medico oggi, in questo nuovo contesto biotecnologico postmoderno? Stando al pensiero di Hans Jonas "l'uomo non è stato mai privo di tecnologia". Allora a quanto pare "la questione" piuttosto sembra vertere "sulla differenza, in relazione a esso, tra la tecnologia moderna e quella antecedente". La quale - vecchia e nuova- è sempre andata avanti  coniugando di "pari passo" tra loro "la profanazione della natura e la civilizzazione dell'umanità". Quindi - secondo il pensiero del filosofo - l'uomo usa il creato, con tutto ciò che esiste al suo interno come se si trattasse di qualcosa "di sua proprietà" che può maneggiare a suo piacimento. Di conseguanza gli elementi della natura come le creature viventi "del mare, dell'aria" e "della Terra" in genere, sono sempre stati oggetto della sua volontà o azione manipolativa. Da sempre. Ciò vuol dire che dalla sua comparsa sulla terra, l'umanità è stata "perennemente" dedita "alla conquista". Per confermare questo assunto, il famoso filosofo cita il Coro dell'Antigone di Sofocle, dove è possibile scorgere un ampio riferimento alla condizione umana e alla sua innata capacità di agire sulla natura. Ne citiamo alcuni passaggi: " Molte le cose tremende, ma di tutte più tremenda è l'uomo.....Le specie degli uccelli volubili cattura, e le stirpi delle bestie selvatiche e le forme viventi nel mare salato, tra le maglie di rete annodate avvolgendole, fraudolento, l'uomo. Doma con trucchi le bestie....A sè stesso insegnò la parola e il pensiero simile al vento...Mai in difetto d'ingegno a ogni destino fa fronte...con sforzo comune apprestò vie di scampo  a mali irrimediabili. Capisce, inventa, ha sulle arti dominio....e ora al bene, ora al male serpeggiando volge".  Dunque da questa descrizione, viene fuori un'immagine dell'uomo quasi molto potente che artefice della sua vita, riesce a volgere le leggi della natura spesso a suo favore, sconfiggendo tanti pericoli. Eppure la madre Terra, sebbene sia tutt'ora invasa e saccheggiata   arrogantemente, non muta il suo ordine cosmico di fronte al quale l'uomo "mortale" rimane inerme, poichè " le sue capacità nulla possono contro la morte" e "la sua condizione" rimane sempre vulnerabile. Quindi, riassumendo: il rapporto tra l'uomo e la techne, nel senso di "mondo extra-umano" ancora oggi rimane lo stesso. Mentre -secondo Jonas - ciò che è mutato nel tempo, è la natura dell'agire umano o meglio, l'influenza determinante che la moderna tecnologia esercita sulle nostre azioni. Di modo che è sorta una "nuova dimensione eticamente significativa, di cui non esistono precedenti nei criteri e nei canoni dell'etica tradizionale". Il punto è che "l'etica è connessa con l'agire" e dunque di conseguenza, questo importa che "la mutata natura dell'agire umano, richiede anche un mutamento dell'etica". Mi scusi il lettore, se mi sono dilungata nel riportare più citazioni testuali di Jonas. Ma la mia, è una cultura di matrice strettamente giuridica e dunque non avrei potuto affrontare la questione morale con parole più significative, di quelle appena riportate.  Infatti in sintesi, Jonas ci vuole dire che la "nuova" tecnologia rende il nostro agire differente rispetto al passato e di questo, noi tutti dobbiamo prenderne atto con un notevole senso di responsabilità. Il mondo ultimamente è cambiato in modo radicale. Ciò che continua a non mutare è la nostra paura, impotenza di fronte alla morte che per questa ragione rimane un mistero quasi inconoscibile. Allora nel nuovo millennio, tanto ricco di tecnica come dobbiamo comportarci moralmente. Anche qui, Jonas da una risposta molto chiara e cita Kant, il quale ci dice che "in sede morale" anche "l'intelligenza comune" può guidarci a compiere una "azione moralmente buona". Perciò - parafrasando il suo pensiero - possiamo dire che non occorre essere necessariamente, persone di scienza per agire secondo virtù e saggezza, essendo queste categorie accessibili a tutti. E il medico di oggi come deve interagire con il nuovo che stravolge perfino la nostra natura umana? E il nostro comune senso della vita e della morte? Di certo la società, non può pretendere di trasformarlo in un esecutore dei suoi desideri, senza alcuna autonoma volontà, senza incorrere nel rischio di intaccare il suo ruolo di garante della nostra salute e di prezioso alleato. Egli pertanto, è tenuto ad esprimere la sua decisione, in estrema libertà di scienza e coscienza, naturalmente dopo avere  prestato assoluta attenzione alla volontà del paziente stesso o in sua vece - nel caso di concreta incapacità - del suo fiduciario o dei suoi familiari. D'altro canto, nella drammatica tensione tra natura e artificio, ciò che deve primeggiare è l'alleanza terapeutica tra il medico e il suo assistito che escluda perentoriamente ogni tipo di prevaricazione da una parte e dall'altra. Da un altro verso, il grande giurista Giorgio Oppo ci ricorda la grande difficoltà del diritto nel gestire la moderna umanità che "vuole appropiarsi della fine come del principio della vita" pretendendo dal personale sanitario, di sottostare ai propri voleri. Eppure l'alleanza terapeutica, va vista - secondo l'opinione di C. M. Martini -  soprattutto nel senso della ricerca di un equilibrio tra "la forza della medicina e il sapiente e prudente giudizio della persona".  In questo contesto lo scopo del medico non dev'essere quello di cambiare l'umanità, quanto di comprenderla per realizzare il suo essenziale dovere anzitutto umano e professionale. Ma il paziente, è il padrone della sua vita?



dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. Roma