28/10/11

Photo Of The Week N° 13 - Mujer de Rojo Sobre un Campo de Ruinas

¡Hola Mis Amigos!
No ragazzi, non avete sbagliato blog e noi di Frews non siamo emigrati in Spagna (anche se ad alcuni di noi, come il sottoscritto, piacerebbe molto). Oggi, in occasione della tredicesima edizione della foto della settimana, abbiamo un'ospite d'eccezione proprio dalla penisola Iberica. Si tratta di un amico di rete della nostra cara Laura, ed ha l'onore di essere il nostro primo ospite straniero per questa rubrica. Un onore che ha ripagato con uno scatto davvero fenomenale. Buona visione a tutti!


ACERCA DE LA FOTOGRAFÍA:
Tomé la imagen hace unos días cuando visitaba el Conjunto Arqueológico de Madinat al-Zahra, que está situado a ocho kilómetros de Córdoba. En este magnífico recinto se conservan los vestigios de una ciudad palatina que fue mandada construir por Abd al-Rahman III, califa de al-Andalus en los tiempos de la Edad Media.
Estaba tomando, desde lo alto de las murallas del alcázar, algunas panorámicas del yacimiento cuando reparé en la presencia de la mujer. Pensé de inmediato que su camiseta roja habría de suponer un elemento de interés en la imagen.

ACERCA DEL AUTOR:
Vivo en Córdoba, ciudad de Andalucía (España) sintiéndome muy atraido, a nivel de simple afición, por la fotografía. Alguna vez dije que la razón de que uno haga fotografías es algo sencillo: hacer fotografías me ayuda a vivir.
Creo que es cierto algo que dejó escrito A. de Saint Exupery: "Se ve solo con el corazón, lo esencial es invisible para los ojos".  En sintonía con esas palabras, pienso, como ya apuntó Robert Frank, que quizás lo más hermoso de la fotografía solo se consiga cuando el fotógrafo es capaz de captar eso que resulta invisible para los demás. A veces, gracias a la magia de la fotografía, se consiguen atrapar esos momentos mágicos, usualmente invisibles, de la vida. 
Francesc Catalá Roca pensaba que al contrario de lo que se acostumbra decir la fotografía se parece más a la literatura que a la pintura. Creo que tiene razón.
La magia de la vida nos está aguardando en cada momento. Salgamos a fotografiarla...


Foto: Mujer de Rojo Sobre un Campo de Ruinas
Ho scattato questa foto quando ho visitato il complesso Arqueológico de Madinat al-Zahra, che è situato ad 8 Km da Cordova, in questa magnifica area sono conservati i resti di una città palazzo che fu costruito da Abd al-Rahman III, califfo di al-Andalus al tempo del Medioevo. Stavo scattando dall'alto delle mura del castello, qualche panoramica dei resti quando mi resi conto della presenza di una donna. Ho pensato immediatamente che il rosso della sua camicetta poteva essere un elemento interessante nel quadro della foto.
 
Autore: Antiqva Photo
Vivo a  Cordova, città dell'Andalusia in Spagna e mi sono sempre sentito attratto amatorialmente dalla fotografia. Qualche volta mi sono chiesto la ragione per cui uno debba scattare foto ed è molto semplice: Fare fotografie mi aiuta a vivere.
Credo sia vero ciò che scrisse A. de Saint Exupery  "Si vede solo col cuore, l'essenziale è invibisile agli occhi".  In linea con queste parole, penso, come Robert Frank ha detto, forse la fotografia più bella è raggiunta solo quando il fotografo è in grado di catturare ciò che è invisibile agli altri. A volte, grazie alla magia della fotografia, si riescono a catturare quei momenti magici, di solito invisibili, della vita.
Francesc Catala Roca ha pensato che, contrariamente a ciò che è consuetudine dire che la fotografia è più vicina alla letteratura che alla pittura. Penso che abbia ragione.
La magia della vita ci aspetta in ogni momento. Andiamo fuori a fotografare ...




Come partecipare
Volete che un vostro scatto sia la prossima "Photo of The Week"?
Non dovete far altro che mandare una mail a servlad90@yahoo.it con il vostro scatto, preferibilmente in alta qualità. La foto dovrà essere accompagnata da un titolo, da una breve descrizione dello scatto, del supporto che avete utilizzato e di eventuali effetti impiegati. Inoltre è gradita una vostra breve biografia, in modo che il nostro pubblico possa conoscervi. Nel caso in cui abbiate un blog dove pubblicate le vostre foto, vi invitiamo a segnalarcelo. Buona Fotografia a tutti!

Il Papa ad Assisi: discorso di Pace in tutte le lingue

Nel 25° anniversario dello storico incontro tenutosi ad Assisi il 27 ottobre 1986 per volontà del Beato Giovanni Paolo II, il Santo Padre Benedetto XVI ha convocato per oggi una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, recandosi pellegrino nella città di San Francesco e invitando nuovamente ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà. Il programma dettagliato della Giornata, che ha come tema Pellegrini della verità, pellegrini della pace, è pubblicato sul bollettino n. 614 del 18 ottobre scorso.
Alle ore 8 di oggi le Delegazioni partono in treno, insieme al Santo Padre Benedetto XVI, dalla Stazione ferroviaria vaticana. Lungo il percorso il treno rallenta nelle stazioni di Terni, Spoleto e Foligno.
All’arrivo in Assisi, le Delegazioni si recano presso la Basilica di S. Maria degli Angeli, dove alle ore 10.30 ha luogo un momento di commemorazione dei precedenti incontri e di approfondimento del tema della Giornata. Introdotti dal Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, intervengono dieci esponenti delle delegazioni presenti. Al termine delleTestimonianze per la pace, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia un discorso.
Alle ore 13, nel Refettorio del Convento della Porziuncola, i delegati condividono un pranzo frugale. Viene poi lasciato un tempo di silenzio, per la riflessione di ciascuno e per la preghiera.
Nel pomeriggio, tutti i fedeli presenti in Assisi partecipano ad un cammino che si snoda verso la Basilica di San Francesco. Il pellegrinaggio, a cui prendono parte nell’ultimo tratto anche i membri delle delegazioni, si svolge in silenzio, lasciando spazio alla preghiera e alla meditazione personale.
Alle ore 16.30, nella Piazza Inferiore della Basilica di San Francesco, si tiene l’incontro conclusivo della Giornata, con il rinnovo solenne dell’Impegno comune per la pace. La monizione iniziale è del Card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Introdotti poi dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, intervengono dodici delegati e l’impegno di ciascuno alla pace è sancito dalle parole finali del Papa: "Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo! In nome di Dio ogni religione porti sulla terra Giustizia e Pace, Perdono e Vita, Amore!". Alcuni giovani consegnano quindi ai Capi Delegazione una lampada accesa. Lo scambio comune del saluto di pace è introdotto dalla monizione del Card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Il Papa pronuncia quindi un saluto di congedo.
Al termine, il Santo Padre e i Capi Delegazione scendono nella Cripta e sostano davanti alla tomba di San Francesco.
Alle ore 19 il treno con a bordo il Santo Padre e le Delegazioni lascia la stazione di Santa Maria degli Angeli e riparte alla volta di Roma. L’arrivo alla stazione ferroviaria vaticana è previsto per le ore 20.45.
Riportiamo di seguito il testo del discorso che il Papa pronuncia in fine mattinata nella Basilica di Santa Maria degli Angeli:


DISCORSO DEL SANTO PADRE



Cari fratelli e sorelle,
distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle religioni del mondo,
cari amici,

sono passati venticinque anni da quando il beato Papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace? Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisione era il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava il confine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde – senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, che stavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevano perso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essere liberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una risposta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale. Siamo riconoscenti per questa vittoria della libertà, che fu soprattutto anche una vittoria della pace. E bisogna aggiungere che in questo contesto si trattava non solamente, e forse neppure primariamente, della libertà di credere, ma anche di essa. Per questo possiamo collegare tutto ciò in qualche modo anche con la preghiera per la pace.

Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo dire che da allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anche se la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo, purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ripetutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzialmente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo. La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi e spaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovo tutti noi.

Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti della violenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possono individuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che sono diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poi nei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa del danneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Viene messo fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comunemente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamo che spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del "bene" perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza.

La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi. Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è "Dio dell’amore e della pace" (2 Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo.

Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò. I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il "no" a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio.

Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato; vorrei piuttosto parlare della "decadenza" dell’uomo, in conseguenza della quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, un cambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi, che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono sedotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo. La violenza diventa una cosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo la nostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso.

L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo. Ma dov’è Dio? Lo conosciamo e possiamo mostrarLo nuovamente all’umanità per fondare una vera pace? Riassumiamo anzitutto brevemente le nostre riflessioni fatte finora. Ho detto che esiste una concezione e un uso della religione attraverso il quale essa diventa fonte di violenza, mentre l’orientamento dell’uomo verso Dio, vissuto rettamente, è una forza di pace. In tale contesto ho rimandato alla necessità del dialogo, e parlato della purificazione, sempre necessaria, della religione vissuta. Dall’altra parte, ho affermato che la negazione di Dio corrompe l’uomo, lo priva di misure e lo conduce alla violenza.

Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: "Non esiste alcun Dio". Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono "pellegrini della verità, pellegrini della pace". Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile. Per questo ho appositamente invitato rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi, che non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose. Si tratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto. In conclusione, vorrei assicurarvi che la Chiesa cattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere "pellegrini della verità, pellegrini della pace". Vi ringrazio.

[01507-01.02] [Testo originale: Italiano]


TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE



Chers frères et sœurs,
Responsables et Représentants des Églises et des Communautés ecclésiales et des Religions du monde,
Chers amis,

Vingt-cinq années se sont écoulées depuis que le bienheureux Pape Jean-Paul II a invité pour la première fois des représentants des religions du monde à Assise pour une prière pour la paix. Que s’est-il passé depuis ? Où en est aujourd’hui la cause de la paix ? Alors la grande menace pour la paix dans le monde venait de la division de la planète en deux blocs s’opposant entre eux. Le symbole visible de cette division était le mur de Berlin qui, passant au milieu de la ville, traçait la frontière entre deux mondes. En 1989, trois années après Assise, le mur est tombé – sans effusion de sang. Subitement, les énormes arsenaux, qui étaient derrière le mur, n’avaient plus aucune signification. Ils avaient perdu leur capacité de terroriser. La volonté des peuples d’être libres était plus forte que les arsenaux de la violence. La question des causes de ce renversement est complexe et ne peut trouver une réponse dans de simples formules. Mais à côté des faits économiques et politiques, la cause la plus profonde de cet événement est de caractère spirituel : derrière le pouvoir matériel il n’y avait plus aucune conviction spirituelle. La volonté d’être libres fut à la fin plus forte que la peur face à la violence qui n’avait plus aucune couverture spirituelle. Nous sommes reconnaissants pour cette victoire de la liberté, qui fut aussi surtout une victoire de la paix. Et il faut ajouter que dans ce contexte il ne s’agissait pas seulement, et peut-être pas non plus en premier lieu, de la liberté de croire, mais il s’agissait aussi d’elle. Pour cette raison nous pouvons relier tout cela de quelque façon aussi à la prière pour la paix.

Mais qu’est ce qui est arrivé par la suite ? Malheureusement nous ne pouvons pas dire que depuis lors la situation soit caractérisée par la liberté et la paix. Même si la menace de la grande guerre n’est pas en vue, toutefois, malheureusement, le monde est plein de dissensions. Ce n’est pas seulement le fait que ici et là à maintes reprises des guerres ont lieu – la violence comme telle est potentiellement toujours présente et caractérise la condition de notre monde. La liberté est un grand bien. Mais le monde de la liberté s’est révélé en grande partie sans orientation, et même elle est mal comprise par beaucoup comme liberté pour la violence. La dissension prend de nouveaux et effrayants visages et la lutte pour la paix doit tous nous stimuler de façon nouvelle.

Cherchons à identifier d’un peu plus près les nouveaux visages de la violence et de la dissension. À grands traits – à mon avis – on peut identifier deux typologies différentes de nouvelles formes de violence qui sont diamétralement opposées dans leur motivation et qui manifestent ensuite dans les détails de nombreuses variantes. Tout d’abord il y a le terrorisme dans lequel, à la place d’une grande guerre, se trouvent des attaques bien ciblées qui doivent toucher l’adversaire dans des points importants de façon destructrice, sans aucun égard pour les vies humaines innocentes qui sont ainsi cruellement tuées ou blessées. Aux yeux des responsables, la grande cause de la volonté de nuire à l’ennemi justifie toute forme de cruauté. Tout ce qui dans le droit international était communément reconnu et sanctionné comme limite à la violence est mis hors jeu. Nous savons que souvent le terrorisme est motivé religieusement et que justement le caractère religieux des attaques sert de justification pour la cruauté impitoyable, qui croit pouvoir reléguer les règles du droit en faveur du « bien » poursuivi. Ici la religion n’est pas au service de la paix, mais de la justification de la violence.

La critique de la religion, à partir des Lumières, a à maintes reprises soutenu que la religion fut cause de violence et ainsi elle a attisé l’hostilité contre les religions. Qu’ici la religion motive de fait la violence est une chose qui, en tant que personnes religieuses, doit nous préoccuper profondément. D’une façon plus subtile, mais toujours cruelle, nous voyons la religion comme cause de violence même là où la violence est exercée par des défenseurs d’une religion contre les autres. Les représentants des religions participants en 1986 à Assise entendaient dire – et nous le répétons avec force et grande fermeté : ce n’est pas la vraie nature de la religion. C’est au contraire son travestissement et il contribue à sa destruction. Contre ceci, on objecte : mais d’où savez-vous ce qu’est la vraie nature de la religion ? Votre prétention ne dérive-t-elle pas peut-être du fait que parmi vous la force de la religion s’est éteinte ? Et d’autres objecteront : mais existe-t-il vraiment une nature commune de la religion qui s’exprime dans toutes les religions et qui est donc valable pour toutes ? Nous devons affronter ces questions si nous voulons contester de façon réaliste et crédible le recours à la violence pour des motifs religieux. Ici se place une tâche fondamentale du dialogue interreligieux – une tâche qui doit être de nouveau soulignée par cette rencontre. Comme chrétien, je voudrais dire à ce sujet : oui, dans l’histoire on a aussi eu recours à la violence au nom de la foi chrétienne. Nous le reconnaissons, pleins de honte. Mais il est absolument clair que ceci a été une utilisation abusive de la foi chrétienne, en évidente opposition avec sa vraie nature. Le Dieu dans lequel nous chrétiens nous croyons est le Créateur et Père de tous les hommes, à partir duquel toutes les personnes sont frères et sœurs entre elles et constituent une unique famille. La Croix du Christ est pour nous le signe de Dieu qui, à la place de la violence, pose le fait de souffrir avec l’autre et d’aimer avec l’autre. Son nom est « Dieu de l’amour et de la paix » (2 Co 13, 11). C’est la tâche de tous ceux qui portent une responsabilité pour la foi chrétienne, de purifier continuellement la religion des chrétiens à partir de son centre intérieur, afin que – malgré la faiblesse de l’homme – elle soit vraiment un instrument de la paix de Dieu dans le monde.

Si une typologie fondamentale de violence est aujourd’hui motivée religieusement, mettant ainsi les religions face à la question de leur nature et nous contraignant tous à une purification, une seconde typologie de violence, à l’aspect multiforme, a une motivation exactement opposée : c’est la conséquence de l’absence de Dieu, de sa négation et de la perte d’humanité qui va de pair avec cela. Les ennemis de la religion – comme nous l’avons dit – voient en elle une source première de violence dans l’histoire de l’humanité et exigent alors la disparition de la religion. Mais le « non » à Dieu a produit de la cruauté et une violence sans mesure, qui a été possible seulement parce que l’homme ne reconnaissait plus aucune norme et aucun juge au-dessus de lui, mais il se prenait lui-même seulement comme norme. Les horreurs des camps de concentration montrent en toute clarté les conséquences de l’absence de Dieu.

Toutefois, je ne voudrais pas m’attarder ici sur l’athéisme prescrit par l’État ; je voudrais plutôt parler de la « décadence » de l’homme dont la conséquence est la réalisation, d’une manière silencieuse et donc plus dangereuse, d’un changement du climat spirituel. L’adoration de l’argent, de l’avoir et du pouvoir, se révèle être une contre-religion, dans laquelle l’homme ne compte plus, mais seulement l’intérêt personnel. Le désir de bonheur dégénère, par exemple, dans une avidité effrénée et inhumaine qui se manifeste dans la domination de la drogue sous ses diverses formes. Il y a les grands, qui avec elle font leurs affaires, et ensuite tous ceux qui sont séduits et abîmés par elle aussi bien dans leur corps que dans leur esprit. La violence devient une chose normale et menace de détruire dans certaines parties du monde notre jeunesse. Puisque la violence devient une chose normale, la paix est détruite et dans ce manque de paix l’homme se détruit lui-même.

L’absence de Dieu conduit à la déchéance de l’homme et de l’humanisme. Mais où est Dieu ? Le connaissons-nous et pouvons-nous Le montrer de nouveau à l’humanité pour fonder une vraie paix ? Résumons d’abord brièvement nos réflexions faites jusqu’ici. J’ai dit qu’il existe une conception et un usage de la religion par lesquels elle devient source de violence, alors que l’orientation de l’homme vers Dieu, vécue avec droiture, est une force de paix. Dans ce contexte, j’ai renvoyé à la nécessité du dialogue, et j’ai parlé de la purification, toujours nécessaire, de la religion vécue. D’autre part, j’ai affirmé que la négation de Dieu corrompt l’homme, le prive de mesures et le conduit à la violence.

À côté des deux réalités de religion et d’anti-religion, il existe aussi, dans le monde en expansion de l’agnosticisme, une autre orientation de fond : des personnes auxquelles n’a pas été offert le don de pouvoir croire et qui, toutefois, cherchent la vérité, sont à la recherche de Dieu. Des personnes de ce genre n’affirment pas simplement : « Il n’existe aucun Dieu ». Elles souffrent à cause de son absence et, cherchant ce qui est vrai et bon, elles sont intérieurement en marche vers Lui. Elles sont « des pèlerins de la vérité, des pèlerins de la paix ». Elles posent des questions aussi bien à l’une qu’à l’autre partie. Elles ôtent aux athées militants leur fausse certitude, par laquelle ils prétendent savoir qu’il n’existe pas de Dieu, et elles les invitent à devenir, plutôt que polémiques, des personnes en recherche, qui ne perdent pas l’espérance que la vérité existe et que nous pouvons et devons vivre en fonction d’elle. Mais elles mettent aussi en cause les adeptes des religions, pour qu’ils ne considèrent pas Dieu comme une propriété qui leur appartient, si bien qu’ils se sentent autorisés à la violence envers les autres. Ces personnes cherchent la vérité, elles cherchent le vrai Dieu, dont l’image dans les religions, à cause de la façon dont elles sont souvent pratiquées, est fréquemment cachée. Qu’elles ne réussissent pas à trouver Dieu dépend aussi des croyants avec leur image réduite ou même déformée de Dieu. Ainsi, leur lutte intérieure et leur interrogation sont aussi un appel pour les croyants à purifier leur propre foi, afin que Dieu – le vrai Dieu – devienne accessible. C’est pourquoi, j’ai invité spécialement des représentants de ce troisième groupe à notre rencontre à Assise, qui ne réunit pas seulement des représentants d’institutions religieuses. Il s’agit plutôt de se retrouver ensemble dans cet être en marche vers la vérité, de s’engager résolument pour la dignité de l’homme et de servir ensemble la cause de la paix contre toute sorte de violence destructrice du droit.

En conclusion, je voudrais vous assurer que l’Église catholique ne renoncera pas à la lutte contre la violence, à son engagement pour la paix dans le monde. Nous sommes animés par le désir commun d’être « des pèlerins de la vérité, des pèlerins de la paix ».

[01507-03.01] [Texte original: Italien]


TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE



Dear Brothers and Sisters,
Distinguished Heads and Representatives of Churches, Ecclesial Communities and World Religions,
Dear Friends,

Twenty-five years have passed since Blessed Pope John Paul II first invited representatives of the world’s religions to Assisi to pray for peace. What has happened in the meantime? What is the state of play with regard to peace today? At that time the great threat to world peace came from the division of the earth into two mutually opposed blocs. A conspicuous symbol of this division was the Berlin Wall which traced the border between two worlds right through the heart of the city. In 1989, three years after Assisi, the wall came down, without bloodshed. Suddenly the vast arsenals that stood behind the wall were no longer significant. They had lost their terror. The peoples’ will to freedom was stronger than the arsenals of violence. The question as to the causes of this dramatic change is complex and cannot be answered with simple formulae. But in addition to economic and political factors, the deepest reason for the event is a spiritual one: behind material might there were no longer any spiritual convictions. The will to freedom was ultimately stronger than the fear of violence, which now lacked any spiritual veneer. For this victory of freedom, which was also, above all, a victory of peace, we give thanks. What is more, this was not merely, nor even primarily, about the freedom to believe, although it did include this. To that extent we may in some way link all this to our prayer for peace.

But what happened next? Unfortunately, we cannot say that freedom and peace have characterized the situation ever since. Even if there is no threat of a great war hanging over us at present, nevertheless the world is unfortunately full of discord. It is not only that sporadic wars are continually being fought – violence as such is potentially ever present and it is a characteristic feature of our world. Freedom is a great good. But the world of freedom has proved to be largely directionless, and not a few have misinterpreted freedom as somehow including freedom for violence. Discord has taken on new and frightening guises, and the struggle for freedom must engage us all in a new way.

Let us try to identify the new faces of violence and discord more closely. It seems to me that, in broad strokes, we may distinguish two types of the new forms of violence, which are the very antithesis of each other in terms of their motivation and manifest a number of differences in detail. Firstly there is terrorism, for which in place of a great war there are targeted attacks intended to strike the opponent destructively at key points, with no regard for the lives of innocent human beings, who are cruelly killed or wounded in the process. In the eyes of the perpetrators, the overriding goal of damage to the enemy justifies any form of cruelty. Everything that had been commonly recognized and sanctioned in international law as the limit of violence is overruled. We know that terrorism is often religiously motivated and that the specifically religious character of the attacks is proposed as a justification for the reckless cruelty that considers itself entitled to discard the rules of morality for the sake of the intended "good". In this case, religion does not serve peace, but is used as justification for violence.

The post-Enlightenment critique of religion has repeatedly maintained that religion is a cause of violence and in this way it has fuelled hostility towards religions. The fact that, in the case we are considering here, religion really does motivate violence should be profoundly disturbing to us as religious persons. In a way that is more subtle but no less cruel, we also see religion as the cause of violence when force is used by the defenders of one religion against others. The religious delegates who were assembled in Assisi in 1986 wanted to say, and we now repeat it emphatically and firmly: this is not the true nature of religion. It is the antithesis of religion and contributes to its destruction. In response, an objection is raised: how do you know what the true nature of religion is? Does your assertion not derive from the fact that your religion has become a spent force? Others in their turn will object: is there such a thing as a common nature of religion that finds expression in all religions and is therefore applicable to them all? We must ask ourselves these questions, if we wish to argue realistically and credibly against religiously motivated violence. Herein lies a fundamental task for interreligious dialogue – an exercise which is to receive renewed emphasis through this meeting. As a Christian I want to say at this point: yes, it is true, in the course of history, force has also been used in the name of the Christian faith. We acknowledge it with great shame. But it is utterly clear that this was an abuse of the Christian faith, one that evidently contradicts its true nature. The God in whom we Christians believe is the Creator and Father of all, and from him all people are brothers and sisters and form one single family. For us the Cross of Christ is the sign of the God who put "suffering-with" (compassion) and "loving-with" in place of force. His name is "God of love and peace" (2 Cor 13:11). It is the task of all who bear responsibility for the Christian faith to purify the religion of Christians again and again from its very heart, so that it truly serves as an instrument of God’s peace in the world, despite the fallibility of humans.

If one basic type of violence today is religiously motivated and thus confronts religions with the question as to their true nature and obliges all of us to undergo purification, a second complex type of violence is motivated in precisely the opposite way: as a result of God’s absence, his denial and the loss of humanity which goes hand in hand with it. The enemies of religion – as we said earlier – see in religion one of the principal sources of violence in the history of humanity and thus they demand that it disappear. But the denial of God has led to much cruelty and to a degree of violence that knows no bounds, which only becomes possible when man no longer recognizes any criterion or any judge above himself, now having only himself to take as a criterion. The horrors of the concentration camps reveal with utter clarity the consequences of God’s absence.

Yet I do not intend to speak further here about state-imposed atheism, but rather about the decline of man, which is accompanied by a change in the spiritual climate that occurs imperceptibly and hence is all the more dangerous. The worship of mammon, possessions and power is proving to be a counter-religion, in which it is no longer man who counts but only personal advantage. The desire for happiness degenerates, for example, into an unbridled, inhuman craving, such as appears in the different forms of drug dependency. There are the powerful who trade in drugs and then the many who are seduced and destroyed by them, physically and spiritually. Force comes to be taken for granted and in parts of the world it threatens to destroy our young people. Because force is taken for granted, peace is destroyed and man destroys himself in this peace vacuum.

The absence of God leads to the decline of man and of humanity. But where is God? Do we know him, and can we show him anew to humanity, in order to build true peace? Let us first briefly summarize our considerations thus far. I said that there is a way of understanding and using religion so that it becomes a source of violence, while the rightly lived relationship of man to God is a force for peace. In this context I referred to the need for dialogue and I spoke of the constant need for purification of lived religion. On the other hand I said that the denial of God corrupts man, robs him of his criteria and leads him to violence.

In addition to the two phenomena of religion and anti-religion, a further basic orientation is found in the growing world of agnosticism: people to whom the gift of faith has not been given, but who are nevertheless on the lookout for truth, searching for God. Such people do not simply assert: "There is no God". They suffer from his absence and yet are inwardly making their way towards him, inasmuch as they seek truth and goodness. They are "pilgrims of truth, pilgrims of peace". They ask questions of both sides. They take away from militant atheists the false certainty by which these claim to know that there is no God and they invite them to leave polemics aside and to become seekers who do not give up hope in the existence of truth and in the possibility and necessity of living by it. But they also challenge the followers of religions not to consider God as their own property, as if he belonged to them, in such a way that they feel vindicated in using force against others. These people are seeking the truth, they are seeking the true God, whose image is frequently concealed in the religions because of the ways in which they are often practised. Their inability to find God is partly the responsibility of believers with a limited or even falsified image of God. So all their struggling and questioning is in part an appeal to believers to purify their faith, so that God, the true God, becomes accessible. Therefore I have consciously invited delegates of this third group to our meeting in Assisi, which does not simply bring together representatives of religious institutions. Rather it is a case of being together on a journey towards truth, a case of taking a decisive stand for human dignity and a case of common engagement for peace against every form of destructive force. Finally I would like to assure you that the Catholic Church will not let up in her fight against violence, in her commitment for peace in the world. We are animated by the common desire to be "pilgrims of truth, pilgrims of peace".

[01507-02.01] [Original text: Italian]


TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA



Liebe Brüder und Schwestern!
Sehr geehrte Oberhäupter und Vertreter der Kirchen und kirchlichen Gemeinschaften sowie der Weltreligionen!
Liebe Freunde!

25 Jahre sind vergangen, seitdem der selige Papst Johannes Paul II. erstmals Vertreter der Religionen der Welt nach Assisi zu einem Gebet für den Frieden geladen hat. Was ist seitdem geschehen? Wie steht es um die Sache des Friedens heute? Damals kam die große Bedrohung des Friedens in der Welt von der Teilung der Erde in zwei einander entgegengesetzte Blöcke. Augenfälliges Sinnbild dieser Teilung war die Mauer in Berlin, die mitten durch die Stadt die Grenze zweier Welten zog. 1989 – drei Jahre nach Assisi – ist die Mauer gefallen – ohne Blutvergießen. Die gewaltigen Waffenarsenale, die hinter der Mauer standen, bedeuteten plötzlich nichts mehr. Sie hatten ihren Schrecken verloren. Der Wille der Völker zur Freiheit war stärker als die Arsenale der Gewalt. Die Frage nach den Ursachen dieses Umbruchs ist sehr vielschichtig und nicht mit einfachen Formeln zu beantworten. Aber neben den wirtschaftlichen und politischen Faktoren ist der tiefste Grund für das Ereignis ein geistiger: Hinter der materiellen Macht standen keine geistigen Überzeugungen mehr. Der Wille zur Freiheit war schließlich stärker als die Furcht vor der Gewalt, die keine geistige Deckung mehr hatte. Für diesen Sieg der Freiheit, der vor allem auch ein Sieg des Friedens war, sind wir dankbar. Und es ist hinzuzufügen, daß es dabei nicht nur, wohl nicht einmal primär, aber doch auch um die Freiheit zu glauben ging. Insofern dürfen wir dies alles auch irgendwie mit dem Gebet um den Frieden in Zusammenhang bringen.

Aber was ist dann geschehen? Wir können leider nicht sagen, daß seither Freiheit und Friede die Situation prägen. Auch wenn es die Drohung des großen Krieges im Augenblick nicht gibt, so ist die Welt doch leider voller Unfriede. Nicht nur daß da und dort immer wieder Kriege geführt werden – die Gewalt als solche ist potentiell immer gegenwärtig und prägt den Zustand unserer Welt. Freiheit ist ein großes Gut. Aber die Welt der Freiheit hat sich weithin als orientierungslos erwiesen, und sie wird von nicht wenigen auch als Freiheit zur Gewalt mißverstanden. Der Unfriede hat neue und erschreckende Gesichter, und das Ringen um den Frieden muß uns alle auf neue Weise bedrängen.

Versuchen wir, die neuen Gesichter der Gewalt und des Unfriedens etwas aus der Nähe zu identifizieren. Man kann, wie mir scheint, in großen Zügen zwei unterschiedliche Typen der neuen Form von Gewalt feststellen, die in ihrer Motivation konträr gegeneinanderstehen und im einzelnen wieder viele Varianten aufweisen. Da ist zunächst der Terrorismus, in dem anstelle des großen Krieges gezielte Anschläge den Gegner an wichtigen Punkten zerstörend treffen sollen, wobei keinerlei Rücksicht auf unschuldige Menschenleben genommen wird, die dabei auf grausame Weise getötet oder verletzt werden. Die große Sache der Schädigung des Feindes rechtfertigt in den Augen der Täter jede Art von Grausamkeit. Alles, was im Völkerrecht als Grenze der Gewalt gemeinsam anerkannt und sanktioniert worden war, ist außer Kraft gesetzt. Wir wissen, daß der Terrorismus häufig religiös motiviert wird und daß gerade der religiöse Charakter der Anschläge als Rechtfertigung der rücksichtslosen Grausamkeit dient, die die Regeln des Rechts um des angezielten „Gutes" willen beiseite schieben zu dürfen glaubt. Religion dient da nicht dem Frieden, sondern der Rechtfertigung für Gewalt.

Die Religionskritik seit der Aufklärung hatte immer wieder behauptet, Religion sei Ursache von Gewalt und hatte damit die Feindseligkeit gegen die Religionen genährt. Daß hier Religion in der Tat Gewalt motiviert, muß uns als religiöse Menschen tief beunruhigen. In einer subtileren, aber immer noch grausamen Weise sehen wir Religion als Ursache von Gewalt auch dort, wo von Verteidigern einer Religion gegen die anderen Gewalt angewendet wird. Die 1986 in Assisi versammelten Religionsvertreter wollten sagen, und wir wiederholen es mit Nachdruck und aller Entschiedenheit: Dies ist nicht das wahre Wesen der Religion. Es ist ihre Entstellung und trägt zu ihrer Zerstörung bei. Dagegen wird der Einwand erhoben: Woher wißt ihr überhaupt, was das wahre Wesen von Religion ist? Kommt euer Anspruch nicht davon her, daß bei euch die Kraft der Religion erloschen ist? Und andere werden einwenden: Gibt es überhaupt ein gemeinsames Wesen der Religion, das sich in allen Religionen ausdrückt und daher für alle gültig ist? Diesen Fragen müssen wir uns stellen, wenn wir realistisch und glaubhaft dem religiös begründeten Gebrauch von Gewalt entgegentreten wollen. Hier liegt eine grundlegende Aufgabe des interreligiösen Dialogs – ein Auftrag, der von dieser Begegnung erneut unterstrichen werden soll. Als Christ möchte ich an dieser Stelle sagen: Ja, auch im Namen des christlichen Glaubens ist in der Geschichte Gewalt ausgeübt worden. Wir bekennen es voller Scham. Aber es ist vollkommen klar, daß dies ein Mißbrauch des christlichen Glaubens war, der seinem wahren Wesen offenkundig entgegensteht. Der Gott, dem wir Christen glauben, ist der Schöpfer und Vater aller Menschen, von dem her alle Menschen Brüder und Schwestern sind und eine einzige Familie bilden. Das Kreuz Christi ist für uns das Zeichen des Gottes, der an die Stelle der Gewalt das Mitleiden und das Mitlieben setzt. Sein Name ist „Gott der Liebe und des Friedens" (2 Kor 13,11). Es ist die Aufgabe aller, die für den christlichen Glauben Verantwortung tragen, die Religion der Christen immer wieder von ihrer inneren Mitte her zu reinigen, damit sie gegen die Fehlbarkeit des Menschen wirklich Instrument von Gottes Frieden in der Welt ist.

Wenn ein Grundtypus von Gewalt heute religiös begründet wird und damit die Religionen vor die Frage ihres Wesens stellt und uns alle zur Reinigung zwingt, so ist ein zweiter, vielgesichtiger Typus von Gewalt gerade umgekehrt begründet: Folge der Abwesenheit Gottes, seiner Leugnung und des Verlusts an Menschlichkeit, der damit Hand in Hand geht. Die Feinde der Religion sehen – wie wir gesagt hatten – in der Religion eine Hauptquelle der Gewalt in der Menschheitsgeschichte und fordern damit das Verschwinden der Religion. Aber das Nein zu Gott hat Grausamkeiten und eine Maßlosigkeit der Gewalt hervorgebracht, die erst möglich wurde, weil der Mensch keinen Maßstab und keinen Richter mehr über sich kennt, sondern nur noch sich selbst zum Maßstab nimmt. Die Schrecknisse der Konzentrationslager zeigen in aller Deutlichkeit die Folgen der Abwesenheit Gottes.

Ich möchte aber hier nicht weiter vom staatlich verordneten Atheismus sprechen, sondern von der Verwahrlosung des Menschen, mit der sich ein geistiger Klimawechsel lautlos und um so gefährlicher vollzieht. Die Anbetung des Mammon, die Anbetung von Besitz und Macht, erweist sich als eine Gegenreligion, in der der Mensch nicht mehr zählt, sondern nur der eigene Vorteil. Das Verlangen nach Glück degeneriert zum Beispiel zur hemmungslosen, unmenschlichen Begierde, wie sie in der Herrschaft der Droge mit ihren verschiedenen Gestalten erscheint. Da sind die Großen, die mit ihr ihr Geschäft treiben und dann die vielen, die von ihr verführt und körperlich wie seelisch von ihr ruiniert werden. Gewalt wird zur Selbstverständlichkeit und droht in Teilen der Welt unsere Jugend zu zerstören. Weil Gewalt zur Selbstverständlichkeit wird, ist der Friede zerstört, und der Mensch zerstört sich selbst in dieser Friedlosigkeit.

Die Abwesenheit Gottes führt zum Verfall des Menschen und der Menschlichkeit. Aber wo ist Gott? Kennen wir ihn, und können wir ihn neu der Menschheit zeigen, um wirklichen Frieden zu stiften? Fassen wir zunächst unsere bisherigen Überlegungen noch einmal kurz zusammen. Ich hatte gesagt, daß es ein Verständnis und einen Gebrauch von Religion gibt, durch die sie Quelle von Gewalt wird, während die recht gelebte Hinordnung des Menschen zu Gott Kraft des Friedens ist. In diesem Zusammenhang hatte ich auf die Notwendigkeit des Dialogs verwiesen und von der immer wieder nötigen Reinigung der gelebten Religion gesprochen. Andererseits hatte ich gesagt, daß die Leugnung Gottes den Menschen verdirbt, ihn der Maßstäbe beraubt und zur Gewalt führt.

Neben den beiden Realitäten von Religion und Antireligion gibt es in der wachsenden Welt des Agnostizismus noch eine andere Grundorientierung: Menschen, denen zwar das Geschenk des Glaubenkönnens nicht gegeben ist, die aber Ausschau halten nach der Wahrheit, die auf der Suche sind nach Gott. Solche Menschen behaupten nicht einfach: „Es ist kein Gott." Sie leiden unter seiner Abwesenheit und sind inwendig, indem sie das Wahre und das Gute suchen, auf dem Weg zu ihm hin. Sie sind „Pilger der Wahrheit, Pilger des Friedens". Sie stellen Fragen an die eine und an die andere Seite. Sie nehmen den kämpferischen Atheisten ihre falsche Gewißheit, mit der sie vorgeben zu wissen, daß kein Gott ist, und rufen sie auf, statt Kämpfer Suchende zu werden, die die Hoffnung nicht aufgeben, daß es die Wahrheit gibt und daß wir auf sie hin leben können und müssen. Sie rufen aber auch die Menschen in den Religionen an, Gott nicht als ihr Besitztum anzusehen, das ihnen gehört, so daß sie sich damit zur Gewalt über andere legitimiert fühlen. Sie suchen nach der Wahrheit, nach dem wirklichen Gott, dessen Bild in den Religionen, wie sie nicht selten gelebt werden, vielfach überdeckt ist. Daß sie Gott nicht finden können, liegt auch an den Gläubigen mit ihrem verkleinerten oder auch verfälschten Gottesbild. So ist ihr Ringen und Fragen auch ein Anruf an die Glaubenden, ihren Glauben zu reinigen, damit Gott, der wirkliche Gott zugänglich werde. Deshalb habe ich bewußt Vertreter dieser dritten Gruppe zu unserem Treffen nach Assisi eingeladen, das nicht einfach Vertreter religiöser Institutionen versammelt. Es geht vielmehr um die Zusammengehörigkeit im Unterwegssein zur Wahrheit, um den entschiedenen Einsatz für die Würde des Menschen und um das gemeinsame Einstehen für den Frieden gegen jede Art von rechtszerstörender Gewalt. Am Schluß möchte ich Ihnen versichern, daß die katholische Kirche nicht nachlassen wird im Kampf gegen die Gewalt, in ihrem Einsatz für den Frieden in der Welt. Wir sind von dem gemeinsamen Wollen beseelt, „Pilger der Wahrheit, Pilger des Friedens" zu sein.

[01507-05.01] [Originalsprache: Italienisch]


TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA



Queridos hermanos y hermanas,
Distinguidos Jefes y representantes de las Iglesias y Comunidades eclesiales y de las Religiones del mundo,
queridos amigos

Han pasado veinticinco años desde que el beato Papa Juan Pablo II invitó por vez primera a los representantes de las religiones del mundo a Asís para una oración por la paz. ¿Qué ha ocurrido desde entonces? ¿A qué punto está hoy la causa de la paz? En aquel entonces, la gran amenaza para la paz en el mundo provenía de la división del planeta en dos bloques contrastantes entre sí. El símbolo llamativo de esta división era el muro de Berlín que, pasando por el medio de la ciudad, trazaba la frontera entre dos mundos. En 1989, tres años después de Asís, el muro cayó sin derramamiento de sangre. De repente, los enormes arsenales que había tras el muro dejaron de tener sentido alguno. Perdieron su capacidad de aterrorizar. El deseo de los pueblos de ser libres era más fuerte que los armamentos de la violencia. La cuestión sobre las causas de este derrumbe es compleja y no puede encontrar una respuesta con fórmulas simples. Pero, junto a los factores económicos y políticos, la causa más profunda de dicho acontecimiento es de carácter espiritual: detrás del poder material ya no había ninguna convicción espiritual. Al final, la voluntad de ser libres fue más fuerte que el miedo ante la violencia, que ya no contaba con ningún respaldo espiritual. Apreciamos esta victoria de la libertad, que fue sobre todo también una victoria de la paz. Y es preciso añadir en este contexto que, aunque no se tratara sólo, y quizás ni siquiera en primer lugar, de la libertad de creer, también se trataba de ella. Por eso podemos relacionar también todo esto en cierto modo con la oración por la paz.

Pero, ¿qué ha sucedido después? Desgraciadamente, no podemos decir que desde entonces la situación se haya caracterizado por la libertad y la paz. Aunque no haya a la vista amenazas de una gran guerra, el mundo está desafortunadamente lleno de discordia. No se trata sólo de que haya guerras frecuentemente aquí o allá; es que la violencia en cuanto tal siempre está potencialmente presente, y caracteriza la condición de nuestro mundo. La libertad es un gran bien. Pero el mundo de la libertad se ha mostrado en buena parte carente de orientación, y muchos tergiversan la libertad entendiéndola como libertad también para la violencia. La discordia asume formas nuevas y espantosas, y la lucha por la paz nos debe estimular a todos nosotros de modo nuevo.

Tratemos de identificar más de cerca los nuevos rostros de la violencia y la discordia. A grandes líneas – según mi parecer – se pueden identificar dos tipologías diferentes de nuevas formas de violencia, diametralmente opuestas por su motivación, y que manifiestan luego muchas variantes en sus particularidades. Tenemos ante todo el terrorismo, en el cual, en lugar de una gran guerra, se emplean ataques muy precisos, que deben golpear destructivamente en puntos importantes al adversario, sin ningún respeto por las vidas humanas inocentes que de este modo resultan cruelmente heridas o muertas. A los ojos de los responsables, la gran causa de perjudicar al enemigo justifica toda forma de crueldad. Se deja de lado todo lo que en el derecho internacional ha sido comúnmente reconocido y sancionado como límite a la violencia. Sabemos que el terrorismo es a menudo motivado religiosamente y que, precisamente el carácter religioso de los ataques sirve como justificación para una crueldad despiadada, que cree poder relegar las normas del derecho en razón del «bien» pretendido. Aquí, la religión no está al servicio de la paz, sino de la justificación de la violencia.

A partir de la Ilustración, la crítica de la religión ha sostenido reiteradamente que la religión era causa de violencia, y con eso ha fomentado la hostilidad contra las religiones. En este punto, que la religión motive de hecho la violencia es algo que, como personas religiosas, nos debe preocupar profundamente. De una forma más sutil, pero siempre cruel, vemos la religión como causa de violencia también allí donde se practica la violencia por parte de defensores de una religión contra los otros. Los representantes de las religiones reunidos en Asís en 1986 quisieron decir – y nosotros lo repetimos con vigor y gran firmeza – que esta no es la verdadera naturaleza de la religión. Es más bien su deformación y contribuye a su destrucción. Contra eso, se objeta: Pero, ¿cómo sabéis cuál es la verdadera naturaleza de la religión? Vuestra pretensión, ¿no se deriva quizás de que la fuerza de la religión se ha apagado entre vosotros? Y otros dirán: ¿Acaso existe realmente una naturaleza común de la religión, que se manifiesta en todas las religiones y que, por tanto, es válida para todas? Debemos afrontar estas preguntas si queremos contrastar de manera realista y creíble el recurso a la violencia por motivos religiosos. Aquí se coloca una tarea fundamental del diálogo interreligioso, una tarea que se ha de subrayar de nuevo en este encuentro. A este punto, quisiera decir como cristiano: Sí, también en nombre de la fe cristiana se ha recurrido a la violencia en la historia. Lo reconocemos llenos de vergüenza. Pero es absolutamente claro que éste ha sido un uso abusivo de la fe cristiana, en claro contraste con su verdadera naturaleza. El Dios en que nosotros los cristianos creemos es el Creador y Padre de todos los hombres, por el cual todos son entre sí hermanos y hermanas y forman una única familia. La Cruz de Cristo es para nosotros el signo del Dios que, en el puesto de la violencia, pone el sufrir con el otro y el amar con el otro. Su nombre es «Dios del amor y de la paz» (2 Co 13,11). Es tarea de todos los que tienen alguna responsabilidad de la fe cristiana el purificar constantemente la religión de los cristianos partiendo de su centro interior, para que – no obstante la debilidad del hombre – sea realmente instrumento de la paz de Dios en el mundo.

Si bien una tipología fundamental de la violencia se funda hoy religiosamente, poniendo con ello a las religiones frente a la cuestión sobre su naturaleza, y obligándonos todos a una purificación, una segunda tipología de violencia de aspecto multiforme tiene una motivación exactamente opuesta: es la consecuencia de la ausencia de Dios, de su negación, que va a la par con la pérdida de humanidad. Los enemigos de la religión – como hemos dicho – ven en ella una fuente primaria de violencia en la historia de la humanidad, y pretenden por tanto la desaparición de la religión. Pero el «no» a Dios ha producido una crueldad y una violencia sin medida, que ha sido posible sólo porque el hombre ya no reconocía norma alguna ni juez alguno por encima de sí, sino que tomaba como norma solamente a sí mismo. Los horrores de los campos de concentración muestran con toda claridad las consecuencias de la ausencia de Dios.

Pero no quisiera detenerme aquí sobre el ateísmo impuesto por el Estado; quisiera hablar más bien de la «decadencia» del hombre, como consecuencia de la cual se produce de manera silenciosa, y por tanto más peligrosa, un cambio del clima espiritual. La adoración de Mamón, del tener y del poder, se revela una anti-religión, en la cual ya no cuenta el hombre, sino únicamente el beneficio personal. El deseo de felicidad degenera, por ejemplo, en un afán desenfrenado e inhumano, como se manifiesta en el sometimiento a la droga en sus diversas formas. Hay algunos poderosos que hacen con ella sus negocios, y después muchos otros seducidos y arruinados por ella, tanto en el cuerpo como en el ánimo. La violencia se convierte en algo normal y amenaza con destruir nuestra juventud en algunas partes del mundo. Puesto que la violencia llega a hacerse normal, se destruye la paz y, en esta falta de paz, el hombre se destruye a sí mismo

La ausencia de Dios lleva al decaimiento del hombre y del humanismo. Pero, ¿dónde está Dios? ¿Lo conocemos y lo podemos mostrar de nuevo a la humanidad para fundar una verdadera paz? Resumamos ante todo brevemente las reflexiones que hemos hecho hasta ahora. He dicho que hay una concepción y un uso de la religión por la que esta se convierte en fuente de violencia, mientras que la orientación del hombre hacia Dios, vivido rectamente, es una fuerza de paz. En este contexto me he referido a la necesidad del diálogo, y he hablado de la purificación, siempre necesaria, de la religión vivida. Por otro lado, he afirmado que la negación de Dios corrompe al hombre, le priva de medidas y le lleva a la violencia.

Junto a estas dos formas de religión y anti-religión, existe también en el mundo en expansión del agnosticismo otra orientación de fondo: personas a las que no les ha sido dado el don de poder creer y que, sin embargo, buscan la verdad, están en la búsqueda de Dios. Personas como éstas no afirman simplemente: «No existe ningún Dios». Sufren a causa de su ausencia y, buscando lo auténtico y lo bueno, están interiormente en camino hacia Él. Son «peregrinos de la verdad, peregrinos de la paz». Plantean preguntas tanto a una como a la otra parte. Despojan a los ateos combativos de su falsa certeza, con la cual pretenden saber que no hay un Dios, y los invitan a que, en vez de polémicos, se conviertan en personas en búsqueda, que no pierden la esperanza de que la verdad exista y que nosotros podemos y debemos vivir en función de ella. Pero también llaman en causa a los seguidores de las religiones, para que no consideren a Dios como una propiedad que les pertenece a ellos hasta el punto de sentirse autorizados a la violencia respecto a los demás. Estas personas buscan la verdad, buscan al verdadero Dios, cuya imagen en las religiones, por el modo en que muchas veces se practican, queda frecuentemente oculta. Que ellos no logren encontrar a Dios, depende también de los creyentes, con su imagen reducida o deformada de Dios. Así, su lucha interior y su interrogarse es también una llamada a los creyentes a purificar su propia fe, para que Dios – el verdadero Dios – se haga accesible. Por eso he invitado de propósito a representantes de este tercer grupo a nuestro encuentro en Asís, que no sólo reúne representantes de instituciones religiosas. Se trata más bien del estar juntos en camino hacia la verdad, del compromiso decidido por la dignidad del hombre y de hacerse cargo en común de la causa de la paz, contra toda especie de violencia destructora del derecho. Para concluir, quisiera aseguraros que la Iglesia católica no cejará en la lucha contra la violencia, en su compromiso por la paz en el mundo. Estamos animados por el deseo común de ser «peregrinos de la verdad, peregrinos de la paz».

[01507-04.01] [Texto original: Italiano]


TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE



Queridos irmãos e irmãs,
distintos Chefes e representantes das Igrejas e Comunidades eclesiais e das religiões do mundo,
queridos amigos,

Passaram-se vinte e cinco anos desde quando pela primeira vez o beato Papa João Paulo II convidou representantes das religiões do mundo para uma oração pela paz em Assis. O que aconteceu desde então? Como se encontra hoje a causa da paz? Naquele momento, a grande ameaça para a paz no mundo provinha da divisão da terra em dois blocos contrapostos entre si. O símbolo saliente daquela divisão era o muro de Berlim que, atravessando a cidade, traçava a fronteira entre dois mundos. Em 1989, três anos depois do encontro em Assis, o muro caiu, sem derramamento de sangue. Inesperadamente, os enormes arsenais, que estavam por detrás do muro, deixaram de ter qualquer significado. Perderam a sua capacidade de aterrorizar. A vontade que tinham os povos de ser livres era mais forte que os arsenais da violência. A questão sobre as causas de tal derrocada é complexa e não pode encontrar uma resposta em simples fórmulas. Mas, ao lado dos factores económicos e políticos, a causa mais profunda de tal acontecimento é de carácter espiritual: por detrás do poder material, já não havia qualquer convicção espiritual. Enfim, a vontade de ser livre foi mais forte do que o medo face a uma violência que não tinha mais nenhuma cobertura espiritual. Sentimo-nos agradecidos por esta vitória da liberdade, que foi também e sobretudo uma vitória da paz. E é necessário acrescentar que, embora neste contexto não se tratasse somente, nem talvez primariamente, da liberdade de crer, também se tratava dela. Por isso, podemos de certo modo unir tudo isto também com a oração pela paz.

Mas, que aconteceu depois? Infelizmente, não podemos dizer que desde então a situação se caracterize por liberdade e paz. Embora a ameaça da grande guerra não se aviste no horizonte, todavia o mundo está, infelizmente, cheio de discórdias. E não é somente o facto de haver, em vários lugares, guerras que se reacendem repetidamente; a violência como tal está potencialmente sempre presente e caracteriza a condição do nosso mundo. A liberdade é um grande bem. Mas o mundo da liberdade revelou-se, em grande medida, sem orientação, e não poucos entendem, erradamente, a liberdade também como liberdade para a violência. A discórdia assume novas e assustadoras fisionomias e a luta pela paz deve-nos estimular a todos de um modo novo.

Procuremos identificar, mais de perto, as novas fisionomias da violência e da discórdia. Em grandes linhas, parece-me que é possível individuar duas tipologias diferentes de novas formas de violência, que são diametralmente opostas na sua motivação e, nos particulares, manifestam muitas variantes. Primeiramente temos o terrorismo, no qual, em vez de uma grande guerra, realizam-se ataques bem definidos que devem atingir pontos importantes do adversário, de modo destrutivo e sem nenhuma preocupação pelas vidas humanas inocentes, que acabam cruelmente ceifadas ou mutiladas. Aos olhos dos responsáveis, a grande causa da danificação do inimigo justifica qualquer forma de crueldade. É posto de lado tudo aquilo que era comummente reconhecido e sancionado como limite à violência no direito internacional. Sabemos que, frequentemente, o terrorismo tem uma motivação religiosa e que precisamente o carácter religioso dos ataques serve como justificação para esta crueldade monstruosa, que crê poder anular as regras do direito por causa do «bem» pretendido. Aqui a religião não está ao serviço da paz, mas da justificação da violência.

A crítica da religião, a partir do Iluminismo, alegou repetidamente que a religião seria causa de violência e assim fomentou a hostilidade contra as religiões. Que, no caso em questão, a religião motive de facto a violência é algo que, enquanto pessoas religiosas, nos deve preocupar profundamente. De modo mais subtil mas sempre cruel, vemos a religião como causa de violência também nas situações onde esta é exercida por defensores de uma religião contra os outros. O que os representantes das religiões congregados no ano 1986, em Assis, pretenderam dizer – e nós o repetimos com vigor e grande firmeza – era que esta não é a verdadeira natureza da religião. Ao contrário, é a sua deturpação e contribui para a sua destruição. Contra isso, objecta-se: Mas donde deduzis qual seja a verdadeira natureza da religião? A vossa pretensão por acaso não deriva do facto que se apagou entre vós a força da religião? E outros objectarão: Mas existe verdadeiramente uma natureza comum da religião, que se exprima em todas as religiões e, por conseguinte, seja válida para todas? Devemos enfrentar estas questões, se quisermos contrastar de modo realista e credível o recurso à violência por motivos religiosos. Aqui situa-se uma tarefa fundamental do diálogo inter-religioso, uma tarefa que deve ser novamente sublinhada por este encontro. Como cristão, quero dizer, neste momento: É verdade, na história, também se recorreu à violência em nome da fé cristã. Reconhecemo-lo, cheios de vergonha. Mas, sem sombra de dúvida, tratou-se de um uso abusivo da fé cristã, em contraste evidente com a sua verdadeira natureza. O Deus em quem nós, cristãos, acreditamos é o Criador e Pai de todos os homens, a partir do qual todas as pessoas são irmãos e irmãs entre si e constituem uma única família. A Cruz de Cristo é, para nós, o sinal daquele Deus que, no lugar da violência, coloca o sofrer com o outro e o amar com o outro. O seu nome é «Deus do amor e da paz» (2 Cor 13,11). É tarefa de todos aqueles que possuem alguma responsabilidade pela fé cristã, purificar continuamente a religião dos cristãos a partir do seu centro interior, para que – apesar da fraqueza do homem – seja verdadeiramente instrumento da paz de Deus no mundo.

Se hoje uma tipologia fundamental da violência tem motivação religiosa, colocando assim as religiões perante a questão da sua natureza e obrigando-nos a todos a uma purificação, há uma segunda tipologia de violência, de aspecto multiforme, que possui uma motivação exactamente oposta: é a consequência da ausência de Deus, da sua negação e da perda de humanidade que resulta disso. Como dissemos, os inimigos da religião vêem nela uma fonte primária de violência na história da humanidade e, consequentemente, pretendem o desaparecimento da religião. Mas o «não» a Deus produziu crueldade e uma violência sem medida, que foi possível só porque o homem deixara de reconhecer qualquer norma e juiz superior, mas tomava por norma somente a si mesmo. Os horrores dos campos de concentração mostram, com toda a clareza, as consequências da ausência de Deus.

Aqui, porém, não pretendo deter-me no ateísmo prescrito pelo Estado; queria, antes, falar da «decadência» do homem, em consequência da qual se realiza, de modo silencioso, e por conseguinte mais perigoso, uma alteração do clima espiritual. A adoração do dinheiro, do ter e do poder, revela-se uma contra-religião, na qual já não importa o homem, mas só o lucro pessoal. O desejo de felicidade degenera num anseio desenfreado e desumano como se manifesta, por exemplo, no domínio da droga com as suas formas diversas. Aí estão os grandes que com ela fazem os seus negócios, e depois tantos que acabam seduzidos e arruinados por ela tanto no corpo como na alma. A violência torna-se uma coisa normal e, em algumas partes do mundo, ameaça destruir a nossa juventude. Uma vez que a violência se torna uma coisa normal, a paz fica destruída e, nesta falta de paz, o homem destrói-se a si mesmo.

A ausência de Deus leva à decadência do homem e do humanismo. Mas, onde está Deus? Temos nós possibilidades de O conhecer e mostrar novamente à humanidade, para fundar uma verdadeira paz? Antes de mais nada, sintetizemos brevemente as nossas reflexões feitas até agora. Disse que existe uma concepção e um uso da religião através dos quais esta se torna fonte de violência, enquanto que a orientação do homem para Deus, vivida rectamente, é uma força de paz. Neste contexto, recordei a necessidade de diálogo e falei da purificação, sempre necessária, da vivência da religião. Por outro lado, afirmei que a negação de Deus corrompe o homem, priva-o de medidas e leva-o à violência.

Ao lado destas duas realidades, religião e anti-religião, existe, no mundo do agnosticismo em expansão, outra orientação de fundo: pessoas às quais não foi concedido o dom de poder crer e todavia procuram a verdade, estão à procura de Deus. Tais pessoas não se limitam a afirmar «Não existe nenhum Deus», mas elas sofrem devido à sua ausência e, procurando a verdade e o bem, estão, intimamente estão a caminho d’Ele. São «peregrinos da verdade, peregrinos da paz». Colocam questões tanto a uma parte como à outra. Aos ateus combativos, tiram-lhes aquela falsa certeza com que pretendem saber que não existe um Deus, e convidam-nos a tornar-se, em lugar de polémicos, pessoas à procura, que não perdem a esperança de que a verdade exista e que nós podemos e devemos viver em função dela. Mas, tais pessoas chamam em causa também os membros das religiões, para que não considerem Deus como uma propriedade que de tal modo lhes pertence que se sintam autorizados à violência contra os demais. Estas pessoas procuram a verdade, procuram o verdadeiro Deus, cuja imagem não raramente fica escondida nas religiões, devido ao modo como eventualmente são praticadas. Que os agnósticos não consigam encontrar a Deus depende também dos que crêem, com a sua imagem diminuída ou mesmo deturpada de Deus. Assim, a sua luta interior e o seu interrogar-se constituem para os que crêem também um apelo a purificarem a sua fé, para que Deus – o verdadeiro Deus – se torne acessível. Por isto mesmo, convidei representantes deste terceiro grupo para o nosso Encontro em Assis, que não reúne somente representantes de instituições religiosas. Trata-se de nos sentirmos juntos neste caminhar para a verdade, de nos comprometermos decisivamente pela dignidade do homem e de assumirmos juntos a causa da paz contra toda a espécie de violência que destrói o direito. Concluindo, queria assegura-vos de que a Igreja Católica não desistirá da luta contra a violência, do seu compromisso pela paz no mundo. Vivemos animados pelo desejo comum de ser «peregrinos da verdade, peregrinos da paz».

[01507-06.01] [Texto original: Italiano]


TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA



Drodzy bracia i siostry,
szanowni Przewodniczący i przedstawiciele Kościołów i Wspólnot kościelnych oraz religii świata,
drodzy przyjaciele,

Minęło dwadzieścia pięć lat od dnia, w którym błogosławiony Papież Jan Paweł II po raz pierwszy zaprosił przedstawicieli religii świata do Asyżu na modlitwę o pokój. Co wówczas się stało? W jakim punkcie znajduje się teraz sprawa pokoju? Wtedy wielkie zagrożenie pokoju wynikało z podziału planety na dwa przeciwstawne bloki. Jaskrawym symbolem tego podziału był mur berliński, który przechodząc przez środek miasta, wyznaczał granicę pomiędzy dwoma światami. W 1989 roku, trzy lata od spotkania w Asyżu, mur upadł – bez rozlewu krwi. Nagle ogromne arsenały, które znajdowały się za murem, nie miały już znaczenia. Utraciły swą zdolność zastraszania. Pragnienie wolności w narodach było mocniejsze od arsenałów przemocy. Sprawa przyczyn tego przewrotu jest złożona i nie można znaleźć odpowiedzi w prostych formułach. Jednak obok faktorów ekonomicznych i politycznych najgłębsza przyczyna tego wydarzenia ma charakter duchowy: za materialną władzą nie stało już żadne przekonanie duchowe. Pragnienie wolności było ostatecznie mocniejsze od lęku przed przemocą, która nie miała już żadnego umocowania duchowego. Jesteśmy wdzięczni za to zwycięstwo wolności, które przede wszystkim było również zwycięstwem pokoju. A trzeba dodać, że w tym kontekście chodziło nie tylko, może nawet nie przede wszystkim, o wolność wiary, jednak o nią również. Dlatego możemy to wszystko łączyć w jakiś sposób także z modlitwą o pokój.

Ale co dokonało się potem? Niestety nie możemy powiedzieć, że od tamtego momentu sytuacja charakteryzowała się wolnością i pokojem. Nawet jeżeli nie jawi się zagrożenie wielką wojną, to jednak świat, niestety, pełen jest niezgody. Nie chodzi tylko o fakt, że tu i tam często dochodzi do wojen – przemoc jako taka jest potencjalnie zawsze obecna i charakteryzuje stan naszego świata. Wolność jest wielkim dobrem. Jednak świat wolności okazał się być w dużej mierze zdezorientowany, a wolność jest przez wielu błędnie utożsamiana z wolnością ku przemocy. Niezgoda przybiera nowe, zastraszające oblicza i walka o pokój musi w nowy sposób pobudzać wszystkich nas.

Spróbujmy spojrzeć z bliska na nowe oblicza przemocy i niezgody. Wydaje mi się, że z grubsza można wyróżnić dwie typologie nowych form przemocy, które są sobie diametralnie przeciwstawne jeśli chodzi o motywację, a w szczegółach przejawiają duże zróżnicowanie. Przede wszystkim jest terroryzm, który zamiast wielkiej wojny dokonuje ataków na konkretne cele, które w ważnych punktach mają uderzyć przeciwnika w niszczący sposób, bez jakiegokolwiek względu na życie niewinnych ludzi, którzy zostają okrutnie zabici, albo ranni. W oczach tych, którzy są odpowiedzialni, wielka sprawa zniszczenia nieprzyjaciela usprawiedliwia każdą formę okrucieństwa. Zostaje zanegowane wszystko, co w prawie międzynarodowym jest powszechnie uznane i sankcjonowane jako ograniczenie przemocy. Wiemy, że często terroryzm jest motywowany religijnie i że właśnie religijny charakter ataków służy jako usprawiedliwienie bezlitosnego okrucieństwa, które wierzy, że może pomijać przepisy prawa na mocy „dobra", do którego dąży. Tu religia nie służy pokojowi, ale usprawiedliwianiu przemocy.

Krytyka religii, począwszy od iluminizmu, nieustannie utrzymywała, jakoby religia była przyczyną przemocy. Dlatego podburzała do wrogości wobec religii. Jako osoby religijne musi nas dogłębnie niepokoić, że tu religia faktycznie motywuje przemoc. W sposób bardziej finezyjny, ale wciąż brutalny religia jawi się jako przyczyna przemocy również tam, gdzie dokonują jej obrońcy jakiejś religii przeciw innym. Przedstawiciele religii, którzy przybyli w 1986 roku do Asyżu zamierzali powiedzieć – a my z mocą i wielką stanowczością to powtarzamy – że to nie jest prawdziwa natura religii. Jest to natomiast jej wypaczenie i przyczynia się do jej destrukcji. Przeciw temu wysuwa się obiekcję: skąd wiecie jaka jest prawdziwa natura religii? Wasze twierdzenie nie wywodzi się czasem z faktu, że pomiędzy wami wypaliła się siła religii? A inni zaoponują: prawdziwie istnieje wspólna natura religii, która wyraża się we wszystkich religiach, a zatem słusznie odnosi się do nich wszystkich? Musimy zmierzyć się z tymi pytaniami, jeśli chcemy w sposób realistyczny i wiarygodny sprzeciwić się uciekaniu się do przemocy z motywów religijnych. Tu plasuje się fundamentalne zadanie dialogu między religiami – zadanie, które to spotkanie musi na nowo podkreślić. Jako chrześcijanin chciałbym powiedzieć w tym miejscu: tak, w historii również w imię wiary chrześcijańskiej uciekano się do przemocy. Uznajemy to z wielkim wstydem. Jest jednak całkowicie jasne, że było to bezprawne użycie religii chrześcijańskiej, w oczywistej sprzeczności z jej naturą. Bóg, w którego my chrześcijanie wierzymy, jest Stwórcą i Ojcem wszystkich ludzi, z czego wynika, że wszystkie osoby są dla siebie braćmi i siostrami, i stanowią jedną rodzinę. Krzyż Chrystusa jest dla nas znakiem Boga, który w miejsce przemocy kładzie cierpienie z bliźnim i miłość bliźniego. Jego imię to „Bóg miłości i pokoju" (2Kor 13, 11). Jest zadaniem wszystkich, którzy ponoszą jakąkolwiek odpowiedzialność za wiarę chrześcijańską, nieustannie oczyszczać religię chrześcijan, poczynając od jej wewnętrznego centrum, aby – mimo ludzkiej słabości – była prawdziwie narzędziem Bożego pokoju w świecie.

Jeśli podstawowa typologia przemocy jest dziś motywowana religijnie, co stawia religie wobec kwestii ich natury i zmusza nas wszystkich do oczyszczenia, druga typologia przemocy o różnorakich wyrazach posiada motywację całkowicie przeciwstawną: jest to konsekwencja braku Boga, Jego negacji i utraty człowieczeństwa, która wraz tym się dokonuje. Nieprzyjaciele religii – jak powiedzieliśmy – dopatrują się w niej pierwszorzędnego źródła przemocy w historii ludzkości i na skutek tego domagają się zaniku religii. Jednak „nie" w odniesieniu do Boga wytworzyło okrucieństwo i przemoc bez miary, które stały się możliwe tylko dlatego, że człowiek nie uznawał już żadnej normy i żadnego sędziego nad sobą, lecz przyjmował za normę jedynie siebie samego. Horror obozów koncentracyjnych pokazuje z całą przejrzystością konsekwencje braku Boga.

Nie chciałbym jednak zatrzymywać się tu na ateizmie narzuconym przez państwo; chciałbym raczej mówić o „dekadencji" człowieka, w konsekwencji której po cichu, a więc w sposób bardziej niebezpieczny, dokonuje się zmiana klimatu duchowego. Uwielbienie mamony, posiadania i władzy jawi się jako kontr-religia, w której nie liczy się już człowiek, a jedynie osobista korzyść. I tak, na przykład, pragnienie szczęścia przeradza się w niepohamowane i nieludzkie pożądanie, które przejawia się we władaniu narkotyków w ich różnorakiej formie. Są wielcy, którzy robią na nich interesy, i jest wielu, którzy są przez nie zwiedzeni i zrujnowani zarówno na ciele, jak i na duszy. Przemoc staje się normalną rzeczą i zagraża wyniszczeniem naszej młodzieży w niektórych częściach świata. Ponieważ przemoc staje się rzeczą normalną, pokój jest zniszczony, a w tym braku pokoju człowiek wyniszcza samego siebie.

Brak Boga prowadzi do upadku człowieka i człowieczeństwa. Ale gdzie jest Bóg? Znamy Go i możemy Go na nowo przedstawić ludzkości, aby budować prawdziwy pokój? Podsumujmy wpierw krótko nasze dotychczasowe refleksje. Powiedziałem, że istnieje pewne pojmowanie i użycie religii, przez które staje się ona źródłem przemocy, podczas gdy ukierunkowanie człowieka na Boga, przeżywane właściwie, jest mocą pokoju. W tym kontekście przywołałem konieczność dialogu i mówiłem o zawsze niezbędnym oczyszczeniu przeżywanej religii. Z drugiej strony stwierdziłem, że zaprzeczenie Boga deprawuje człowieka, pozbawia go umiaru i prowadzi do przemocy.

Obok dwóch rzeczywistości, jakimi są religia i anty-religia, w rozrastającym się świecie agnostycyzmu, istnieje także inna fundamentalna orientacja: osoby, którym nie został udzielony dar możliwości wierzenia, które jednak poszukują prawdy, poszukują Boga. Tego typu osoby nie twierdzą po prostu: „Żaden Bóg nie istnieje". Cierpią z powodu Jego braku, poszukując tego, co prawdziwe i dobre, wewnętrznie są na drodze ku Niemu. Są „pielgrzymami prawdy, pielgrzymami pokoju". Zadają pytania zarówno jednej, jak i drugiej stronie. Odbierają walczącym ateistom ich fałszywą pewność, z jaką uznają się za wiedzących, że Bóg nie istnieje, i zachęcają ich, by nie byli ludźmi polemizującymi, ale by stawali się tymi, którzy poszukują, którzy nie tracą nadziei, że prawda istnieje i że możemy i powinniśmy czynnie nią żyć. Zwracają się jednak również do wyznawców religii, aby nie traktowali Boga jak własność, która do nich należy do tego stopnia, że mogą czuć się upoważnieni do przemocy wobec innych. Te osoby szukają prawdy, szukają prawdziwego Boga, którego obraz nierzadko jest ukryty z powodu sposobu, w jaki religie częstokroć są praktykowane. To, że oni nie są w stanie odnaleźć Boga zależy również od wierzących, którzy mają zredukowany albo wypaczony obraz Boga. W ten sposób ich walka wewnętrzna i ich dociekliwość są także dla wierzących wezwaniem do oczyszczania własnej wiary, aby Bóg – prawdziwy Bóg – stał się dostępny. Dlatego celowo zaprosiłem przedstawicieli tej trzeciej grupy na nasze spotkanie w Asyżu, które nie gromadzi jedynie przedstawicieli instytucji religijnych. Chodzi raczej o to, by być razem na tej drodze ku prawdzie, o zdecydowane zaangażowanie na rzecz godności człowieka i o wspólne podejmowanie sprawy pokoju przeciw wszelkim rodzajom przemocy niszczącej prawo. Na zakończenie chciałbym was zapewnić, że Kościół katolicki nie zaprzestanie walczyć przeciw przemocy i angażować się na rzecz pokoju w świecie. Pobudza nas wspólne pragnienie, by być „pielgrzymami prawdy, pielgrzymami pokoju".

"Be hungry, be foolish!" anche voi della Uil

Per l’ennesima volta il centro di Roma è bloccato. Stavolta non c’entra l’alluvione né, strano a dirsi, un guasto ai mezzi pubblici ma uno sciopero del pubblico impiego indetto dalla Uil.. Ammetto la mia ignoranza ma non ne so la ragione anche se immagino che tra le altre, vi sia la questione dei così detti “licenziamenti facili” di cui il Presidente Berlusconi ha parlato nella ormai famosa lettera inviata alla UE.
Ritengo giusto fare una precisazione. Lavorare è un diritto-dovere di ogni cittadino; la retribuzione deve essere sufficiente per poter aver una "esistenza libera e dignitosa" ma anche “proporzionata alla quantità e alla qualità di lavoro prestato”! Non è bene generalizzare ma alcuni dipendenti pubblici non sanno ancora di trovarsi nel XXI secolo. Per loro una lettera si manda solo con francobollo; l’inglese è una lingua sconosciuta; i blog sono qualcosa di peccaminoso e la PEC è una visita specialistica dal medico! Quanti ragazzi, invece, hanno lauree, master, certificati che attestano la conoscenza di una o due lingue straniere e stanno fuori dal mondo del lavoro sentendosi dire troppo spesso ahimè che sono troppo qualificati per il lavoro offerto?
Questi pensieri mi portano alla mente una lettera al direttore, letta qualche giorno fa, inviata presumibilmente da un signore di mezza età che difendeva il valore del precariato e diceva ai giovani di fare come Steve Jobs “Be hungry. Be foolish!”. A quel signore rispondo: prendete anche voi i licenziamenti facili come una opportunità altrimenti è troppo comodo parlare quando la vita da affamati la fanno gli altri!
Sonia Zeta

La morte in diretta è una cosa, il funerale un'altra

Marco Simoncelli è morto in diretta, in quel modo tragico ma che fa entrare nel mito, o restarci nel caso dei campioni conclamati.
E' morto in diretta tivvu perchè in diretta tivvu correva e sapeva bene che ogni sua espressione, curva, accelerata, parola sarebbe diventata di dominio pubblico.
Simoncelli and company sanno bene che se muori correndo muori in diretta tivvu e quelle immagini saranno le più cliccate della settimana da parte di tutti i curiosi del mondo.
Se quindi, per un campione dello sport, non vi è possibilità di scelta tra il morire in diretta o no, credo che diverso sia il discorso per i Funerali del campione dello sport.
Ieri vi era la diretta da Coriano su Rai2, Rai Sport, Rainews, Italia1 e Sky: mi sono fermato a questi, non ho più cambiato canale ma spento il televisore.
Ho, tra i primi, scritto anche da queste colonne che Simoncelli andava ricordato nel silenzio e nella preghiera, quindi non ho timore reverenziale, verso lui e da di lui morte, a dire che ho trovato esagerata questa multi diretta televisiva.
Perchè se si fa una diretta tivu per i funerali di Simoncelli, allora ci vorrebbe anche per i due coniugi di Borghetto che hanno appena ritrovato morti, e per i morti di ogni giorno sul loro posto del lavoro, e per quel lavoratore cingalese (di cui abbiamo parlato anche qui) morto a Roma causa alluvione: anche lui, anche loro, eroi per qualcuno, forse per i figli, per la moglie e per quelli che comunque mantenevano coi loro sacrifici ed eroismi quotidiani.
Vista l'alta mortalità la nostra televisione sarebbe un rimandare continuamente funerali e, data la bassezza culturale di alcuni programmi, forse nessuno ne noterebbe la differenza!
Sono d'accordo per i funerali in diretta quando si tratta dei nostri militari morti in Missione.
Per Simoncelli no, non sono d'accordo.
Non per lui, ovviamente, mi capite, ma per tutti i campioni dello sport: un bel servizio al telegiornale sarebbe bastato tanto il popolo del web ha già decretato che Marco in Paradiso sta insegnando agli Angeli ad impennare... quindi, se ci riuscite, fatemi una diretta da là!
Giorgio Gibertini Jolly

Bocciare "Il Ponte" prima di "un ponte"

Una volta il Governo propose di sopprimere tutti i Ponti allarmando gli italiani tutti che soggiornano su questa terra, tra una occupazione e l'altra, ma in attesa di "soggiornare", nel vero senso della parola, fuori città per qualche ora.
Ora, per mantenere la parola data, il Governo ha soppresso un unico Ponte e, grazie a Dio, non è quello che ci stiamo accingendo a vivere, ma il Ponte per eccellenza, quello che da venti anni è il fiore all'occhiello del Premier Berlusconi,  il suo refrain ancor più che nei motivetti francesi canticchiati alle sue feste: il Ponte sullo Stretto di Messina.
Cosa è successo ieri? Il ponte sullo stretto di Messina non si farà (forse mai più) per volontà non dell'opposizione, ma del governo. L'aula della Camera ha approvato una mozione dell'Italia dei valori che impegna il governo alla «soppressione dei finanziamenti» previsti per la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. Il testo è passato con il parere favorevole del governo, probabilmente preoccupato in caso di parere contrario di essere battuto nuovamente alla Camera.
Prevale in me il dispiacere perchè già mi ero visto con la mia Multipla sfrecciare sullo Stretto e scaricare la mia famiglia in una delle terre più belle al mondo: l'idea di arrivare stanco e provato a Reggio Calabria dopo un viaggio infernale ed aspettare Caronte (Caron Dimonio dagli occhi di bragia) per andare in Sicilia mi blocca il motore e prosciuga il metano!
Soprattutto però il mio dispiacere è anche politico e personale verso Silvio al quale, quando ho potuto, mi sono rivolto chiedendogli (implorandogli quasi) di andare avanti almeno con le Grandi Opere, quello per cui la gente si sarebbe sempre ricordato di lui, nel tempo che è capace anche di far dimenticare gli aspetti negativi dei condottieri, figuriamoci dei Presidenti del Consiglio.
Quanti dei nostri nonni conducendoci alla Stazione Centrale di Milano ci hanno detto: "questa l'ha costruita il Mussolini e con lungimiranza. Allora negli anni venti c'erano solo pochi treni e lui già costruì più di venti binari". Io me lo sono sentito ripetere in tutti i modi e, tralasciando il giudizio storico su Benito, possiamo dire in tutta sincerità che molte delle grandi opere le ha fatte costruire lui e reggono ancora in piedi il sistema infrastrutturale italiano?
L'ho detto.
Non finire in venti anni la Salerno-Reggio Calabria è un'altra delle promesse mancate di Berlusconi ed un mio grande dispiacere.
Mandaci l'esercito, gli ho detto a Silvio: un chilometro di strada, dieci asfaltatori e cento militari, dov'è il problema? Alle stazioni della metropolitana c'è sempre l'esercito, quindi dove sta la difficoltà?
Peccato!
Non so se l'opera del Ponte sullo Stretto di Messina è, era, necessaria o meno.
So che ormai non la vedremo più per davvero e continueremo a lamentarci ed affollare la Puglia che costa un po' di più.
Intanto me ne vado per il Ponte di Ognissanti prima che mi sopprimano anche questo!
Giorgio Gibertini Jolly

La Camera recede dal contratto di affitto di uno dei suo palazzi che poteva comprare!

La Camera dei Deputati ha deciso di recedere dal contratto di affitto del Palazzo (questo il nome che viene usato dagli addetti lavori per riferirsi agli edifici in cui i parlamentari hanno la sede delle loro segreterie) Marini 1, ovvero uno dei tanti palazzi dove vi sono gli uffici dei Deputati. La decisione è stata presa dopo aver fatto due conti e aver compreso (meglio tardi che mai!) che al prezzo di 1000 miliardi di lire, a tanto, infatti, ammonta il canone di locazione del complesso dei Palazzi, forse avrebbe potuto comprarli con tutti gli addetti ai lavori, ricomprendoli d’oro.
E invece, purtroppo, la storia è diversa perché gli addetti al servizio dei Palazzi non essendo né commessi Camera né addetti alle pulizie, né assunti come dipendenti pubblici (nessuno di loro ha sostenuto una selezione o ha vinto un concorso pubblico per entrare) insomma non essendo né carne né pesce, stanno rischiando il posto di lavoro. Non ci sarebbe, ahimè, nulla di strano in un momento di crisi profonda qual è quello che sta attraversando l’Italia in questo periodo (chissà quanti in questi giorni stanno andando in cassa integrazione senza che di loro la “Casta” si interessi). L’eccezioni in questo caso sussiste in quanto sembra che il proprietario dei Palazzi stia tentando di tutto, anche far leva sul pietismo sociale prima di perdere la gallina dalle uova d’oro. Chi uscirà vittorioso tra questa guerra di colossi? La partita è aperta e le scommesse ben accette.
Sonia Zeta