10/12/11

Quando a scuola nasce un libro

"Via col tempo - Un volto. Un mistero. Una vita." è il titolo del romanzo scritto da Jeiqu. Ma cos’è Jeiqu? Jeiqu è un collettivo di studenti dell’istituto Primo Levi di Seregno, nato grazie all’unione di alcuni ragazzi delle sezioni Q e J del biennio 2008/2010 e con il supporto dei professori Angela Pominelli e Massimo Viganò e del dirigente scolastico Giuliana Colombo.
Jeiqu è: Beatrice Barzaghi, Luana Bonfino, Jessica Cappello, Raffaele Di Staso, Lisa Donadel, Marzia Gigante, Emilia Lacertosa, Celeste Mancuso, Stefano Ponti, Silvia Rovelli e Giulia Sbardolini.
Il romanzo nato da un percorso scolastico non comune è un fantasy ma anche un romanzo di formazione proprio perché composto a più mani da adolescenti che hanno messo nel testo le loro emozioni.
Una vecchia foto è la chiave di un enigma che il giovane Alberto è chiamato a risolvere, insieme alla sua amica Martina che lo guida standogli accanto. Alberto nota che uno dei personaggi ritratti ha le sue stesse fattezze, ma la fotografia è stata scattata più di un secolo prima. Il viaggio li trascina nel passato attraverso epoche diverse, grazie a una macchina del tempo che i due amici rinvengono in un edificio. Alberto entra in possesso di brandelli di verità che cambiano il suo presente e il rapporto con Martina. Al termine del viaggio ogni domanda troverà una risposta, si tratta di un percorso alla ricerca di sé stessi, che comporta fatica e impegno. Il romanzo si conclude con le parole della canzone “Il cerchio della vita” perché in queste parole gli autori vedono la vita che prosegue.
Sara Citterio
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Associazione Officine Briantee
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Ici e chiesa cattolica: ci vorrebbe un film dell'altro mondo!

Scrivo questa lettera al direttore di Avvenire che non solo la pubblica ma anche la risponde. La ripropongo qui per i gentili lettori di Frews. 
Caro direttore, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire o peggio di chi non è in grado di leggere, e comprendere, quello che lei e i suoi collaboratori ogni giorno riportate sulla questione Ici e immobili della Chiesa. Allora mi è venuta un’idea. Pochi giorni fa ho visto il film 'Cose dell’altro mondo' di Francesco Patierno.
 Lo conosce? Il film è ambientato in una delle tante città del Nordest dove l’immigrazione ormai incide concretamente sul tessuto sociale: immigrati che lavorano nelle fabbriche, che curano i nostri figli e i nostri anziani, che servono al bancone del bar e via dicendo. Un bel mattino però, dopo un fenomeno temporalesco anomalo, tutti gli extracomunitari spariscono nel nulla e quindi... chi si prende cura dei nostri anziani?
Chi ci prepara il caffè? Chi stira a casa nostra?
Chi va a fare la spesa o fa andare avanti le nostre fabbriche? Il film si regge su questa iperbole e l’improbabilità della stessa suscita moltissime domande e regala tanti spunti di riflessione. E se trovassimo un regista coraggioso che trasportasse questa iperbole anche nel mondo della 'Chiesa esentata dall’Ici?' Cioè se per un giorno tutte le opere di carità della Chiesa cattolica in Italia si fermassero, che cosa accadrebbe? Sarebbero i radicali a dare da mangiare a tutti i barboni delle stazioni? Ci penserebbero i deputati non informati a vegliare nella notte i malati? E via proseguendo con gli esempi. Visto che i male informati, o meglio i male intenzionati, la verità non la vogliono 'leggere', facciamogliela vedere, sbattiamogliela in faccia ma, siccome siamo cristiani, prima cominciamo con un bel film o un documentario. 
Giorgio Gibertini, Roma

Lo scorso settembre, Bruno Manfellotto, direttore dell’Espresso, mi invitò da collega e persona seria qual è, a esprimere sul suo settimanale un «diverso parere» a proposito della campagna politico-mediatica (alla quale, come si sa, partecipano alcune firme di quella testata e del gruppo editoriale di cui essa fa parte) che purtroppo continua a distorcere sino al capovolgimento della realtà e della verità la questione «Ici e Chiesa».
 Sintetizzai in poche righe fatti e regole, tutto ciò che i lettori di Avvenire e coloro che non vivono su una nuvola polemica ma nella realtà vera del nostro Paese sanno bene: e cioè che cosa sono le opere assistenziali, educative e ricreative promosse dai cattolici e perché godono di alcuni benefici che non riguardano solo loro e non spettano in alcun modo alle attività commerciali. E conclusi così, caro Gibertini: «Sono quattro anni, da quando una ciclica campagna che si nutre sempre degli stessi luoghi comuni ha preso a rombare, che lo scriviamo. Dati alla mano. Gli alberghi (con tanto di cappellina…) di proprietà di enti religiosi pagano Ici e tasse. Le case di proprietà di enti religiosi date in affitto pagano Ici e tasse. Se qualcuno non lo facesse, violerebbe la legge. E andrebbe sanzionato. Punto. Ecco perché dico che i promotori della nuova campagna anti-Chiesa, che ha risposto acremente agli appelli del mondo cattolico per misure fiscali pro-famiglia e anti-evasione, vogliono in realtà 'tassare la solidarietà'. Solo quella, oggi, è esentasse. Chiunque altro, risponderebbe con una serrata dimostrativa di almeno sette giorni delle proprie attività. Ma una settimana senza carità cristiana l’Italia non se la merita e non se la potrebbe permettere, soprattutto oggi. E i cattolici, poi, non sanno neanche come si fa una serrata».
Continuo a pensarla così. Ma un film, forse, aiuterebbe a vedere e a capire quale 'bestemmia' sia raccontare le opere di bene come una 'sottrazione di ricchezza' e non come un grande (e inquantificabile) valore aggiunto in una società come la nostra.
Credo che ci sia bisogno di onestà e di chiarezza anche nel condurre una polemica. La stessa «chiarezza» che la Chiesa mostra a tutti nello svolgimento della sua missione e che ieri il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha confermato essere la stella polare dei cattolici. Invece, caro amico, devo prendere atto che nella saga delle chiacchiere e delle invettive anticlericali, di poco chiari e di intellettualmente disonesti ce ne sono in giro troppi.
Marco Tarquinio direttore di Avvenire