02/04/12

Giovanni Paolo II, un ragazzo e quella promessa mantenuta

Oggi, settimo anniversario della morte del beato Giovanni Paolo II, mi tornano alla mente tante immagini, riflesso di altrettanti ricordi. A cominciare dalle impressioni del primo momento, scaturite da quel volto simpatico e inaspettatamente giovane che si affacciava per la prima volta dalla Loggia delle Benedizioni, e da quella voce forte e chiara che si levava nuova, nel suo italiano da correggere. Un volto e una voce che riempirono di aspettative quel giovane liceale che assisteva da lontano, incuriosito, a quell'evento storico per la Chiesa e per il mondo. 

Di questo eccezionale Papa è stato scritto e detto tutto. Preferisco quindi «raccontarlo» con gli occhi di un giovane, oggi quasi cinquantenne, la cui vita è stata in qualche modo accompagnata dalla sua, incrociandola in alcune circostanze, rimanendone segnata indelebilmente. 

Il pensiero va a quei primi momenti. Quelli della «promessa» che inconsciamente prendeva corpo in me dinanzi a quel Papa straniero, così diverso dai predecessori, o meglio, dall'immagine dei predecessori che mi era giunta e che così poco conoscevo. Quella sera del 16 ottobre 1978 accolsi la notizia del Papa venuto dalla Polonia con la spensieratezza di ragazzo, non ancora quindicenne, ma con un barlume di consapevolezza della novità che in qualche modo quella elezione avrebbe significato. Certo non sapevo come, né perché. Tanto meno potevo immaginare che la mia vita professionale sarebbe stata legata a quel Papa. 

Mi colpirono subito - come colpirono tutti, credo - il suo temperamento, il suo vigore giovanile, la sua umanità. E quella voce. Bastarono le prime parole a conquistarmi, come conquistarono quel gruppetto di ragazzi e ragazze dell'Azione Cattolica parrocchiale, subito presi da un istintivo moto di simpatia. Eppoi quel «non abbiate paura», pronunciato qualche giorno dopo nella prima, indimenticabile omelia: il programma di un Pontificato. C'era tutto. Era già diventato il «nostro» Papa. Era il «mio» Papa. 

Man mano che il suo ministero procedeva e quel programma si esplicitava nel quotidiano Magistero, cresceva la nostra ammirazione per Giovanni Paolo II. Sapeva parlare a noi giovani, toccava le corde giuste, usando un linguaggio diverso, poco formale, diretto. Ci piaceva, perché ci chiamava ad essere protagonisti. A noi affidava, con coraggio, le speranze del mondo e della Chiesa. In una società sempre più secolarizzata e piena di contraddizioni, lo sentivamo vicino alla nostra esperienza di fede, al nostro cammino di giovani alla ricerca di motivazioni ulteriori al nostro credere. Le sue parole, la sua testimonianza riempivano quel vuoto di valori e di senso che avvertivamo attorno a noi in quegli anni difficili. Ci invitava a seguire Cristo e sentivamo di poterci fidare di lui. 

Ricordo il primo viaggio dalla mia Termoli a Roma con l'Azione Cattolica, l'entusiasmo del primo incontro con il Papa. L'ansia di ascoltare «dal vivo» quella voce carismatica che sapeva coinvolgere, capace di alternare in un attimo il tono scherzoso con la riflessione profonda, con l'esortazione esigente, che ti toccava dentro. Sorprendendo, sempre. E come dimenticare le prime Giornate Mondiali della Gioventù, una delle grandi intuizioni di Giovanni Paolo II, quell'emozionante e ripetuto incontro di cuori con il suo cuore di padre. 

Che tenerezza, pensando ad allora e a tutto il suo dialogo con le nuove generazioni, scoprire che proprio ai giovani, raccolti in preghiera in Piazza San Pietro, egli ha rivolto, morente, uno dei suoi ultimi pensieri: «Vi ho cercato, adesso siete venuti da me. E per questo vi ringrazio». 

Penso spesso anche al 13 maggio 1981, quando quel proiettile assassino tentò - vanamente, grazie all'intercessione della Vergine di Fátima - di portaci via quel Papa che avevamo appena cominciato ad amare e ad apprezzare. Vissi, insieme con familiari ed amici, quel vile attentato come un infausto tentativo di fermare l'uomo che la Provvidenza aveva posto sul nostro cammino. E quanto sollievo, quanta gratitudine a Dio e alla Madonna per lo scampato pericolo. Una gratitudine che avremmo ripetuto più volte nel tempo. 

Ricordo, poi, il primo incontro «personale» con Giovanni Paolo II due anni dopo, durante l'Anno Santo Straordinario della Redenzione. Eravamo vicino a San Pietro, nella chiesetta di san Lorenzo, appena divenuta punto di riferimento dei giovani pellegrini di tutto il mondo. Alla fine della Santa Messa il Papa si intrattenne con noi, volle salutarci uno ad uno, chiedendoci chi fossimo e da dove venivamo. Un'emozione incredibile. Chi l'avrebbe detto: io, giovane studente universitario fuori sede, che parlo nientemeno che con il Papa! 

Ma i «chi l'avrebbe detto», nella mia vita in relazione a Giovanni Paolo II, non sarebbero terminati lì. Solo qualche mese dopo, per una serie di circostanze provvidenziali, nella mia Termoli ero nell'ufficio stampa allestito dalla diocesi per la visita del Papa il 19 marzo 1983. Quella mattina, appena diciannovenne, stringevo, chiusi in una busta «vaticana», i discorsi sotto embargo che il Santo Padre avrebbe tenuto nella giornata, da consegnare ai giornalisti. Un segno del destino: chi l'avrebbe detto che dopo poco più di un anno mi sarei ritrovato a collaborare con il suo giornale, divenendone poi redattore. 

Il lavoro di ogni giorno, dunque, la condivisione di momenti indimenticabili, soprattutto alcune visite nelle parrocchie romane, con l'ansia di non perdere nulla di ciò che il Papa diceva «a braccio», ma con la gioia di aver vissuto qualcosa d'importante. Ricordo in particolare alcune di quelle visite. Come quando, nell'incontro con un gruppo di suore della comunità, prima di iniziare il suo consueto discorso, si fece largo tra le religiose dicendo: “Fatemi prima salutare il mio giornalista”; e mi pescò nell'angolino, vicino all'altoparlante, col in registratore in mano, sorpreso da tanta sollecitudine. Conservo gelosamente la sequenza fotografica di quel dono inatteso. O come quando, passandomi accanto per raggiungere dalla sagrestia un salone dove lo aspettavano i giovani della parrocchia, mi disse: “Buon Natale, a te e alla tua famiglia”, cogliendomi impreparato; già pensava al Natale, perché dopo qualche giorno sarebbe cominciato il periodo d'Avvento. Sono stati gli auguri natalizi più in anticipo che abbia mai ricevuto, oltre che i più graditi. 

Tanti ricordi, dunque. Fino a quelli legati all'ultimo viaggio, a Loreto, nell'ottobre del 2004, per il pellegrinaggio dell'Azione Cattolica. Già, l'Azione Cattolica di quel ragazzo che accolse con gioia quell'«Habemus Papam» e che a quel Papa si era legato nel lavoro. E ai servizi da Piazza San Pietro, con il cuore segnato dal dolore, per raccontare il lutto per quel Papa che era tornato alla casa del Padre. 

Ma ripenso anche a quello che accade qualche poco tempo prima, quando - esaudendo uno spontaneo desiderio dei miei due figli, Silvia e Alessandro - li accompagnai al Policlinico Gemelli, non lontano da casa. Volevano salutare il Papa malato e dire una preghierina per lui. Fu uno degli Angelus silenziosi, eppure così intensi, degli ultimi giorni. Lo confesso, mi commossi. E mi commuovo ancora per quell'ultimo incontro vissuto come «personale», nonostante la folla radunatasi nel piazzale dell'ospedale. 

Oggi sfoglio con emozione il mio personale album fotografico di ricordi. Mi rivedo ragazzo accanto a Giovanni Paolo II a san Lorenzo. Poi nel lavoro, al servizio del suo ministero petrino. E mi rivedo, infine, adulto accanto a lui con la mia famiglia,in alcuni momenti preziosi d'incontro. Ogni sera, durante il lungo calvario del Papa, lo sguardo andava inevitabilmente, quasi inconsapevolmente, alla foto appesa a una parete del nostro soggiorno: Giovanni Paolo II che, nella maestosità della Cappella Sistina, amministra il Battesimo alla nostra secondogenita, il 10 gennaio 1999. Chi l'avrebbe detto! Quel giorno pregò per Silvia e per tutti noi. 

Fu un dono immenso che unì la nostra famiglia a lui in modo particolare. Un sigillo prezioso custodito nei nostri cuori. Prezioso quanto il privilegio di aver avuto una sia pur piccola parte - con i miei limiti e le mie inadeguatezze, ma con il cuore - nella sua straordinaria missione. 

E da qualche anno la data odierna ha un significato ancora più speciale per me: il 2 aprile 2009 è morto il mio papà, Pietro. Aveva la stessa età dell'amato Papa. Io credo che nulla avvenga per caso. E unirli oggi nel ricordo e nella preghiera mi è particolarmente caro.

Gaetano Vallini
(in foto uno dei miei incontri con Giovanni Paolo II, era il 1983)

Se il fenomeno di massa conta più dell'individuo: il dolore di Massimo Calearo


Chi e' senza peccato scagli la prima pietra, disse Gesù più di duemila anni or sono. E poco importa che voi siate atei o credenti, laici o cattolici, perché nessun invito fu mai più giusto. Monito che, a quanto pare, sono ancora in molti a non aver recepito o ad aver rifiutato, optando per un comportamento spregiudicato e poco curante dei sentimenti altrui. E' il caso della vicenda di Massimo Calearo, l'ex esponente del Partito Democratico, ora nel gruppo Misto, che un paio di giorni fa, durante la trasmissione di Radio 24, La Zanzara, ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno fatto indignare mezza Italia. "Rimango deputato solamente per pagarmi il mutuo", ha affermato il parlamentare con tono guascone, scatenando le ire di quanti si sono sentiti profondamente offesi da tali affermazioni, quasi spregiatorie dell'Istituzione che il parlamentare rappresenta o che, comunque, dovrebbe rappresentare. Nulla da opporre alla veemente reazione della classe politica e dell'opinione pubblica. Chi d'altronde non si e' almeno un po' infastidito di fronte a cotanto disprezzo per la situazione difficile che viviamo? Anche se in tutta questa storia c'e' una doppia chiave di lettura che va presa seriamente in considerazione e che ha fatto passare dalla parte del torto coloro che giustamente avevano manifestato il loro sdegno. Chiave che va ricercata nella dichiarazione di scusa di Massimo Calearo, il quale, rendendo pubblico il dolore di questi mesi per la malattia e la morte della moglie, ha dimostrato di aver pronunciato quelle parole in un momento difficile della sua vita e che forse giustifica, anche se parzialmente, cio' che ha detto. Ma questo, come spesse volte accade, non e' bastato a placare quello sdegno che con il passare delle ore è diventato becero livore. Perché nessuno si è fermato a pensare che coscienza umana ha dei limiti, che i freni inibitori subiscono un cambiamento radicale rispetto alle situazioni che viviamo, che magari quell'uomo soffre esterna il suo dolore affermando cose assurde. La pubblica piazza, infatti, ha continuato a infierire anche dopo, dimostrando di non saper più discernere la semplice condanna dal disprezzo umano. Impossibile capire se questa perdita di valori sia un fenomeno circoscritto o in espansione, così come è inimmaginabile pensare che l'insensatezza della massa abbia potuto spegnere il lume della ragione del singolo. Ed è proprio per questo che vien da chiedersi chi tra noi non avrebbe fatto altrettanto in un momento difficile. Perché infondo errare humanum est, perseverare autem diabolicum.




Eugenio Cipolla

L'Inter ieri ha vinto, è tutto vero non è un Pesce d'Aprile

L'Inter ha vinto col Genoa. Nessuno ci crede. Gli amici attorno al tavolo continuano a giocare a carte e nessuno guarda gli schermi della tivu appesi ovunque in questo pub. Te lo assicuro: l'Inter ha vinto, 5 a 4, in casa, alla prima uscita di Stramaccioni. Il mio amico cala l'asso e piglia tutto: gli altri ora sì lo guardano attonito. Io insisto: Stramaccioni è come Mourinho, gioca col 4-3-3 così Milito ha segnato 3 goals, si è vista la vecchia Inter, la grande Inter, possiamo puntare al terzo posto se non di più.
Niente. Silenzio attorno.
Anche io ad un certo punto non ci credo più e non mi basta l'sms di conferma sul cellulare, cerco notizie anche su internet, chiedo conferma al numero verde di Sky e di Premium e mi rassegno a tornare a casa e chiedere all'edicolante: è tutto vero od è un pesce d'Aprile?
Diavoletto Buono

Un occhio sul mondo 1: Mile Stojkoski e la disabilità in...autostrada

Ci sono volte durante le quali un istante vale piu' di mille parole. Volte dove una semplice immagine esprime qualcosa di indescrivibile.

Parte oggi "Un occhio sul mondo", la nuova rubrica settimanale di Frews sulla fotografia d'attualita'. Un lungo viaggio che ci porterà a proporvi, ogni settimana, un istante di vita che possa trasmettervi emozioni profonde.

La foto di questa settimana ritrae Mile Stojkoski, un atleta paraplegico macedone, che, per sensibilizzare la situazione delle persone che soffrono di disabilita' fisica, ha deciso di intraprendere un lungo viaggio che lo porterà dalla sua città natale, Krusevo, in Macedonia ovviamente, a Londra, dove parteciperà alle prossime paralimpiadi. Stojkoski non percorrerà i 3500 km che lo separano da Londra con una macchina, e nemmeno con un aereo, ma semplicemente armato della sua inseparabile carrozzina.

A Mile non possiamo che fare un augurio di cuore e sperare che la sua determinazione e perseveranza possano un giorno premiarlo.

(foto di Marco Djurica per REUTERS)

A proposito di genitori, bambini ed educazione cristiana.


Con questo post rispondo alla serissima domanda fatta da Francesca in un articolo precedente. Ma il dibattito è aperto.

Allora, io la vedo così. Anzitutto credo non valga la pena rifarsi all’una o all’altra esperienza per far propendere il discorso di qui o di là: le esperienze sono sempre molto complesse, difficili e usate per lo più per auto-giustificarsi, non per conoscere davvero.

La prima parte ...

94 persone congelate uccise al San Filippo Neri: il dolore dei famigliari

Guasto all'impianto di crioconservazione del centro di procreazione assistita del San Filippo Neri di Roma, che ha causato la perdita di 94 persone allo stadio embrionale che vi venivano conservati, oltre a 130 ovociti e 5 campioni di liquido seminale. Lo rende noto l'ospedale romano, che annuncia un esposto alla procura di Roma. "Il giorno 27 marzo presso il centro di Procreazione medicalmente assistita dell'ospedale San Filippo Neri - si legge nel comunicato - si è verificato un incidente all'impianto di azoto liquido che alimenta il servizio di criobiologia per la crioconservazione di materiale biologico. Si è verificato un innalzamento della temperatura, con azzeramento del livello di azoto, lo svuotamento del serbatoio, e la conseguente perdita di 94 embrioni, 130 ovociti e 5 campioni di liquido seminale. Dopo aver effettuato i primi accertamenti sull'accaduto la struttura responsabile del Centro ha avviato le procedure per informare le persone interessate assistite dal Centro Pma del San Filippo Neri. Il direttore generale Domenico Alessio ha, inoltre, presentato un esposto alla procura della Repubblica di Roma e ha contestato quanto accaduto alla ditta responsabile della conduzione e manutenzione dell'impianto di crioconservazione".
Embrione: chi è costui? 
Noi, io, e te, appena concepiti, nei primi mesi, nei primi giorni.
Cercando di tradurre in termini umani questo "freddo" comunicato, e tutte le ricostruzioni giornalistiche di questi giorni, provo a fare un riassunto semplice semplice.
40 coppie italiane con difficoltà ad avere una gravidanza sono ricorse, nel tempo, alle tecniche di fecondazione artificiale che prevedeva anche la creazione di bambini in provetta e poi la crio conservazione di questi in attesa di tentativi di impianto nel grembo materno per farli crescere e poi nascere . Capisco il dolore delle 40 coppie (80 genitori) che hanno perso in questo modo tragico il loro figlio che nessuno più, neanche lo "scongelamento" potrà loro restituire.
Bisogna anche dire che la  Legge 40 (quella famosa sulla Procreazione medicalmente assistita) vietava la conservazione di embrioni, proprio per scongiurare anche questi episodi, fino a quando non è stata quasi per intero stravolta dalla Corte Costituzionale.
I colpevoli morali di questa strage di nascituri sono tanti ma per oggi concentriamoci su questi nostri concittadini che non vedranno la luce e preghiamo per loro e per le loro famiglie.


Perchè gli anziani in autobus si dirigono sempre verso gli stranieri?

Un mio carissimo amico dell'Angola (ma vive in Italia da 19 anni) mi dice che sugli autobus di Roma lui nota spesso che le persone anziane quando salgono, per farsi cedere il posto, vanno più volentieri verso uno straniero (quelli che si direbbero di colore) perchè sono più deboli e perchè "noi ci sentiamo in obbligo" a cedere il posto.
Non concordo del tutto col mio caro amico.
Secondo me le persone anziane si dirigono verso le persone straniere (di colore) solo perchè queste sono più gentili e cedono il posto più volentieri di una giovane, od una giovane, italiana.
E' accaduto questa mattina sul 46. Stasera glielo dico al mio amico.
Buongiorgio

SETTIMANA SANTA: Lunedì.

Vangelo Gv 12, 1-11
Lasciatela fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura.

Dal vangelo secondo Giovanni
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali.
Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.
Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.
Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.