Il testamento biologico, altrimenti detto "living will" altro non è se non un documento scritto con il quale una persona, perfettamente capace di intendere e volere, quindi nel pieno delle sue capacità mentali e fisiche, stabilisce nero su bianco, quali dovranno essere le cure alle quali intende o non intende sottoporsi, se si dovesse trovare nelle condizioni di non poter esprimere più il suo giudizio. In pratica, si tratta un documento scritto che costituisce l'unico ponte di dialogo tra il medico e il paziente che ha perso ogni facoltà intellettiva a causa di una malattia o di un trauma sopravvenuto. In questo modo il paziente, quando presta il suo consenso informato, lo fa anticipatamente rispetto al momento in cui si verifica effettivamento l'evento che compromette la sua volontà. Ma - e questo è il punto cruciale - la vita può essere delegata? No, perchè è interessante notare che per esempio il bene salute è un diritto fondamentale del singolo che non muta la sua natura giuridica, sol perchè il suo titolare ha rinunciato anche al suo interesse per la vita; lo prova anche il fatto che nessuno, compreso il medico curante, può arrogarsi il diritto di provocare in alcun modo la fine della vita altrui così come non può agire in modo contrario alla sua etica professionale. Infatti il rapporto medico-paziente non può essere ridotto ad una relazione contrattuale, basata sullo schematico scambio tra diritti e doveri da una parte e dall'altra. Tanto è vero che sono sempre salvate entrambe le volontà. Entrambe libere di rifiutare le cure e di non accettare richieste che contrastino con la propria coscienza. Oggi purtropppo però viviamo in una società abbastanza conflittuale, dove qualunque questione viene gettata sul tappeto della battaglia, al quale non si sottrae nemmeno il campo della salute. Ma l'essere umano, almeno nel momento della sua maggiore fragilità come nel caso della malattia, non può essere trattato come un campo di battaglia e dunque bisognerebbe porre al centro del dibattito sulla salute, il valore dell'arte medica che come tutte le arti va coltivata. Essa andrebbe pertanto adeguata allo straordinario potenziale terapeutico esercitato dal medico. Il quale deve studiare il percorso migliore per fare uscire fuori dalla crisi della malattia, quella determinata persona fatta di materia e di spirito. Ricordiamoci che Ippocrate, diceva :"Natura medicatrix" ovvero la natura è medicina, con ciò volendo dire che spetta al medico farsi interprete della stessa natura per comprendere qual'è la migliore strategia di cura per far accedere quella persona malata al suo processo di guarigione. Ecco perchè ai medici Cos gli si chiedeva anzitutto di stare attenti a non nuocere ai pazienti: "Primum non nocere". Anche se in taluni casi, con il consenso, è lo stesso paziente che esprime liberamente la sua ferma volontà di declinare dalla sua qualità giuridica di titolare dell'interesse alla conservazione del bene della vita e di diventare oggetto materiale del reato di "omicidio del consenziente", previsto dall'art.579 del codice penale. Anche se in questo caso, secondo parte della dottrina, si tratterebbe di un delitto perpetrato non "contro" ma "sulla" persona, in quanto esso lede un interesse di immediata pertinenza statuale, ossia l'interesse alla conservazione dei consociati, giacchè il soggetto passivo, in tale delitto, è lo Stato, non l'uomo. Questa ultima considerazione è importante e la dice lunga sul fatto che la società, ammetendo ai singoli il diritto di rinunciare alla propria vita, perde il suo significato originario di custode dell'interesse dell'altro e insieme il senso di giustizia.
Ma giungiamo al 1990, quando in Italia la Consulta di Bioetica di Milano, propone di stilare per legge un documento chiamato "biocard" o "carta di autodeterminazione" con la quale si può decidere liberamente di stabilire alcuni tipi di trattamenti nel caso in futuro ci si trovi nella fase terminale della propria vita o di rifiutare lucidamente quei strumenti di sostegno vitale come l'alimentazione e l'dratazione artificiale. Nel frattempo però, soccorre la Convenzione di Oviedo che all'art.9, si preoccupa di precisare che nel caso di dichiarazioni anticipte, debbano essere prese in considerazione le "cose desiderate dal paziente" valutate in relazione sia alla sua situazione clinica sia ai nuovi ritrovati della scienza. Successivamente sempre in Italia, il Comitato Naionale di Bioetica, provvede a far proprio il contenuto dell'art.9 di Oviedo, approvando il documento intitolato "le Dichiarazioni anticipate di trattamento" che pongono al centro il tema dell'alleanza terapeutica perchè soltanto grazie a questa "il dialogo tra medico e paziente idealmente" può continuare anche quando il secondo non è più in grado di prendervi parte. Dunque stando a quanto detto, le dichiarazioni sono un giusto concetto fino a quando esse mantengono il loro carattere precipuo di dichiarazioni, assolutamene non vincolanti per il medico, quindi non contrarie alle norme giuridiche vigenti in Italia. Per la medesima ragione, tali disposizioni non possono avere ad oggetto la sospensione di presidi vitali come l'alimentazione e l'idratazione, necessari per il sostentamento del paziente. Soprattutto perchè, la sua deve rimanere una volontà attuale, significa condizionata da eventuali futuri progressi della scienza che possano vanificare le precedenti dichiarazioni. Se si accettasse il contrario, si dovrebbe anche ammettere che chi dispone del proprio corpo privo di "temporanea" volontà, lo considera privo di personalità giuridica. E se un corpo non è più persona ma solo materia, allora come può essere rappresentato da un fiduciario se equivale a nulla? Come saggiamente diceva F. Mastropaolo: "Il nulla non si rappresenta"! Quindi in breve, semplicemente non esiste.
dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. Roma
dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
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