L’appello dei Vescovi per un rinnovato impegno dei cattolici nella vita sociale ed in politica, ripetuto di continuo negli ultimi anni, interroga anzitutto chi la politica già la sta facendo, a vari livelli e con vari incarichi, perché è sempre un bene rimettersi in discussione.
Dopo la fine della DC, sulla cui scomparsa traumatica non entriamo nel merito perché non oggetto di questo articolo (meriterebbe una riflessione a parte) gli eletti cattolici, come è a tutti noto, si sono ritrovati sparsi nei vari partiti trovando unità di azione, e spesso di voto, su alcuni argomenti e leggi ed in alcune occasioni particolari.
Ultimamente, causa soprattutto alcuni presunti comportamenti privati del presidente del Consiglio e presidente fondatore del Popolo della Libertà, balzati ai “disonori” della cronaca a seguito di pubblicazioni indiscriminate sui media nazionali di migliaia di intercettazioni telefoniche, i rappresentanti cattolici eletti nelle fila del Pdl si sono sentiti spesso porre la domanda: “ma come fai a rimanere in un partito con un presidente che si comporta in questo modo?”
Lasciando perdere l’aspetto giudiziario della questione, che farà il suo corso anch’esso in altre sedi, ci vogliamo soffermare sulla domanda e sulla questione che scaturisce da essa, ovvero sul difficile impegno, per i cattolici, di comportarsi sempre in maniera coerente con la propria fede, col proprio cammino, sia nella vita privata sia in quella pubblica mettendo queste due sullo stesso piano perché le riteniamo inscindibili.
E’ questo sicuramente l’aspetto più difficile per un cristiano oggi, vivere con coerenza, e ci asterremo dall’affrontare questo tema per paura di finire ad essere il classico “elefante nella cristalleria” e demandando il tutto al proprio percorso di fede ed al personale discernimento.
E’ necessario però premettere che riteniamo che nessun elettore del centrodestra, dell’attuale Pdl, abbia mai votato Berlusconi perché da lui si aspettasse un esempio di vita cristiana da imitare o da proporre ai proprio figli.
Senza voler qui trarre un giudizio morale sulla persona Berlusconi, non crediamo che neanche gli eletti cattolici nel suo partito lo indichino ai propri sostenitori come modello di vita nella coerenza dei valori cristiani, elencandone semmai altre di virtù presenti ed innegabili.
Vorremmo qui spiegarci bene perché davvero il nostro non vuole essere un giudizio morale sull’uomo Silvio Berlusconi che comunque ha il merito di non aver permesso, sotto i suoi Governi, una deriva laicista peggiore di quella già in corso, lasciando ai politici cattolici ampio spazio di manovra e di proposta per difendere la vita, nascente e morente, la famiglia uomo e donna, la scuola privata e gli aspetti sociali cari a Santa Madre Chiesa.
Su questo aspetto crediamo vada giudicato politicamente il Premier e non sulle sue vicissitudini personali come padre o come sposo.
La lucida risposta dell’onorevole Maurizio Lupi , vicepresidente della Camera dei Deputati, alla provocante domanda che ha dato inizio alla nostra riflessione, pensiamo possa essere la sintesi, e la conclusione perfetta del nostro argomentare.
Così ha risposto Lupi: “Penso che per i peccati ci giudicherà Dio. Per i reati, la magistratura. E per la politica gli elettori che giudicheranno la politica svolta e non la vita privata”.
Giorgio Gibertini
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