Sono lieto di accogliervi in Udienza generale a pochi giorni dalla celebrazione del Natale del Signore. Il saluto che corre in questi giorni sulle labbra di tutti è “Buon Natale! Auguri di buone feste natalizie!”. Facciamo in modo che, anche nella società attuale, lo scambio degli auguri non perda il suo profondo valore religioso, e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori, che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda.
Con la liturgia natalizia la Chiesa ci introduce nel grande Mistero dell’Incarnazione. Il Natale, infatti, non è un semplice anniversario della nascita di Gesù, è anche questo, ma è di più, è celebrare un Mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo – Dio stesso è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14), si è fatto uno di noi -; un Mistero che interessa la nostra fede e la nostra esistenza; un Mistero che viviamo concretamente nelle celebrazioni liturgiche, in particolare nella Santa Messa. Qualcuno potrebbe chiedersi: come è possibile che io viva adesso questo evento così lontano nel tempo? Come posso prendere parte fruttuosamente alla nascita del Figlio di Dio avvenuta più di duemila anni fa? Nella Santa Messa della Notte di Natale, ripeteremo come ritornello al Salmo Responsoriale queste parole: «Oggi è nato per noi il Salvatore». Questo avverbio di tempo, «oggi», ricorre più volte in tutte le celebrazioni natalizie ed è riferito all’evento della nascita di Gesù e alla salvezza che l’Incarnazione del Figlio di Dio viene a portare. Nella Liturgia tale avvenimento oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e diventa attuale, presente; il suo effetto perdura, pur nello scorrere dei giorni, degli anni e dei secoli. Indicando che Gesù nasce «oggi», la Liturgia non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia, rimane una realtà anche oggi alla quale possiamo arrivare proprio nella liturgia. A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora “carne” e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto.
Vorrei insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del “sensibile”, dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio. La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile «oggi» l’incontro con Lui. I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo «oggi è nato per noi il Salvatore», non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza.
Il Natale, dunque, mentre commemora la nascita di Gesù nella carne, dalla Vergine Maria - e numerosi testi liturgici fanno rivivere ai nostri occhi questo o quell’episodio -, è un evento efficace per noi. Il Papa san Leone Magno, presentando il senso profondo della Festa del Natale, invitava i suoi fedeli con queste parole: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, e apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Sermo 22, In Nativitate Domini, 2,1: PL 54,193). E, sempre san Leone Magno, in un’altra delle sue Omelie natalizie, affermava: «Oggi l’autore del mondo è stato generato dal seno di una vergine: colui che aveva fatto tutte le cose si è fatto figlio di una donna da lui stesso creata. Oggi il Verbo di Dio è apparso rivestito di carne e, mentre mai era stato visibile a occhio umano, si è reso anche visibilmente palpabile. Oggi i pastori hanno appreso dalla voce degli angeli che era nato il Salvatore nella sostanza del nostro corpo e della nostra anima» (Sermo 26, In Nativitate Domini, 6,1: PL 54,213).
C’è un secondo aspetto al quale vorrei accennare brevemente: l’evento di Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo. L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione. La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’Uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba. Ma proprio come l’alba precede e fa già presagire la luce del giorno, così il Natale annuncia già la Croce e la gloria della Risurrezione. Anche i due periodi dell’anno, in cui sono collocate le due grandi feste, almeno in alcune aree del mondo, possono aiutare a comprendere questo aspetto. Infatti, mentre la Pasqua cade all’inizio della primavera, quando il sole vince le dense e fredde nebbie e rinnova la faccia della terra, il Natale cade proprio all’inizio dell’inverno, quando la luce e il calore del sole non riescono a risvegliare la natura, avvolta dal freddo, sotto la cui coltre, però, pulsa la vita e comincia di nuovo la vittoria del sole e del calore.
I Padri della Chiesa leggevano sempre la nascita di Cristo alla luce dall’intera opera redentrice, che trova il suo vertice nel Mistero Pasquale. L’Incarnazione del Figlio di Dio appare non solo come l’inizio e la condizione della salvezza, ma come la presenza stessa del Mistero della nostra salvezza: Dio si fa uomo, nasce bambino come noi, prende la nostra carne per vincere la morte e il peccato. Due significativi testi di san Basilio lo illustrano bene. San Basilio diceva ai fedeli: «Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno una volta ingeriti ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma subito si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, “fu ingoiata dalla vittoria” (1 Cor 15,54), non potendo coesistere con la Vita» (Omelia sulla nascita di Cristo, 2: PG 31,1461). E ancora san Basilio, in un altro testo, rivolgeva questo invito: «Celebriamo la salvezza del mondo, il natale del genere umano. Oggi è stata rimessa la colpa di Adamo. Ormai non dobbiamo più dire: ”Sei in polvere e in polvere ritornerai” (Gn 3,19), ma: unito a colui che è venuto dal cielo, sarai ammesso in cielo” (Omelia sulla nascita di Cristo, 6: PG 31,1473).
Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. San Paolo afferma che Gesù Cristo «pur essendo nella condizione di Dio… svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Guardiamo alla grotta di Betlemme: Dio si abbassa fino ad essere adagiato in una mangiatoia, che è già preludio dell’abbassamento nell’ora della sua passione. Il culmine della storia di amore tra Dio e l’uomo passa attraverso la mangiatoia di Betlemme e il sepolcro di Gerusalemme.
Cari fratelli e sorelle, viviamo con gioia il Natale che si avvicina. Viviamo questo evento meraviglioso: il Figlio di Dio nasce ancora «oggi», Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui. Egli è la vera luce, che dirada e dissolve le tenebre che avvolgono la nostra vita e l’umanità. Viviamo il Natale del Signore contemplando il cammino dell’amore immenso di Dio che ci ha innalzati a Sé attraverso il Mistero di Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del suo Figlio, poiché – come afferma sant’Agostino - «in [Cristo] la divinità dell’Unigenito si è fatta partecipe della nostra mortalità, affinché noi fossimo partecipi della sua immortalità» (Epistola 187,6,20: PL 33,839-840). Soprattutto contempliamo e viviamo questo Mistero nella celebrazione dell’Eucaristia, centro del Santo Natale; lì si rende presente in modo reale Gesù, vero Pane disceso dal cielo, vero Agnello sacrificato per la nostra salvezza.
Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie di celebrare un Natale veramente cristiano, in modo che anche gli scambi di auguri in quel giorno siano espressione della gioia di sapere che Dio ci è vicino e vuole percorrere con noi il cammino della vita. Grazie
Benedetto XVI
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