La dose viene però pure rincarata, balzando repentinamente dal mistero dell’Incarnazione al mistero pasquale: a Dio non basta farsi uomo, infatti ci avverte san Paolo: «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce».
Nel Venerdì Santo, dunque, vediamo il Figlio di Dio
spogliato, nudo, impotente di fronte alla libertà umana. Il beato Papa Giovanni
Paolo II, nel libro-intervista con Vittorio Messori Varcare la soglia della speranza (Mondadori, Milano 1994), ci
ricordava: «Si può dire che Dio stia pagando per il grande dono concesso a un
essere da lui creato […] E per questo si pone davanti al giudizio dell’uomo,
davanti a un tribunale usurpatore che gli fa delle domande provocatorie» (p.
73). Da quel tribunale risuona ancora lungo i secoli, sino ad oggi,
l’inquietante domanda di Ponzio Pilato: «Che cos’è la verità?» (Giovanni
18,38).
Questa domanda dovrebbe parecchio turbarci, dato che
presunte «verità» ─ ognuna con il proprio certificato e rivendicazione di
unicità e autenticità ─ circolano ormai in abbondanza e quotidianamente nella
nostra era post-moderna, globalizzata e relativista.
Che lezione, dunque, può ricavare l’uomo del 2012 dal
Venerdì Santo e da quel Cristo pendente sulla Croce, lo stesso che sarà
acclamato dai cristiani nella Veglia pasquale come vivo e risorto al canto
dell’alleluia?
Ci viene incontro ancora il beato Giovanni Paolo II con la
sua saggezza, che oggi sappiamo essere non solo il frutto di una vita di studio
e approfondimento filosofico e teologico, ma avere una «marcia in più» data
dalla sapienza scaturita dalla preghiera, dialogo continuo con lo stesso
Cristo: «[…] la condanna di Dio da parte dell’uomo non si basa sulla verità, ma
sulla prepotenza, sulla subdola congiura. Non è proprio questa la verità della
storia dell’uomo, la verità del nostro secolo? Ai nostri giorni tale condanna è
stata ripetuta in numerosi tribunali nell’ambito dei regimi di sopraffazione
totalitaria. E non la si ripete anche nei parlamenti democratici, quando, per
esempio, mediante una legge regolarmente emanata, si condanna a morte l’uomo
non ancora nato?» (pp. 73-74).
Dunque, «L’eloquenza definitiva del Venerdì Santo è la
seguente: uomo, tu che giudichi Dio, che Gli ordini di giustificarsi davanti al
tuo tribunale, pensa a te stesso, se non sia tu il responsabile della morte di
questo Condannato, se il giudizio su Dio non sia in realtà giudizio su te
stesso». Rifletti su questo giudizio e il suo esito ─ la Croce e poi la
Risurrezione ─ non rimangono per te l’unica via per la salvezza. […] Il cristianesimo è una religione di salvezza,
cioè soteriologica» (pp. 75-76).
L’alleluia pasquale assume in questa luce un significato
pregnante, poiché mentre da un lato ci ricorda la nullità prepotente dell’essere
umano, dall’altro ci porta la grande notizia che Colui che abbiamo condannato è
– in verità – l’Unico in grado di salvarci, dando senso pieno e totale alla nostra esistenza in
quanto Via, Verità e Vita.
Andrea Menegotto
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