di Andrea Menegotto
8 agosto 2011
[La prima parte dell’articolo è stata pubblicata lunedì 1 agosto con il titolo L’illusione del New Age]
Per il grande pubblico affezionato ai temi esoterici che il New Age aveva fatto uscire da circoli ristretti, generalizzandoli e portandoli a livello popolare, allo stesso New Age succede un fenomeno definito da molti esponenti della corrente stessa ─ ma soltanto in Europa continentale ─ come Next Age, il quale rappresenta il passaggio del New Age a una tensione di carattere individualista e la separazione dal suo momento utopistico. Il Next Age può essere così definito come il passaggio del New Age dalla terza alla prima persona singolare: il Next Age ammette
che forse non è in vista nessuna Età dell’Oro di trasformazione collettiva e gioiosa per tutta l’umanità e per il Pianeta Terra (come avrebbe voluto il New Age dai suoi esordi negli anni Sessanta), tuttavia il singolo può entrare nel suo New Age personale e raggiungere uno stato superiore di prosperità, salute, soddisfazione. Dunque, superando la tensione collettiva e utopistica, il Next Age afferma che la società può anche andare alla rovina, ma la singola persona che ha accesso a determinate tecniche entrerà comunque in una sua età dell’oro personalissima e privata.
che forse non è in vista nessuna Età dell’Oro di trasformazione collettiva e gioiosa per tutta l’umanità e per il Pianeta Terra (come avrebbe voluto il New Age dai suoi esordi negli anni Sessanta), tuttavia il singolo può entrare nel suo New Age personale e raggiungere uno stato superiore di prosperità, salute, soddisfazione. Dunque, superando la tensione collettiva e utopistica, il Next Age afferma che la società può anche andare alla rovina, ma la singola persona che ha accesso a determinate tecniche entrerà comunque in una sua età dell’oro personalissima e privata.
A tal proposito, v’è da notare che anche autori e testi (come il documento vaticano Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul New Age) che tendono, a fronte del riscontro di atteggiamenti e idee diffusi, a mettere in dubbio la reale portata della «crisi» di cui peraltro parlano gli stessi portavoce interni alla galassia New Age, ammettono comunque la deviazione dalla dimensione utopistica e collettiva verso una dimensione salvifica puramente privata. Che la si chiami Next Age o meno, il New Age ha dunque recentemente visto una evoluzione-involuzione, i cui effetti sono certamente evidenti da anni negli Stati Uniti e pure in Italia, mentre lo stanno sono diventati qualche anno dopo in altri luoghi geografici dove l’ondata New Age è giunta più tardi.
La svolta a carattere individualistico comporta una marcata enfasi posta sul ricorso a pratiche terapeutiche alternative e salutistiche, in quanto si ritiene che dal benessere generale (olistico) della persona e dall’equilibrio fra corpo e spirito possa derivare, in ultima analisi, la felicità in senso globale. Fra queste in grande espansione è il reiki, una tecnica nata in ambiente buddhista giapponese per ridurre lo stress, rilassarsi e incrementare il proprio grado di benessere fisico e morale. Essa si basa sull’idea che un’energia (ki) universale (rei) scorre all’interno di tutti gli esseri viventi e può essere manipolata e utilizzata per ottenere salute e felicità. Sottoponendolo a rigorose disamine, ci si accorge che al reiki può essere applicata con successo la categoria, coniata da specialisti statunitensi, di «quasi-religione» (il reiki è da anni oggetto di studio e osservazione da parte di chi scrive, tanto da avere dedicato al tema un volume di cui sono co-autore con uno dei maggiori specialisti accademici di religioni contemporanee, lo statunitense J. Gordon Melton: Reiki: tecnica o religione?, Elledici, Leumann [Torino] 2005).
Ancora, la svolta soggettivistica del New Age fa sì che emergano come punti di riferimento indiscussi personaggi quali Anthony Robbins, i cui seminari sono caratterizzati dal firewalking, la camminata sui carboni ardenti, intesa a convincere i partecipanti che nulla nella vita è davvero impossibile; il medico indiano residente negli Stati Uniti Deepak Chopra, esperto di medicina ayurvedica e punto di riferimento spirituale di molti VIP statunitensi e non solo; e Louise Hay, fondatrice della scuola del «pensiero positivo», che si concentra attorno all’idea fondamentale che l’amore, in primo luogo l’amore per se stessi (autostima), può compiere miracoli.
Siamo qui nell’ambito di quella che il sociologo inglese Paul Heelas propone di chiamare ─ utilizzando una categoria trasversale al mondo della nuova religiosità ─ «religione dei seminari». Dunque, idee New Age (e ora Next Age) valicano i confini del campo prettamente «religioso» e si addentrano nel meccanismo sociale mediante corsi e seminari che, proponendo tecniche di potenziamento della personalità e delle capacità umane, si rivolgono, mediante le proposte di enti che si qualificano come formativi o educativi, al grosso pubblico e, in particolare, a manager, professionisti e spesso rientrano nel curriculum formativo per migliorare le prestazioni di quadri e dirigenti di grandi aziende. Di fatto, la «religione dei seminari» non è altro che l’alter ego del tema autoredentivo della «religione del Sé» o della «religione del Me», che è caratterizzata da un così marcato individualismo che non è fuori luogo qualificare come narcisismo spirituale, ovvero egosimo. Così, la svolta individualistica ─ se possibile ─ esalta quindi ulteriormente l’aspetto dottrinale che caratterizzava il New Age.
Il peso che il relativismo ─ versione aggiornata e più estrema di quello già di fatto introdotto dalla modernità ─ e l’individualismo hanno assunto nella società in generale e nelle varie branche del sapere ci dà la percezione di quanto un fenomeno come il New Age (e ciò che lo segue) abbia potuto seminare in una cinquantina d’anni di diffusione in un mondo già frantumato al momento del crollo delle ideologie e, soprattutto, di come sia impegnativa l’opera di riannuncio di verità solide.
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