22/08/11

Il diritto alla salute e l'individuo. Siamo davvero padroni della nostra vita? Parte prima.



“Affermare un diritto significa sempre avanzare una richiesta, una pretesa verso altri” e dunque affermare il presupposto che tra chi chiede e chi ha il dovere di eseguire la richiesta, esista una relazione.
Il tema che qui siamo chiamati ad esaminare affronta il diritto alla salute e di conseguenza il tipo di assistenza sanitaria, che ogni cittadino vorrebbe o che comunque si aspetterebbe di ricevere.
Prima di addentrarci nel vivo della questione, sarebbe opportuno chiarire che l'attuale  disegno di legge sulle direttiva anticipate di trattamento - sinteticamente denominata DAT e attualmente sottoposta all'esame del Senato - tratta da vicino quella relazione fondamentale che deve esistere tra il medico e il “suo” paziente. Ora vediamo che nell'ambito di una relazione personalissima come questa, il medico ha il dovere di prendersi in carico il benessere e la cura del suo assistito, tenendo presenti in scienza e coscienza le obiettive volontà di quest'ultimo, in ordine alla scelta dei trattamenti ritenuti opportuni al suo stato. Credo che dovremmo cercare di capire cosa si intende per salute e perchè questo concetto giuridico, può e deve costituire la leggittima aspettativa di ogni essere umano.
Dobbiamo precisare che la salute nel nostro ordinamento è un diritto, sancito e tutelato dalla Carta costituzionale ai sensi dell'art.32. Esso recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Dunque da quanto appena esposto, emergono due dati interessanti sui quali vale proprio la pena di soffermarsi. Il primo ci dice quello che più o meno tutti diamo per scontato e cioè che la salute è un diritto senza ogni dubbio, di carattere individuale; mentre il secondo invece, ci dà un'informazione in più che specularmente alla prima costituisce il risvolto della stessa medaglia; così che questa pretesa individuale “allo star bene” o "al benessere" allo stesso tempo possiede una dimensione collettiva per rafforzare positivamente il vincolo di solidarietà tra i consociati. In questo contesto, va detto che il bene comune è l'obiettivo finale di tutti i diritti aventi natura costituzionale che e la salute sotto il profilo contenutistico è chiamato a realizzare, senza se e senza ma, questo suo mandato. Perchè? Semplice. Nella nostra Carta costituzionale, i diritti sono stati predisposti in una precisa scala di valori, in cima alla quale risiede  ai sensi dell'art.2 il superprincipio inviolabile della dignità dell'essere umano e della sua vita che a sua volta dà rilevanza costituzionale a tutta un'altra serie di diritti, da esso discendenti. Esso recita: “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Per questa ragione direi assiologica,  l’insieme di questi diritti diviene fondamentale e costituisce un nucleo normativo che precede  la struttura organizzativa del potere pubblico e quindi dello Stato. Per intenderci meglio, non tutti i diritti e  le  libertà  sono di per sé inviolabili ma al contrario, alcuni sono disponibili da parte del nostro ordinamento che di volta  in volta stabilisce se e quando essi siano da non garantire o invece da garantire perchè strettamente legati ai valori sociali e  politici della nostra società. Rispetto a loro infatti, esistono altri interessi prevalenti e per questa ragione essi possono essere graduabili e comprimibili. Da ciò possiamo dedurre la pregnanza del diritto inviolabile che “riconosciuto” preventivamente dall'ordinamento di appartenenza, precede in senso normativo la stessa organizzazione statale. Ma torniamo al contenuto del diritto alla salute come definito dalla Corte costituzionale nella sent. n. 37/1991 e notiamo come esso coincide con “un valore primario caratterizzante la forma di Stato sociale disegnata dalla Costituzione” senza il quale verrebbe meno lo stesso patto costituzionale e la stessa democrazia.  Sembra allora di capire che se da un lato la salute è percepito dall'individuo come un valore personalissimo, dall'altro non avrebbe lo stesso significato se fosse vissuto in stretta solitudine, indipendentemente dalle altre persone. Invece nel costituzionalismo liberale ottocentesco, il medesimo diritto aveva una precisa connotazione di natura individuale,  lasciata all'autodeterminazione del singolo individuo. Sotto questo profilio, è interessante notare che nel nostro ordinamento, dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri, la salute come diritto si sgancia da una concezione meramente patrimonialistica/materialistica per entrare a far parte di un'altra dimensione non più strettamente fisica.
Quest'ultima considerazione ci aiuta  pertanto a comprendere come la pretesa costituzionale al benessere, storicamente a un certo punto cambia la sua prospettiva giuridica, divenendo un tutt'uno con un altro superprincipio la dignità umana che a sua volta coinvolge la persona nella sua totale integrità. Il suo complesso fisiopsichico nelle costituzioni moderne, viene allora rappresentato in una chiave pubblica, secondo un significato relazionale che collega tra loro tutti gli esseri umani, nessuno escluso. E qui dobbiamo sofffermarci, su un altro architrave costituzionale: il diritto all'eguaglianza che ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, si impone non solo a livello formale ma soprattutto sostanziale. Stando alla lettura dell’art. 3 della nostra Costituzione, la malattia non può divenire uno strumento che discrimina le persone perchè questo atteggiamento potrebbe minare le stesse basi della convivenza civile.
Quanto detto, trova conferma nella moderna dottrina dei diritti umani, poiché ciò che principalmente prevale a livello pubblico, è l'interesse superiore del bene collettivo sempre previo consenso dell'interessato. Quali sono gli elementi che compongono il contenuto del diritto al cosenso?: l'autodeterminazione e il diritto alla salute. Così come ribadito dalla Consulta nella sentenza n. 253 del 2009: "Il consenso informato riveste natura di principio fondamentale in materia di tutela della salute in virtù della sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello della salute". Precedentemente la Cassazione nel maggio del 2008, esaminando il caso di un testimone di Geova si esprime in modo simile ma stabilisce dei paletti ben precisi alla libertà di consenso, dicendo:"Il dissenso del medesimo deve essere oggetto di manifestazione espressa inequivoca, attuale, informata. Esso deve, cioè esprimere una volontà non astrattamente ipotetica ma concretamente accertata; un'intenzione non meramente programmatica ma affatto specifica; una cognizione dei fatti non soltanto "ideologica", ma frutto i informazioni specifiche in ordine alla propria situazione sanitaria; un giudizio e non una "precomprensione": in definitiva, un dissenso che segua e non preceda l'informazione avente a oggetto la rappresentazione di un pericolo di vita imminente e non altrimenti evitabile, un dissenso che suoni attuale e non preventivo". Analogamente, sempre in tema di consenso informato, riportiamo un altra sentenza della Corte d'appello di Bologna nella quale la Cassazione a sezioni unite esamina la questione del consenso informato, valutando però il profilo della responsabilità del medico che agisce in modo difforme rispetto alla volontà del paziente. In questa occasione i giudici affermarono che  se il medico sottopone “il paziente a un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall'inervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente, tale condotta è priva di rilevanza penale".  Per finire concludiamo la presente rassegna di sentenze, con la decisione della Corte di Cassazione  dello scorso aprile la quale ha condannato per omicisio colposo tre medici che avevano operato una donna  malata di tumore. In particolare la sentenza aveva cercato di stabilire che il medico deve, in scienza e coscienza attenersi alle regole di prudenza, anche a fronte del consenso informato del paziente. In pratica i giudici hanno voluto riconoscere i principi di garanzia a difesa della persona nelle condizioni di massima vulnerabilità, considerato che nessuno compreso lo stesso paziente può condizionare il medico nella gestione delle proprie responsabiità professionali. Spetta a quest’ultimo l’ultima parola sull’adeguatezza delle terapie dei propri malati: allora il consenso informato può essere una dichiarazione di volontà del malato che il medico ha l’obbligo di soddisfare?


dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. Roma

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