Aiutati da Papa Benedetto XVI, qualche spunto di riflessione sulla Solennità liturgica dell’Assunzione e sul suo significato profondo e attuale
di Andrea Menegotto
12 agosto 2011
In pieno clima vacanziero, alla metà esatta del mese che in genere è dedicato alle ferie estive, spesso dimenticata poiché oscurata dalla festa modana del Ferragosto, ricorre nel calendario ecclesiastico la Solennità dell’Assunzione della beata Vergine Maria.
Secondo il Magistero cattolico, la Madre di Gesù, «preservata immune da ogni macchia di colpa originale finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo e dal Signore esaltata quale regina dell'universo per essere così più pienamente conforme al figlio suo, Signore dei signori (cfr. Ap 19,16) e vincitore del peccato e della morte» (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Sulla Chiesa Lumen Gentium, 21 novembre 1964, n. 59).
La «dormitio Virginis» e l'assunzione, rispettivamente in Oriente e in Occidente, sono fra le più antiche feste mariane. Questa antica testimonianza liturgica fu esplicitata e solennemente proclamata il 1° novembre 1950 con la definizione dogmatica di Pio XII (Eugenio Pacelli, 1876-1958; il cui pontificato va dal 1939 al 1958) mediante la Costituzione apostolica Munificentissimus Deus: «[…] l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».
Dichiarando che Maria non dovette attendere, così come tutte le altre creature, la fine dei tempi per ottenere la redenzione corporea, la Chiesa ha voluto mettere in rilievo il carattere unico della sua santificazione personale, dal momento che il peccato non ha mai offuscato la limpidezza della sua anima. Tale dottrina ─ radicata nella tradizione ecclesiale ─ trova le sue radici nella Sacra Scrittura, particolarmente nel cosiddetto «Proto-vangelo» del libro della Genesi, contenente il primo annunzio della salvezza messianica dato da Dio ai nostri progenitori dopo la colpa; qui Maria è presentata come «nuova Eva», strettamente unita a Gesù, «nuovo Adamo».
Maria, dunque, non è solo la madre del Redentore, ma anche sua «cooperatrice», e questa forte unione richiede che anche Lei trionfi ─ così come il Figlio ─ non soltanto sul peccato, ma anche sulla morte, i due nemici del genere umano.
Per tali motivi, Papa Benedetto XVI, nell’omelia della Santa Messa nella Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria il 15 agosto 2010 così affermava: «oggi la Chiesa celebra una delle più importanti feste dell’anno liturgico dedicate a Maria Santissima […]. Questo, quindi, è il nucleo della nostra fede nell’Assunzione: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, “in anima e corpo”. Ora, ciò che san Paolo afferma di tutti gli uomini, la Chiesa, nel suo Magistero infallibile, lo dice di Maria, in un modo e senso precisi: la Madre di Dio viene inserita a tal punto nel Mistero di Cristo da essere partecipe della Risurrezione del suo Figlio con tutta se stessa già al termine della vita terrena; vive quello che noi attendiamo alla fine dei tempi quando sarà annientato «l’ultimo nemico», la morte (cfr. 1Cor 15, 26); vive già quello che proclamiamo nel Credo “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”».
Ma il Papa fa un passo in più chiedendosi: «quali sono le radici di questa vittoria sulla morte prodigiosamente anticipata in Maria?». Illuminante la risposta: «Le radici stanno nella fede della Vergine di Nazareth […] una fede che è obbedienza alla Parola di Dio e abbandono totale all’iniziativa e all’azione divina, secondo quanto le annuncia l’Arcangelo. La fede, dunque, è la grandezza di Maria, come proclama gioiosamente Elisabetta: Maria è “benedetta fra le donne”, “benedetto è il frutto del suo grembo” perché è “la madre del Signore”, perché crede e vive in maniera unica la “prima” delle beatitudini, la beatitudine della fede».
Da qui l’invito che il Papa rivolge: «Non ci limitiamo ad ammirare Maria nel suo destino di gloria, come una persona molto lontana da noi: no! Siamo chiamati a guardare quanto il Signore, nel suo amore, ha voluto anche per noi, per il nostro destino finale: vivere tramite la fede nella comunione perfetta di amore con Lui e così vivere veramente» e, infine: «Preghiamo il Signore affinché ci faccia comprendere quanto è preziosa ai Suoi occhi tutta la nostra vita; rafforzi la nostra fede nella vita eterna; ci renda uomini della speranza, che operano per costruire un mondo aperto a Dio, uomini pieni di gioia, che sanno scorgere la bellezza del mondo futuro in mezzo agli affanni della vita quotidiana e in tale certezza vivono, credono e sperano».
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