Un tributo a Sergio Bonelli, protagonista essenziale nel mondo della popular culture
di Andrea Menegotto
29 settembre 2011
Il 26 settembre è morto a Monza, all’età di 79 anni, dopo una breve malattia, Sergio Bonelli, editore di celebri albi di fumetti: da Tex a Dylan Dog, da Mister No a Zagor, passando per Dampyr, Julia, Legs Weaver, Napoleone, Nick Raider, Martin Mystère, Nathan Never, Magico Vento….
Nato il 2 dicembre del 1932 a Milano, figlio di Gian Luigi Bonelli (1908-2001) – creatore del famosissimo Tex Willer –, sotto la sua guida è nato il personaggio di Dylan Dog, creato da Tiziano Sclavi, divenuto nel tempo il personaggio di maggior successo della Sergio Bonelli Editore, superando anche lo stesso Tex e giungendo oltre il mezzo milione di copie mensili vendute nelle edicole.
Bonelli è giustamente considerato il principale artefice italiano del passaggio del fumetto da semplice intrattenimento popolare a prodotto di dignità culturale, rappresentando all’interno delle sue serie un mondo denso, talora complesso ed estremamente profondo, non cedendo alle lusinghe del marketing realizzato attraverso gadget, ma puntando unicamente sul fascino e sulla pregnanza delle storie illustrate e narrate dai suoi autori.
Bonelli intende quindi il fumetto come arte popolare e, infatti, il fumetto è inquadrabile nel contesto che alcuni studiosi indicano con il termine popular culture, non certo per anglofilia o per manie americaneggianti, piuttosto perché l’italiano «cultura popolare» – grazie anche a una scuola di studiosi rispettati in tutto il mondo – indica immediatamente un patrimonio di tradizioni che fa riferimento anzitutto al folklore. Invece, l’inglese popular culture ha mantenuto anche in italiano il senso diverso di una cultura «di massa», nata con l’irruzione in Occidente dell’alfabetizzazione di un gran numero di persone che, avendo imparato a leggere, volevano delle letture semplici, attraenti e di effetto immediato. Da questo punto di vista, la popular culture risponde alla domanda su «che cosa far leggere» a queste persone scoprendo che è più facile leggere tutto quanto è seriale, ritorna con gli stessi personaggi e con la stessa ambientazione periodicamente settimana dopo settimana o mese dopo mese. I mezzi di cui la popular culture si esprime sono prima il feuilleton o romanzo d’appendice, poi il romanzo a fascicoli, in seguito il fumetto o comics – appunto – e infine la serie o fiction televisiva. Così, oggi con la terminologia in questione intendiamo l’insieme delle espressioni della cultura di massa e di largo consumo, in particolare nei settori dei romanzi, dei periodici, dei fumetti, dei film e telefilm (e della musica a essi collegata) e della produzione di materiale effimero.
Dalla sua fondazione, il 31 maggio 2005, presiedo il CESPOC (Centro Studi sulla Popular Culture, con sede a Torino), che è diretto da Massimo Introvigne – noto studioso e collezionista a livello internazionale – e comprende studiosi, docenti, ricercatori ed altre persone interessate a titolo scientifico e culturale allo studio della popular culture intesa nell’accezione sopra specificata; fra questi J. Gordon Melton, Distinguished Professor of American Religious History presso la Baylor University di Waco, in Texas e, di fatto, la massima autorità in materia di vampiri nella popular culture. Il campo di indagini e lo scopo del CESPOC riguardano la raccolta di materiali e documenti e lo studio della popular culture attraverso la selezione, in un campo per definizione sterminato, di specifiche aree e progetti di ricerca.
Da questa postazione privilegiata di osservazione, abbiamo potuto notare come due temi peculiari attraversano tutta la popular culture a prescindere dal mezzo con cui questa si estrinseca o in passato si è espressa: il detective privato e il tema dell’horror, laddove la figura principale è quello del vampiro a cui, non a caso, abbiamo dedicato ampia attenzione e studi (per chi fosse interessato alla tematica rimando a una mia relazione a un convegno, di carattere introduttivo).
Nella produzione italiana in genere e in quella relativa al vampiro a fumetti in particolare spicca, da decenni, sia per quantità che per qualità, la casa editrice Bonelli e ciò grazie all’intuito di Sergio, il quale, con ampio anticipo rispetto agli Stati Uniti – cosa di per sé generalmente rara – aveva ben presto capito che stava tornando di moda l’horror: mostri, lupi mannari e, soprattutto, vampiri.
Così, ancor oggi particolarmente popolare fra gli appassionati dell’eroe ideato da Guido Nolitta (pseudonimo dello stesso Sergio Bonelli) e da Gallieno Ferri è la storia di Zagor contro il vampiro, del 1972, dove Zagor, in un’ambientazione western, incontra il barone Rakosi.
A partire dall’aprile 2000, l’editore dà anche il via ad una nuova serie di racconti dedicati integralmente alla figura e al mito del vampiro, rivisitato – pur nella ripresa di molti elementi tradizionali – in maniera originale e, spesso, innovativa. È infatti dell’aprile 2000 il primo numero («Il figlio del diavolo») della serie Dampyr, preceduto e annunciato dal numero zero, pubblicato in occasione della Comiconvention di Milano del 18-19 settembre 1999. Il nuovo personaggio (che ha avuto ed ha fortuna fra il pubblico delle edicole italiane, dove i prodotti della Sergio Bonelli Editore sono ottimamente e minuziosamente distribuiti) è stato creato da Mauro Boselli e da Maurizio Colombo. Come ha notato Introvigne, Dampyr si avvia a diventare il più longevo fumetto di vampiri del mondo; tuttavia, anche dopo più di un decennio è un prodotto nuovo sotto molti punti di vista e il suo pregio sta effettivamente proprio in questo, visto che quello dell’horror è un settore dove creare la novità è sempre difficile, tanto più se ci si confronta con figure e miti quali quello del vampiro, che hanno una grande tradizione alle spalle.
Anche Dylan Dog incontra più volte i «non-morti», rivisitando in storie appassionanti il mito del vampiro in contesti inusuali e il più delle volte estrapolandolo dagli ambiti classici, ma anche rileggendo la figura stessa in chiave metaforica (ad esempio, i vampiri come metafora dei «poteri forti» o delle lobby), tanto da poter addirittura lanciare qualche spunto di riflessione che dal fantastico dell’horror si avvicini alla vita quotidiana.
«Peste!» avrebbe esclamato Tex alla notizia della morte del suo editore; noi auguriamo a Sergio Bonelli di passare dai «misteri» spesso indagati dai suoi personaggi, che ci hanno appassionato e coinvolto sino all’ultima pagina di ogni fascicolo, alla dimensione più grande del Mistero in cui è racchiusa la chiave di tutto.
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