31/10/11

La medicina del futuro è tutta italiana!


E' una notizia recentissima riportata dalla rivista scientifica Stem Cells. La coppia dei ricercatori italiani (marito e moglie) Ilaria Decimo e Francesco Bifari, entrambi dell'Università di Verona, hanno isolato le cellule staminali prelevate dal rivestimento esterno del tessuto nervoso "le meningi" e sono riusciti ad attivarle, risvegliandole, dopo un trauma. 
Il risultato ottenuto, ha una portata decisiva nella sperimentazione della terapia che un domani potrebbe risolvere, i danni cerebrali che causano la paralisi del corpo.
Occorre dire che le staminali, sono forme cellulari «primitive» che hanno la capacità di specializzarsi. Questa attitudine, consente loro di potersi attivare nel midollo spinale in seguito ad un trauma. Non solo ma a quanto pare, l'applicazione della cura, sarebbe utile sia per le lesioni gravi del midollo, responsabili di infermità permanente sia per le patologie neurodegenerative come il Parkinson e l'Alzheimer. Entrambi i ricercatori hanno spiegato che "Gli esperimenti sono stati condotti su dei ratti adulti" e "quindi in esemplari completamente sviluppati, in cui è più difficile che avvenga la rigenerazione dei tessuti. La scoperta è importante per due aspetti: l’individuazione di una fonte di cellule staminali e il fatto che quest’ultime possono differenziarsi. Il fatto che si tratti di staminali "adulte", utilizzabili per trapianti autologi, cioè sullo stesso soggetto, permette di superare le problematiche etiche proprie delle staminali embrionali».
Vediamo come anche in questo caso, possiamo rinvenire un esempio di quanto sia positivo voler abbassare il livello delle malattie trasmissibili geneticamente. Quindi, il problema etico, nel quale ci si imbatte sistematicamente in questo genere di dibattito, è sempre la scelta idonea dei mezzi tecnici utilizzati per perseguire il raggiungimento di questi nobili fini.
Bisogna portare avanti la ricerca ad ogni costo o vi sono dei confini etici da rispettare caso per caso? La domanda appena posta, ha un forte impatto emotivo che cambia significato a seconda del rispetto che si ritiene giusto dare al concetto di essere umano. E sopratutto alla sua intrinseca dignità. Sarebbe opportuno ricordare a chi legge che il vero limite, viene imposto dalla stessa protezione della vita umana, in senso ampio. Da quanto detto, discende automaticamente che nessun essere umano, sin dalla formazione delle prime cellule totipotenti, fino al momento della sua nascita e poi fino alla sua morte naturale debba, in alcun modo e per nessun motivo, essere eliminato. Neppure per superiori interessi della scienza e l'esperenza di Oviedo nel '97, ce lo ha insegnato molto bene; l'art. 15 Regola generale, così recita: "la ricerca scientifica nel campo della biologia e della medicina si esercita liberamente sotto riserva delle disposizioni della presente Convenzione e delle altre disposizioni giuridiche che assicurano la protezione dell’essere umano". Si evince chiaramente che dalla Convenzione in poi, il tema della brevettabilità costituisce un nodo complesso che porta sempre più la nostra civiltà di fronte al bivio della decisione di poter rilasciare brevetti, nonostante questi rappresentino una offesa alla moralità e alla dignità umana. La gestione tecnoscientifica delle linee della vita e in particolar modo embrionarie, coinvolge infatti sempre più l'esigenza di una riflessione sociale, culturale, giuridica, politica e filosofica, in una parola bioetica. 
In questa direzione, la neonata sentenza UE sulla causa Brustle-Granpeace, ha dimostrato quanto l'intento del Consiglio d'Europa, sia sempre stato quello di far conciliare al massimo l'equilibrio tra il progresso scientifico e il rispetto della dignità umana. Soprattutto quando lo sviluppo delle rierche sul materiale biologico, ha avuto ad oggetto gli embrioni umani. D'altra parte il Consiglio, attraverso l'istituzione del CDBI - Comitato Direttivo per la Bioetica - ha voluto chiarire come gli stessi principi chiave, naturalmente a favore della difesa della vita umana, stabiliscano in modo uniforme che la scienza debba essere al servizio dell'individuo e non il contrario.
Tra l'altro, se guardiamo alla Risoluzione del Parlamento europeo sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, viene presa in considerazione la direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. E tra i vari considerando, alla lettera f) si afferma che l'ufficio europeo del brevetti, accoglie "l'opposizione al brevetto dell'Università di Edimburgo sulla base del fatto che esso rappresentava una offesa alla moralità pubblica (ordine pubblico) dichiarando che non possono essere rilasciati brevetti sulle cellule staminali embrionali umane". Ciò per perseguire il raggiungimento di due scopi. Anzitutto per invitare (al successivo n.2) l'Ufficio europeo dei brevetti, in conformità all'art.53 bis della Convenzione sul brevetto europeo "a non rilasciare brevetti che costituiscano un offesa" al "rispetto della dignità dell'essere umano in tutte le fasi del suo sviluppo"; e secondariamente per ribadire " la propria opposizione alla concessione di un brevetto che includa le cellule staminali embrionali umane e gli stessi embrioni". 
Dunque, se vogliamo tutelare la stessa sopravvivenza dell'uomo oggi e nel suo futuro, dobbiamo evitare i rischi derivanti da certi tipi di biotecnologie e far salvo il principio della responsabilità intergenerazionale. Forse soltanto a queste condizioni potremo riuscire a vedere nel futuro la continuzione della nostra specie e a salvaguardare le condizioni fondamentali per la nostra stessa sussistenza.
dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. ROMA

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