Prima o poi verrà scritta la storia di questi nostri tempi, la storia dell’Italia berlusconiana ma anche dell’Europa dell’euro e della sua crisi. Allora, quasi certamente, molti giudizi dovranno essere riformulati.
La conferma delle dimissioni di Berlusconi all’indomani dell’approvazione, ad opera del Parlamento, della manovra di stabilità comprensiva del maxiemendamento che recepisce le indicazioni della Bce, ha dato un po’ di respiro ai mercati finanziari, ma non in misura eccezionale, nonostante i molti segnali che indicano che il prossimo inquilino di Palazzo Chigi sarà Mario Monti. Anzi, la pressione si è sposta sui titoli pubblici francesi. Così la serie si allunga: Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Italia e adesso la Francia.
Tutto questo significa che c’è qualcosa che non va in termini concettuali, di concezione, cioè, della moneta unica, di questa particolare moneta unica che è l’euro. Giappone e Stati Uniti, per fare due esempi di proporzione adeguata, hanno alti debiti pubblici ma non minacciano l’economia mondiale come si dice, invece, per i guai che potrebbero provocare alcuni Paesi appartenenti all’Eurozona.
Allora non è solo il basso tasso di sviluppo, una riforma in più o in meno, un diverso tasso di evasione fiscale, la maggiore o minore rigidità del mondo del lavoro: se si confrontassero i “più” e i “meno” di ciascun Paese, forse si arriverebbe a una forma di allineamento.
La differenza sta nelle caratteristiche anomale della moneta europea che, essa sì, ha provocato e sta provocando alcune macro-rigidità che rendono più complicate le scelte dei singoli Paesi: sia di quelli che dovrebbero aiutare (come la Germania) sia di quelli che dovrebbero essere aiutati.
Conclusione: nel trattare della crisi italiana, a Bruxelles o a Roma, invece che guardare all’ultimo tratto del percorso, bisognerebbe risalire alla stazione di partenza, capire che cosa non va nel meccanismo che è stato messo a punto. Senza negare specifiche responsabilità, ma senza evitare di andare a fondo nelle cause prime della crisi attuale, che sarebbe superficiale e sbagliato attribuire a qualche leader o a qualche formula di governo. Ciò aiuterebbe anche tutte le forze politiche, se riuscissero a guardare un po’ oltre la punta del loro naso, a trovare le soluzioni più adeguate alla situazione presente ma con la prospettiva di ripensare il quadro generale europeo.
Di Paolo
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