12/11/11

Tagliare i tassi aiuta ma non risolve la crisi

L’arrivo di Mario Draghi alla Banca centrale 'europea è coinciso con un taglio dei tassi. Una misura auspicata da economisti di diversa scuola, che in nulla deve farci temere un ritorno agli anni dell'azione discrezionale da parte delle banche centrali «inflazioniste»: Draghi è di un'altra pasta, un civil servant serio che sarà «tedesco» quanto basta da tutelare l'euro sopra ogni cosa. E sa benissimo che un conto è tagliare i tassi di quanto basta per agevolare un poco la ripresa, e ben altra cosa è l'ipotesi impossibile di usare - come in passato - l'inflazione come valvola d'uscita dalla crisi. Un euro forte è un bene per tutti: perché dalla reputazione della moneta dipende quella di tutta la Ue.
Le imprese italiane, tradizionalmente esportatrici, saranno aiutate dal taglio dei tassi. Ma non è dalla Bce che può venire la soluzione alla crisi del debito, e ce ne stiamo accorgendo anche noi. La cosa migliore che possiamo prendere dalla Bce sono i buoni consigli che prima jean-Claude Trichet e ora Draghi non si sono rifiutati di darci, come italiani. Idee preziose e importanti a cominciare da quella di una importante riforma del mercato dei lavoro che tocchi anche la flessibilità in uscita.
Perché quelle riforme siano possibili, però, ci vuole - come ha detto il capo dello Stato - coesione nazionale. Bisogna che la classe politica, ma anche giornali, opinione pubblica ed elettori rifiutino quella veduta corta che troppo spesso contrassegna i nostri tempi. E fondamentale che noi si ritrovi il coraggio e la passione di guardare lungo, di pensare che le scelte che faremo nei prossimi mesi saranno fondamentali non solo e non tanto per noi ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli.
Mancur Olson, un grande economista e scienziato politico, sostenne che a un certo punto i gruppi d'interesse arrivano a comporre un equilibrio. Non significa che vadano d'amore e d'accordo gli uni con gli altri, ma si «sistemano» in modo tale che le domande degli uni e degli altri non vengono a elidersi a vicenda. Questo equilibrio, questa stratificazione degli interessi particolari, rende più difficile il cammino delle riforme. Perché esse possono andare nell'interesse generale, ma si fermano a causa dei tanti che esercitano un potere di veto in nome di istanze particolari. È per questo motivo che anche in momenti così drammatici come quelli che stiamo vivendo la riforma delle professioni piuttosto che la riforma delle pensioni piuttosto che la riforma degli incentivi alle imprese non riescono a essere portate a compimento.
Luca Ricolfi ha scritto bene sulla Stampa, chiamando il bluff di quanti attaccano il governo a ogni piè sospinto ma fanno sempre proposte all'insegna del «benaltrismo»: nel senso che sono ben altri a dover pagare il conto della modernizzazione. Si parla del passo indietro che Silvio Berlusconi dovrebbe praticare. Il primo passo indietro dovrebbero farlo le lobby e lobbine che troppo spesso continuano a frenare lo sviluppo. Patriottismo è rinunciare ai propri vantaggi, per vivere in un Paese migliore.
E del resto anche quelle imprese e quelle associazioni avrebbero ben poco da gioire, in un contesto nel quale l'economia fosse permanentemente depressa. Più sviluppo, più crescita nel lungo periodo faranno bene anche a loro. Coraggio, allora: facciamo tutti un passo indietro (riguardo alle nostre rispettive caste e corporazioni) che si risolverà in un grande passo in avanti e in alto per il bene dell'Italia. Più Italia, meno corporazioni.
Gianpiero Cantoni

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