25/12/11

Ci vuoi arrivare a vedere Dio? La strenna natalizia

Il bue e l'asino hanno il loro posto fisso in ogni nostro presepe. Da bambino, li guardavo con simpatia, umili e compresi nel loro ruolo accanto al “Bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12).
Il racconto evangelico della nascita di Gesù non li menziona. Ne parlano i Vangeli apocrifi e la tradizione. Probabilmente, l’asinello fu la cavalcatura con cui Maria e Giuseppe arrivarono dalla Gallilea a Betlemme; è pensabile che il bue fosse presente nel rifugio loro offerto, preziosa premura in quella fredda notte. Resta il fatto che il bue e l’asino, fin dall’antichità, fanno parte della scena del natale di Gesù.
Alcuni Padri della Chiesa, esperti della Bibbia, indicando i due animali mansueti vicini a Gesù, ricordavano una sdegnata osservazione del profeta Isaia: «Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone. Israele invece non com¬prende e il mio popolo non comprende» (Is 1,3).
E spiegavano: il bue rappresenta il popolo di Israele, che porta il giogo della legge, e l’asinello rappresenta i popoli pagani, che ignorano la parola di Dio. Ebrei e pagani, prima separati da un muro d’inimicizia, ora finalmente sono lì, vicini, nel presepio, perché riconoscono la presenza del loro Signore.
In molte raffigurazioni medievali del Natale, il bue e l’asino hanno fattezze quasi umane con un volto molto simile a quello dell'uomo; sembrano essere consapevoli e adoranti dinanzi al mistero del Bambino.
Anche all’“uomo debole e di vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi di Dio” (Sap 9,5) sono stati aperti gli occhi e le orecchie così da poter riconoscere il volto del Signore e ascoltare la sua voce. Tale prodigio è avvenuto nel battesimo. Il rito dell’Effetà (Apriti!) illustra questa trasformazione: vengono toccate le orecchie e le labbra del battezzato dicendogli “il Signore Gesù ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede”.
È “l'amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo”(Rm 5,5) che ci rende capaci di vedere e capire Dio, tanto da potergli dire affettuosamente: “Abbà, Padre!”. “La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori di amore verso Dio”, diceva Don Orione.
Durante l'opera di soccorso dopo il terremoto della Marsica (1915), un alto funzio-nario del Ministero degli Interni, Ernesto Campese, andò a incontrare Don Orione.
"Infatti, ero stato inviato con treni di roba ad Avezzano. Volli parlargli, e, abbordatolo mentre si spostava da un punto all'altro, mi invitò a seguirlo. Ma che passo teneva! Per tenergli dietro inciampai in una trave tra le macerie; non seppi trattenere una bestemmia. Don Orione si fermò a guardarmi; ma, strano!, mi guardava come quando da ragazzo ne facevo qualcuna, mi guardava mia madre.
Poi mi chiese: “A che punto siamo in fatto di religione?”.
Io gli risposi: “Tabula rasa”.
E lui: “Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?”.
Ed io: “Eh! Se mi si mostra!”.
Don Orione: “Veda ogni giorno di fare un pochino di bene”.
E la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.
Buon Natale! Felice anno nuovo 2012!
Don Flavio Peloso FDP
(superiore generale)

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