Il patto della vergogna. Tale si può definire l’accordo uscito dopo il vertice svoltosi ieri tra i leader dei tre maggiori partiti italiani. L’(an)alfabeto della politica stavolta ha toppato alla grande, dimostrando una regressione di idee e progetti spaventosa che mette a rischio la democrazia italiana. La decisione di procedere con le riforme costituzionali, di pari passo con la legge elettorale, non sarebbe stata neanche tanto male, se non fosse che le linee guida per riformare il nostro sistema elettorale ci riportano indietro di cinquant'anni, ai tempi dei giochini di palazzo, quei tanto odiati accordi sottobanco che caratterizzarono la prima repubblica, quando i governi li facevano i partiti e non il popolo.
Restituzione ai cittadini del potere di scelta dei parlamentari, un sistema fondato non più sull’obbligo di coalizione, indicazione del candidato premier, soglia di sbarramento e diritto di tribuna. Saranno questi i punti cardini attorno al quale ruoterà il confronto parlamentare per la riforma e che metteranno a rischio l’essenza della volontà popolare, nonché il peso dei due maggiori partiti italiani, ossia Pd e Pdl. Perché se è vero che da un lato si restituirà al popolo la possibilità di scelta del singolo parlamentare (anche se è tutto da vedere, visto che l’opzione delle preferenze non è del tutto scontata), è ancor più vero che dall’altro la scelta di abolire l’obbligo di indicare la coalizione prima del voto favorirà la politica della convenienza, facendo prevalere gli interessi di bottega a quelli del popolo. Tradotto dal politichese significherebbe che Pierfurby Casini, davvero ‘furbo’, pardonne per il gioco di parole, potrebbe permettersi di presentarsi alle elezioni da solo, aspettare i risultati e, soltanto allora, schierarsi a seconda di quanti ministeri e sottogoverni gli verrebbero assegnati. Cosa che renderebbe vana l’indicazione del Premier prima delle elezioni e soprattutto del programma di Governo (quest’ultimo si stilerebbe soltanto ad alleanze delineate).
Insomma, più che un grande accordo, più che una dimostrazione di buona politica, l’accordo - che per ora rimane tale, perché dalle parole bisognerà passare ai fatti - non altro rappresenta che un clamoroso autogol di Bersani e Alfano, ai quali forse manca più di un quid. Sono due i buoni motivi a dimostrazione di ciò: in primis permetteranno a Casini di continuare il gioco dei due forni, una sorta di trasformismo moderno a correnti alterne. In secundis garantiranno a Monti un secondo mandato anche dopo la scadenza naturale di questa Legislatura. Perché se passerà questo modello, una volta formato il nuovo Parlamento, ci potrebbe essere un clamoroso liberi tutti che spalancherebbe nuovamente le porte di Palazzo Chigi al professore. Insomma, tra tutte le soluzioni possibili l’(an)alfabeto politico ha scelto la strada peggiore. Perché sarebbe bastato mantenere il porcellum, aggiungendo le preferenze e il vincolo di mandato. Ma forse questo non andava bene a chi sta remando contro la nostra democrazia, dandoci l’illusione di restituire al popolo la voce che nessuno ascolta più.
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