12/03/12

L'onore a Dell'Utri, ed a FI, lo può restituire solo una assoluzione piena

La Procura di Palermo, con il processo a Marcello Dell’Utri, voleva dimostrare che Forza Italia in Sicilia è nata nel 1993-94 da un patto tra la mafia e Dell’Utri, e di riflesso, con Berlusconi. Non solo. Sempre la Procura di Paleremo da anni pretende di coinvolgere Berlusconi in una presunta trattativa tra mafia e Stato, trattativa che – come dimostrano gli atti (e non le chiacchiere) di un’altra Procura siciliana, quella di Caltanissetta – ha avuto ben altri protagonisti, che proprio in questi giorni si scambiano accuse e responsabilità sulle pagine dei maggiori quotidiani. La Cassazione, grazie all’analisi puntuale della Procura generale, ha reso per ora mezza giustizia a Dell’Utri. Ma la partita non è affatto chiusa.

Infatti la sentenza della Quinta sezione penale della Cassazione annulla il processo d'Appello che condannò il senatore Marcello Dell'Utri a sette anni di carcere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un po' salomonicamente, i supremi giudici hanno annullato con rinvio, ma non hanno avuto il coraggio di smentire in modo drastico le tesi accusatorie con un verdetto di annullamento senza rinvio a un nuovo processo, che avrebbe definitivamente chiuso questa pagina politica e giudiziaria che si trascina da quasi vent'anni.

La Corte, per decidere, ha preso atto delle coraggiose riflessioni di un procuratore generale, Iacoviello, che ha senz'altro il merito di avere proposto all'attenzione generale i punti deboli del concorso esterno in associazione mafiosa, un reato fumoso, che proprio per la sua indeterminatezza si è prestato in varie occasioni alle manipolazioni dei pm più politicizzati e spregiudicati. Inoltre va ricordato che la Procura di Palermo - nel suo ricorso in Cassazione volto a ottenere una condanna superiore per Dell'Utri e lo spostamento della commissione del reato a dopo il 1992 - aveva un ben preciso scopo, che nulla ha a che vedere con la prescrizione, altrimenti in atto alla fine del 2014. No, la Procura voleva (e continuerà su questa strada anche per il nuovo processo d'Appello) dimostrare che la nascita di Forza Italia nel 1993-94, era di fatto il frutto di un patto scellerato tra Cosa nostra e Berlusconi tramite l'intermediazione di Dell'Utri. Non solo. La Procura palermitana da anni cerca di coinvolgere Berlusconi nella presunta trattativa tra Stato e mafia, laddove la procura di Caltanissetta sta invece dimostrando ben altri protagonisti di quella immonda trattativa, con nomi e cognomi di esponenti politici di appartenenza politica diversa dal centrodestra, anzi avversari dichiarati di Berlusconi.

I commenti soddisfatti per la sentenza della Cassazione sono condivisibili per molti aspetti. Ma tutto questo è pur sempre poca cosa, perché quasi vent’anni di sofferenze non hanno prezzo e l'onore a Dell'Utri lo può restituire solo una sentenza di assoluzione piena, ed è a questo obiettivo che ora il senatore punterà con un nuovo processo. Obiettivo per nulla scontato. Il nuovo processo, è facile previsione, comporterà inevitabilente una rinnovata gogna mediatica e giudiziaria, senza escludere che qualche nuovo cosiddetto " pentito" potrebbe uscire a sorpresa dal cassetto dei pm palermitani. Per questo il calvario giudiziario di Dell'Utri sarà ancora lungo, e la battaglia per la verità e la giustizia non è certo finita.

Un punto importante è stato tuttavia acquisito, e parte dalla riflessione contenuta nella requisitoria del procuratore Iacoviello, sulla non più attualità e credibilità del reato di concorso esterno. Ingroia, pm militante di Paleremo, e Caselli che oggi è a Torino ma resta il nume tutelare dei partigiani palermitani, hanno tuonato (amplificati dalla loro gazzetta, il Fatto quotidiano) sulla presunta offesa alla memoria di Giovanni Falcone. Davvero singolare.

È vero che Falcone di fatto fu il padre in toga del reato di concorso esterno, ma contestualizzato all'epoca emergenziale della lotta alla mafia in cui fu concepito. E soprattutto bisogna far notare che mai Falcone utilizzò a sproposito quel reato associativo. Semmai sono stati certi magistrati militanti che hanno utilizzato a fini politici il reato di concorso esterno, così labile e di non facile dimostrazione già nella sua stessa definizione giuridica (come ha rilevato la Cassazione). E lo hanno fatto con scopi ben diversi da quelli che caratterizzavano investigatori di razza come Falcone e Borsellino, oggi citati a sproposito proprio da quei colleghi che un tempo fecero di tutto per ostacolare l'azione dei due magistrati assassinati da Cosa nostra, lasciati soli e derisi anche da quella sinistra giustizialista che da sempre è tutt’uno con le toghe politicizzate.
Di Paolo

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