Immersi in una crisi economica di durata e
soprattutto di portata maggiore delle precedenti, vediamo farsi strada l’idea
di fondo che per riprendere la via di uno sviluppo economico “sostenibile”, accompagnato
dallo sviluppo di una democrazia “matura”, non basterà più chiedere ai politici
una migliore qualità degli interventi pubblici ai vari livelli di governo.
Nel recente libro Le nuove virtù del mercato nell’era dei beni comuni (ed. Città
Nuova), l’economista Luigino Bruni afferma ad esempio: “Sono convinto che i prossimi decenni dovranno essere necessariamente
caratterizzati da una decrescita e ritirata della politica (non solo e non
tanto una decrescita dell’economia) per far spazio al civile e alla sfera
pubblica, poiché più un sistema è complesso meno pesante deve essere la mano
che entra dall’esterno nelle sue dinamiche”.
Avendo dunque sotto i nostri occhi la crescente
complessità del sistema in cui viviamo, possiamo anche chiedere e attendere migliori
misure di politica economica dai governi di turno (talvolta sarà necessario e in
alcuni casi potremmo anche ottenere ciò che chiediamo); sappiamo però che centrare
l’obiettivo di fondo di uno sviluppo sostenibile e democratico è qualcosa che
attiene in primo luogo al comportamento di ciascuno di noi, perché la crisi ha
dimostrato anche che un sistema complesso deve sapersi regolare dall’interno
quando occorre e il paradigma che regge l’attuale sistema di riferimento è
giunto al capolinea.
In un recente convegno cui ho avuto la fortuna di
partecipare, un altro noto economista, Serge Latouche, confermava anche lui che
l’attuale crisi, radicata nella storia, quantomeno degli ultimi decenni, mette
in luce nei suoi connotati essenziali un processo evolutivo più che un processo
transitorio o ciclico; l’attuale crisi – dice Latouche - ricorda in molti
aspetti il crollo dell’impero romano, che non è stato un fatto di pochi anni ma
almeno di decenni e che in tale arco di tempo ha portato una profonda trasformazione
in tutto il mondo conosciuto.
Chi come il sottoscritto ha studiato trenta anni fa
sui libri di economisti quali Federico Caffè e Fausto Vicarelli (uno per tutti:
“Keynes e l'instabilità del capitalismo”), aggiungendo nel tempo una
sensibilità umana e sociale frutto di una visione cristiana del mondo, non può
non trovarsi d’accordo con quanto constatato dal prof. Latouche, nonostante il
diverso orientamento culturale.
A distanza di vent’anni dal crollo del Muro di
Berlino, questa crisi, porta infatti con sé un “crollo” di portata ben più
ampia. Basti pensare ai miliardi di persone, non solo in America e in Europa,
che negli ultimi due secoli e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, hanno
fatto del sistema capitalistico il principale motivo di speranza e “felicità” (termine
dai molti possibili significati).
In ogni caso la generazione
cui appartengo (quella che alle elementari ha visto l’uomo andare sulla luna,
alle medie ha utilizzato le prime calcolatrici tascabili e all’università i
primi computer), è divenuta adulta (almeno dal punto di vista anagrafico)
facendo propri i grandi “miti” della crescita economica e dell’inarrestabile
progresso tecnologico. E’ cresciuta nella convinzione che, attraverso il
capitalismo, fossimo tutti destinati ad affrancarci nel tempo da ogni povertà e
da ogni schiavitù.
Col capitalismo, la crescita economica ed il
progresso tecnologico sono arrivati a “guidare la storia”. E nel periodo della ricostruzione postbellica e
del massimo sviluppo, si affermava da più parti anche l’idea che “Dio è morto”
e che un nuovo orizzonte di senso avrebbe riempito la vita dei popoli (anche di
quelli finalmente “in via di sviluppo”).
Il mondo, tuttavia, restava diviso in due blocchi
contrapposti, ciascuno profondamente convinto della bontà delle sue scelte,
ciascuno impegnato a vincere la grande sfida.
Nei primi anni ’80, inoltre, gli economisti parlavano
ormai di globalizzazione, un termine nuovo
e intrigante che indicava l’evidente, progressiva (di per sé positiva) accelerazione
delle relazioni e degli scambi internazionali; accelerazione che generava i
presupposti di una convergenza economica e culturale tra tutti i Paesi del
mondo, comportando, non da ultimo, una maggiore interdipendenza. Chi avrebbe
governato culturalmente e politicamente questa globalizzazione?
Il mondo era appunto diviso in due blocchi e l’attenzione
della gente comune era centrata su questo problema, non su altro, perché uno
era il blocco “buono” e l’altro quello “cattivo”. In realtà chi era sfuggito
alle insidie del capitalismo si era rifugiato sotto la protezione di un altro “vitello
d’oro”, durato meno del primo forse perché in maniera più evidente aveva
rigettato quell’umanesimo cristiano che, nella sua essenza, da duemila anni era
lievito e rete di sicurezza nel cammino dell’umanità verso un progresso
sostenibile.
Ancorato alla cura della persona e allo sviluppo
delle sue relazioni sociali, questo umanesimo ha spesso portato grandi
“innovazioni” sociali, ad esempio dopo l’avvento della fraternità francescana, contribuendo
in larga misura alla nascita dei comuni, degli ospedali, delle banche, delle
accademie …, tutte innovazioni
generatesi in Italia e poi arrivate in ogni angolo d’Europa.
In ogni caso, nel 1989, il crollo del muro di
Berlino consolidò nell’immaginario collettivo l’idea di un sistema
capitalistico “vincitore” della sfida, unico sistema economico in grado di
governare il processo di globalizzazione. In realtà il paradigma dell’homo oeconomicus cominciava a
scricchiolare anche per l’evidenza (negli anni a seguire) che in una società in
cui il comunismo aveva cercato di cancellare radici e valori cristiani, il
capitalismo mostrava più chiaramente i suoi limiti di sostenibilità,
rafforzando di fatto equilibri politici antidemocratici.
Occorreva dunque una svolta, un pensiero forte, una
prospettiva culturale “nuova” che aprisse una nuova via tra comunismo e
capitalismo.
Chi meglio di tutti poteva capire queste cose era
Giovanni Paolo II che, nel 1991, scriveva la lettera enciclica Centesimus Annus e di lì a poco, in
totale consonanza di idee, un altro importante personaggio del mondo cattolico,
Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, presente in oltre
centocinquanta paesi dei cinque continenti, lanciava in tutto il mondo l’idea
ed il progetto dell’Economia di Comunione, progetto che negli anni successivi
verrà definito dal prof. Stefano Zamagni come l’esempio più chiaro ed evidente
di Economia Civile dei nostri tempi.
Oggi, dicono in molti, laici e credenti, l’attuale
crisi potrebbe trasformarsi in una grande opportunità, per noi e per le
generazioni future, se sapremo costruire nuovi equilibri a partire da una nuova
visione del mercato e della realtà economica. Ma dobbiamo renderci conto che, se
l’attuale crisi ha portato al definitivo superamento del paradigma dell’homo
oeconomicus e di tutta la visione generale dell’economia che lo sottende, tale
paradigma resta radicato più di quanto crediamo nella vita e nelle scelte
quotidiane della maggior parte di noi, il che rende necessario un grande
impegno comune, culturale e operativo, per superare l’attuale logica
individualista del massimizzare unicamente il proprio tornaconto personale.
Come ha scritto nel 2009 anche Benedetto XVI (lettera
enciclica Caritas in Veritate): “Accanto al bene individuale, c'è un bene
legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel
noi-tutti, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in
comunità sociale.”
Oggi, l’Economia Civile e di Comunione, che lo
stesso Santo Padre addita nell’enciclica, rappresenta una prospettiva culturale
alternativa al capitalismo, che possiede radici storiche estremamente
importanti in tutte le epoche, dall’antichità ai nostri giorni.
Giorgio
Del Signore
Per chi è interessato, si parlerà di Economia
Civile e di Comunione anche venerdì 20 aprile, presso la parrocchia di San
Lino, a Roma, in via della Pineta Sacchetti 75. Interverranno: Leonardo Becchetti (economista), Claudio Guerrieri (filosofo) e Maddalena Maltese (giornalista). Per
informazioni: 348.2627450.
Grazie, Giorgio, per la tanto sintetica quanto puntuale lettura dell'attuale crisi e della proposta di una via di uscita credibile e concreta.
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