19/04/12

Dal capitalismo all'economia civile


Immersi in una crisi economica di durata e soprattutto di portata maggiore delle precedenti, vediamo farsi strada l’idea di fondo che per riprendere la via di uno sviluppo economico “sostenibile”, accompagnato dallo sviluppo di una democrazia “matura”, non basterà più chiedere ai politici una migliore qualità degli interventi pubblici ai vari livelli di governo.

Nel recente libro Le nuove virtù del mercato nell’era dei beni comuni (ed. Città Nuova), l’economista Luigino Bruni afferma ad esempio: “Sono convinto che i prossimi decenni dovranno essere necessariamente caratterizzati da una decrescita e ritirata della politica (non solo e non tanto una decrescita dell’economia) per far spazio al civile e alla sfera pubblica, poiché più un sistema è complesso meno pesante deve essere la mano che entra dall’esterno nelle sue dinamiche”.
Avendo dunque sotto i nostri occhi la crescente complessità del sistema in cui viviamo, possiamo anche chiedere e attendere migliori misure di politica economica dai governi di turno (talvolta sarà necessario e in alcuni casi potremmo anche ottenere ciò che chiediamo); sappiamo però che centrare l’obiettivo di fondo di uno sviluppo sostenibile e democratico è qualcosa che attiene in primo luogo al comportamento di ciascuno di noi, perché la crisi ha dimostrato anche che un sistema complesso deve sapersi regolare dall’interno quando occorre e il paradigma che regge l’attuale sistema di riferimento è giunto al capolinea.
In un recente convegno cui ho avuto la fortuna di partecipare, un altro noto economista, Serge Latouche, confermava anche lui che l’attuale crisi, radicata nella storia, quantomeno degli ultimi decenni, mette in luce nei suoi connotati essenziali un processo evolutivo più che un processo transitorio o ciclico; l’attuale crisi – dice Latouche - ricorda in molti aspetti il crollo dell’impero romano, che non è stato un fatto di pochi anni ma almeno di decenni e che in tale arco di tempo ha portato una profonda trasformazione in tutto il mondo conosciuto.  
Chi come il sottoscritto ha studiato trenta anni fa sui libri di economisti quali Federico Caffè e Fausto Vicarelli (uno per tutti: “Keynes e l'instabilità del capitalismo”), aggiungendo nel tempo una sensibilità umana e sociale frutto di una visione cristiana del mondo, non può non trovarsi d’accordo con quanto constatato dal prof. Latouche, nonostante il diverso orientamento culturale.
A distanza di vent’anni dal crollo del Muro di Berlino, questa crisi, porta infatti con sé un “crollo” di portata ben più ampia. Basti pensare ai miliardi di persone, non solo in America e in Europa, che negli ultimi due secoli e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, hanno fatto del sistema capitalistico il principale motivo di speranza e “felicità” (termine dai molti possibili significati).
In ogni caso la generazione cui appartengo (quella che alle elementari ha visto l’uomo andare sulla luna, alle medie ha utilizzato le prime calcolatrici tascabili e all’università i primi computer), è divenuta adulta (almeno dal punto di vista anagrafico) facendo propri i grandi “miti” della crescita economica e dell’inarrestabile progresso tecnologico. E’ cresciuta nella convinzione che, attraverso il capitalismo, fossimo tutti destinati ad affrancarci nel tempo da ogni povertà e da ogni schiavitù.
Col capitalismo, la crescita economica ed il progresso tecnologico sono arrivati a “guidare la storia”.  E nel periodo della ricostruzione postbellica e del massimo sviluppo, si affermava da più parti anche l’idea che “Dio è morto” e che un nuovo orizzonte di senso avrebbe riempito la vita dei popoli (anche di quelli finalmente “in via di sviluppo”).
Il mondo, tuttavia, restava diviso in due blocchi contrapposti, ciascuno profondamente convinto della bontà delle sue scelte, ciascuno impegnato a vincere la grande sfida.
Nei primi anni ’80, inoltre, gli economisti parlavano ormai di globalizzazione, un termine nuovo e intrigante che indicava l’evidente, progressiva (di per sé positiva) accelerazione delle relazioni e degli scambi internazionali; accelerazione che generava i presupposti di una convergenza economica e culturale tra tutti i Paesi del mondo, comportando, non da ultimo, una maggiore interdipendenza. Chi avrebbe governato culturalmente e politicamente questa globalizzazione?  
Il mondo era appunto diviso in due blocchi e l’attenzione della gente comune era centrata su questo problema, non su altro, perché uno era il blocco “buono” e l’altro quello “cattivo”. In realtà chi era sfuggito alle insidie del capitalismo si era rifugiato sotto la protezione di un altro “vitello d’oro”, durato meno del primo forse perché in maniera più evidente aveva rigettato quell’umanesimo cristiano che, nella sua essenza, da duemila anni era lievito e rete di sicurezza nel cammino dell’umanità verso un progresso sostenibile.
Ancorato alla cura della persona e allo sviluppo delle sue relazioni sociali, questo umanesimo ha spesso portato grandi “innovazioni” sociali, ad esempio dopo l’avvento della fraternità francescana, contribuendo in larga misura alla nascita dei comuni, degli ospedali, delle banche, delle accademie …,  tutte innovazioni generatesi in Italia e poi arrivate in ogni angolo d’Europa. 
In ogni caso, nel 1989, il crollo del muro di Berlino consolidò nell’immaginario collettivo l’idea di un sistema capitalistico “vincitore” della sfida, unico sistema economico in grado di governare il processo di globalizzazione. In realtà il paradigma dell’homo oeconomicus cominciava a scricchiolare anche per l’evidenza (negli anni a seguire) che in una società in cui il comunismo aveva cercato di cancellare radici e valori cristiani, il capitalismo mostrava più chiaramente i suoi limiti di sostenibilità, rafforzando di fatto equilibri politici antidemocratici.
Occorreva dunque una svolta, un pensiero forte, una prospettiva culturale “nuova” che aprisse una nuova via tra comunismo e capitalismo.  
Chi meglio di tutti poteva capire queste cose era Giovanni Paolo II che, nel 1991, scriveva la lettera enciclica Centesimus Annus e di lì a poco, in totale consonanza di idee, un altro importante personaggio del mondo cattolico, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, presente in oltre centocinquanta paesi dei cinque continenti, lanciava in tutto il mondo l’idea ed il progetto dell’Economia di Comunione, progetto che negli anni successivi verrà definito dal prof. Stefano Zamagni come l’esempio più chiaro ed evidente di Economia Civile dei nostri tempi.
Oggi, dicono in molti, laici e credenti, l’attuale crisi potrebbe trasformarsi in una grande opportunità, per noi e per le generazioni future, se sapremo costruire nuovi equilibri a partire da una nuova visione del mercato e della realtà economica. Ma dobbiamo renderci conto che, se l’attuale crisi ha portato al definitivo superamento del paradigma dell’homo oeconomicus e di tutta la visione generale dell’economia che lo sottende, tale paradigma resta radicato più di quanto crediamo nella vita e nelle scelte quotidiane della maggior parte di noi, il che rende necessario un grande impegno comune, culturale e operativo, per superare l’attuale logica individualista del massimizzare unicamente il proprio tornaconto personale.
Come ha scritto nel 2009 anche Benedetto XVI (lettera enciclica Caritas in Veritate): “Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel noi-tutti, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale.”
Oggi, l’Economia Civile e di Comunione, che lo stesso Santo Padre addita nell’enciclica, rappresenta una prospettiva culturale alternativa al capitalismo, che possiede radici storiche estremamente importanti in tutte le epoche, dall’antichità ai nostri giorni.
Giorgio Del Signore

Per chi è interessato, si parlerà di Economia Civile e di Comunione anche venerdì 20 aprile, presso la parrocchia di San Lino, a Roma, in via della Pineta Sacchetti 75. Interverranno: Leonardo Becchetti (economista), Claudio Guerrieri (filosofo) e Maddalena Maltese (giornalista). Per informazioni: 348.2627450.

1 commento:

  1. Grazie, Giorgio, per la tanto sintetica quanto puntuale lettura dell'attuale crisi e della proposta di una via di uscita credibile e concreta.

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