19/05/12

Le due facce dello spread


A volte ritornano, più pericolosi che mai. È il caso dello spread, il differenziale di rendimento tra Btp e i Bund, i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, che in questi giorni è tornato a salire a livelli allarmanti, mantenendo una media giornaliera di circa 450 punti. Colpa di Monti? Nulla affatto.
La precaria situazione greca, l’immobilismo dell’Unione Europea e il ruolo inadeguato della Bce sono solo alcune delle cause che hanno riportato la tensione sui nostri titoli di Stato. A questi rilevanti fattori, infatti, vanno aggiunte le pesanti speculazioni sui mercati finanziari e l’errata impostazione della politica economica europea, che si ostina ancora a mantenere una moneta federale e un debito confederato (ogni singolo membro è responsabile del proprio debito).
Ma come ha reagito la politica italiana di fronte all’ennesimo ritorno del temutissimo spread? Strano a dirsi, ma dal nostro Parlamento nessuno ha avuto il coraggio di fiatare, di avanzare critiche, di precisare che le speculazioni sui nostri titoli sono del tutto indipendenti rispetto a chi ha la fortuna di sedere a Palazzo Chigi. Nessuna reazione, dunque, estraneità totale. Il contrario di ciò che successe durante gli ultimi tre mesi del governo Berlusconi, quando lo spread diventò il cavallo di battaglia dell’allora opposizione. Chi non ricorda i vari Bocchino, Buttiglione e Bersani inveire contro quel Berlusconi causa principale dello spread alle stelle? Sono in molti, purtroppo, a non ricordarlo. Gli italiani hanno la memoria corta, anche se non tutti hanno perso la capacità mnemonica. Rocco Buttiglione, ad esempio, vice presidente della Camera e colonna portante dell’Udc, l’8 novembre del 2011 disse: «Le dimissioni di Berlusconi valgono 300 punti di spread».
Quel giorno il differenziale tra Btp e Bund chiuse a 497, non lontano dal picco di 482 raggiunto l’altro giorno. Una riduzione risicata e postdatata, per farla breve. Per rimanere in tema di chiaroveggenza, anche nel Pd non si scherzava. Enrico Letta, dall’alto dell’importante carica di partito che ricopre, il 26 settembre 2011 in un’intervista al quotidiano “Il Messaggero” dichiarò: «Appena Berlusconi si dimette lo spread scende di 100 punti». Peccato che quel giorno il differenziale si attestò a 376 punti. E che dire di Massimo D’Alema? Anche lui negli annali dei fattucchieri politici, il 4 novembre 2011, una settimana prima delle dimissioni di Berlusconi, azzardò una previsione: «Se va via Berlusconi sono almeno 60 punti spread». Quel venerdì lo spread mantenne gli stessi livelli allarmanti di oggi: 462 punti. Ma la palma d’oro per la “spreadfobia” va assegnata ai finiani di Futuro e Libertà, i quali oggi, piuttosto che ammettere l’abbaglio, preferiscono trincerarsi dietro a un silenzio che dice tutto. Italo Bocchino, fedelissimo del presidente della Camera e vice presidente di Fli, il 10 ottobre 2011 (spread a 348) dichiarò: «Il fattore Berlusconi tiene alto lo spread».
Più apocalittico il collega Briguglio, altro famigerato falco finiano, che quattordici giorni dopo, con lo spread a 383, manifestò la sua preoccupazione: «Lo spread è troppo alto. Serve un’operazione Walkiria per liberare il paese». Non fatevi impressionare troppo, però, perché il momento culminante la politica nostrana lo raggiunse il 5 settembre. A prendere parte alla giostrina anti-Cav. fu anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che con questi termini ammonì, seppur indirettamente, il governo Berlusconi: «Nessuno può sottovalutare – disse – il segnale allarmante rappresentato dall’odierna impennata del differenziale tra le quotazioni dei titoli del debito pubblico italiano e quelli tedeschi. È un segnale di persistente difficoltà a recuperare fiducia come è indispensabile e urgente». Parole sagge, ma quel giorno lo spread chiuse a 370 punti. Non male per essere super partes.

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