19/11/11

Dal bouquet al dpi: storie di (stra)ordinaria integrazione

Tra il paese di Lemie e gli ospiti del centro c'è stato un contatto, uno di quelli veri, che cambiano l'identità dei soggetti coinvolti. Secondo il filosofo Lévinas, l'incontro con l’altro è la dimensione fondamentale dell’esistenza, la fonte dell’etica e dell’identità: è nell’incontro con l’altro che si realizza la possibilità di essere se stessi.
Come spesso accade nei paesi piccoli - e Lemie ha 90 abitanti - il sindaco in prima persona si è messo in gioco. Ma Giacomo Liso lo ha fatto in modo decisamente originale, aprendo anche alcuni momenti della propria vita privata alle trentasei persone arrivate i primi di maggio dall'Africa.
Come Lemie fosse casa sua. E si preoccupasse di far sentire a casa anche i propri ospiti. Ma non solo. Tutto ciò, con lo stesso riguardo di prima per gli altri abitanti della casa comune.
Si confronta con le sfide dell'accoglienza con spontaneità contagiosa, Giacomo Liso. Alto, dinoccolato e, in mezzo alla barba grigia, un sorriso frequente e saggio di chi sembra aver sempre vestito i panni di chi apre le porte a profughi subsahariani in fuga dalla Libia in guerra.
Signor sindaco, sappiamo che ha invitato gli ospiti della struttura di accoglienza alla festa di matrimonio di sua figlia. Come è andata?
Hanno partecipato al taglio della torta e al rinfresco di chiusura, previsto nel pomeriggio. La loro presenza ha forse spiazzato alcuni degli altri invitati. Gli ospiti all'inizio sembravano un po' intimoriti dal contesto, diverso dall'abituale. Piano, piano, una volta vinta la timidezza - aiutati molto anche dai loro ragazzini che depredavano le scodelle dei confetti - si sono ambientati. Alla fine, ho dovuto contenere il loro entusiasmo, perché, non conoscendo le nostre tradizioni, si stavano impadronendo di molte bomboniere e del bouquet della sposa. Comunque è stato simpatico e credo che si siano divertiti.
Oltre a partecipare a momenti di festa, gli ospiti sono stati coinvolti anche in attività di volontariato o “di restituzione”, cioè una forma di ringraziamento nei confronti del paese che ha dato loro un tetto e doni di vario tipo. In che cosa sono stati impegnati?
Per adesso, l'unica modalità per dar loro un'occupazione è il volontariato, perché per un'assunzione regolare occorre aspettare sei mesi dalla richiesta di asilo. I ragazzi hanno imbiancato i nuovi locali della biblioteca comunale e provveduto alla ricollocazione dei volumi nel nuovo sito. Hanno collaborato con il nostro cantoniere alla manutenzione ordinaria di una strada, ripulendo le canaline di sgrondo. Hanno dato una mano a installare due nuovi giochi nell'area bimbi del parco. Non hanno avuto ricompense in denaro, ma dei biglietti dell'autobus per Torino, mi ha detto il direttore del centro.
E per il futuro che cosa si immagina?
Credo sia venuto il momento di fare il passo più importante, avviando un'attività sistematica nel settore ambientale e cercando di creare delle opportunità di assunzione per alcuni degli ospiti all'interno di imprese. Mi sono permesso di scrivere diverse lettere ad aziende, chiedendo degli indumenti da lavoro e dei dpi per i nostri ospiti. Ho specificato che nell'attesa che si definisca il loro status, sono disponibili a un'attività di volontariato - o “di restituzione” - in ambito ambientale, ma sono sprovvisti di indumenti adatti. Ho anche sottolineato come la costrizione a non svolgere attività lavorativa possa diventare lesiva dell'identità personale e fonte di disagio per la comunità tutta.
Serena Naldini di Connecting People

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