27/01/12

Speciale Shoah: l'orrendo esperimento - parte 5/5

INTERVISTA AL DOTT. NEDO FIANO, nato a Firenze il 24 aprile 1925.
Deportato il 16 maggio 1944 al campo di sterminio di Auschwitz


1) Che cosa ricorda del periodo fascista?

Lei mi sta domandando di ricordare l' inferno.
Io ero da ragazzo un fervente balilla molto convinto dell' idea fascista. Ero profondamente innamorato di Mussolini, ero molto assiduo alle adunate perchè mi divertivo molto e perchè ero un ragazzino.
Il fascismo l'ho conosciuto nel 1938 quando, con le leggi antiebraiche, ha scatenato su di noi una valanga non solo di infamie e di bugie ma di persecuzioni.
Il fascismo mi cacciò dalla scuola e per me fu un trauma.
Io ero un ragazzo come tanti altri, non mi piaceva studiare, consideravo la scuola una perdita di tempo e soprattutto studiavo quel minimo per poter passare.
Pensavo che questo fosse il mio gesto di riconoscenza verso i genitori.
Con le leggi razziali sono diventato uno studioso e lo sono tutt'ora. La mia reazione fu tremenda. Ho pianto disperatamente.
Prima di tutto un tradimento ideologico ,ma soprattutto perchè ho perso tutti i miei amici da un giorno all' altro.
Questo è il mio ricordo del fascismo : un movimento che mi aveva entusiasmato, mi aveva fatto fanatico, come può essere un ragazzo e che poi invece si è rivoltato tutto contro di me.

2) Poteva prevedere nei primi momenti dell'avvento del fascismo l'esito totalitario e antiebraico?

Come? Chi poteva prevedere?
Per noi la storia è cominciata il 28 ottobre prima non c'era assolutamente nulla.
Questo è il fascismo.
Noi eravamo undici persone e sono tornato solo io. Mio padre, mia madre, mio fratello, sua moglie e un bimbo di 18 mesi, mia nonna, mia zia, mio zio e due figli, furono presi e deportati.
Quando io sono tornato nel settembre-ottobre 1945, dopo due anni di deportazione, non ho trovato più niente, più nessuno.
Non c'era assolutamente più nulla. Infatti anche se sono innamorato della mia città, ci torno solo per il mese di agosto.
Per me, Firenze, è diventata una provocazione, un tormento: le case, le strade...le case di quel tempo lontano.

3) Come si comportavano gli italiani rispetto all' antisemitismo che arrivava dalla Germania?

Mi piacerebbe rispondere che gli italiani si sono comportati bene. Mi piacerebbe proprio dirlo! In realtà ci sono stati degli italiani che l'hanno fatto. Ma se ripenso all'arresto di mia madre!  E' avvenuto nell' indifferenza di tutti.
Perché l 'eroismo è un sentimento che primeggia nei romanzi, nei filmati ,ma nella vita comune l'eroismo è molto raro.
Se ripenso ai miei compagni di classe , dei quali porto sempre con me una foto, non posso che essere deluso.
Ci fosse stato uno capace di darmi una parola di conforto, di solidarietà!
In qualche modo poi mi sono ripreso perché era stata fatta una scuola dagli ebrei fiorentini. Una mini scuola ma grande perché ha fatto di noi degli uomini , ci ha forgiato e soprattutto ci ha trasformato in studiosi, in giovani impegnati.
Mio padre é stato quello che ha sofferto più di tutti.
Anche lui fascista. ha fatto la marcia su Roma nel 1922. Ma è stato veramente tradito.
Era un funzionario delle poste a Firenze.
E' morto due volte; tutto il mondo che conosceva gli ha voltato le spalle .
Per i suoi " camerati" non esisteva più.
Quando noi scendevamo le scale di casa la gente, che noi conoscevamo da più di 15 anni, voltava la faccia dall'altre parte.
E io sentivo i miei genitori offesi proprio nel profondo.
Dopo l' 8 settembre 1943, quando i tedeschi occuparono militarmente l'Italia siamo dovuti fuggire dalla nostra casa.
Abbiamo bussato a tante porte, abbiamo ricevuto tanti no, finché una famiglia ci ha ospitati , erano amici di mia madre, antifascisti e comunisti.
Noi siamo fuggiti di notte con una piccola valigetta, cose di prima necessità.
La nostra deportazione è avvenuta in tempi diversi.
Mia nonna fu messa in casa di riposo, ma i tedeschi prelevarono tutti i degenti compresi gli assistenti e gli infermieri per mandarli direttamente ad Auschwitz.

4) In che modo è avvenuta la sua deportazione?

Io sono responsabile del mio arresto perché non riuscivo a stare chiuso in una stanza.
Mi hanno preso in una via centrale di Firenze.
Mia madre è stata cercata a casa.
Mio fratello è stato preso con la moglie e il bambino mentre lavorava come portiere di un albergo. Prendere un bambino di 18 mesi per portarlo a bruciare nei forni!
Sono cose alle quali non si riesce a credere; cose folli, demenziali, senza spiegazione.
E quando noi testimoni diretti, non ci saremo più e il nostro destino sarà solo storia scritta, una percentuale di persone non ci crederà.
Pensare che su sei milioni di ebrei uccisi un milione e mezzo erano bambini...è raccapricciante.
La mamma è stata separata da noi e portata a morire subito nel forno crematorio N°2 di Aushiwitz. Io come interprete sono stato assegnato ad un corpo privilegiato mentre papà è stato assegnato a lavori molto pesanti e nel mese di agosto, in seguito ad un'altra selezione è stato mandato a morire.

5) Com'era organizzata la vita all'interno del campo di sterminio?

Com'era organizzata la morte.
Tutto era fatto per arrivare alla cremazione di un congruo numero di persone al giorno. Sono arrivati fino a 10 mila della comunità ebraica ungherese.
Orari prestabiliti, norme rigide, disciplina, violenza in continuazione da parte dei Kapos.
I kapos erano delinquenti con pesanti pene detentive, liberati dal carcere quando i tedeschi hanno liberato i rispettivi Paesi. Ad essi era stata promessa la libertà alla fine della guerra.
Le strade del campo non erano asfaltate, noi non avevamo le scarpe ma gli zoccoli di legno e quando arrivavano le piogge si formava fango che arrivava fino alle ginocchia. I prigionieri dovevano entrare dentro e marciare a ritmo di musica che scandiva il passo. Era spaventoso muoversi in quelle condizioni.
Nel campo non esisteva la carta igienica e noi dovevamo pulirci con le mani.
L'aria del campo era appestata da questi quattro forni che bruciavano 24 ore su 24, senza soste.

6) In cosa cosa consisteva la sua attività all'interno del campo di sterminio?

Io sono stato, reclutato in una squadra speciale il cui compito consisteva nella pulizia dei vagoni che portavano i prigionieri al campo.
Si dovevano ripulire i vagoni per non lasciare tracce e si doveva rispondere alla domande delle persone che arrivavano angosciate e per questo servivano persone che sapessero parlare almeno due lingue.
Ad un certo punto, il campo fu evacuato e mi trasferirono nell'estremo nord in un campo gestito dalle SS Ucraine. Nessuno riesce a pensare che esista qualcosa di peggio delle SS Tedesche; io invece posso ammettere che le SS Ucraine erano peggiori di quelle Tedesche.

7) Come ha vissuto il ritorno in Italia? Cos'era cambiato nella sua vita?

Io sono tornato in Italia ventenne, l'avevo lasciata che ne avevo 18 e avevo molta confusione in testa.
Poi ho avuto una grande fortuna alcuni miei terzi cugini industriali a Firenze, mi hanno subito offerto di andare a lavorare da loro, cosa che ho fatto nel giro di pochi giorni ma mi sono trovato come quando uno arriva in una grande città per la dimensione, per i comportamenti, mi sembrava un territorio sconosciuto.
Non potevo dormire in un letto normale e per molto tempo ho continuato a riposare per terra. Non riuscivo a sorseggiare ma dovevo bere tutto d'un fiato. Non avendo più nessuno mi sentivo nel vuoto più totale. Mi sono sposato nel 1949 e ho avuto tre figli.

8) Cosa vorrebbe che in assoluto si ricordasse alle nuove generazioni di questo periodo?

La memoria! Sono convinto che la cosa più auspicabile sia quella che nel futuro i ragazzi possano conoscere questi fatti. Ma non per spirito di vendetta, non ci interessa una vendetta per sei milioni di morti. Non ci può essere vendetta appropriata per chi ti ha distrutto una famiglia, la giovinezza e una vita. Si deve ricordare che Auschiwtz è la prova provata di dove finiscono le dittature.
Quando si comincia a perseguitare le persone, a bruciare libri, quando si distruggono i luoghi di preghiera, quello è l'inizio di un piano inclinato che tende poi a verticalizzarsi.
Tutto il resto si può perdere ma non la libertà.
Libertà significa godere del privilegio di pensare quello che si vuole non di accettare il pensiero altrui perché è imposto per disciplina vuol dire perdere tutto il significato della vita.
Quindi io spero che rimanga la memoria e con essa la consapevolezza di come un paese moderno come la Germania si sia giocata la libertà mettendola nelle mani di un folle come Hitler.
Dicono che la storia la scrivono i vincitori, e meno male perché se l'avessero scritta i vinti non so che storia avrebbero potuto scrivere.

A cura di Sarah MYLIZ

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