19/02/12

Come far diventare più ecocompatibili e più giuste società ed economia


Più volte negli ultimi mesi Benedetto XVI ha parlato di ecologia, confermando che la tutela del creato è tema centrale per i cristiani. Non è dunque un caso se in Germania per iniziativa di due istituzioni della Chiesa evangelica per la cooperazione allo sviluppo, Evangelischer Entwicklungsdienst e Brot für die Welt, unitamente alla maggiore associazione ambientalista tedesca, il Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, sia stato pubblicato uno studio specifico: Zukunftsfähiges Deutschland in einer globalisierten Welt (Germania capace di futuro in un mondo globalizzato), adattato e integrato di recente per l'Italia con il titolo Futuro sostenibile.
Le risposte eco-sociali alla crisi in Europa (Milano, Edizioni Ambiente, 2011, pagine 478, euro 28). Si tratta di un lavoro a tutto campo, considerato un punto di riferimento per quanti si occupano di natura e di economia a basso impatto ambientale, redatto da un'équipe di trenta autori del Wuppertal Institut e di alcune università tedesche, coordinati da Wolfgang Sachs, e da Marco Morosini per l'Italia.

Del resto il primo studio commissionato dal Bund e da Misereor nel 1996 venne definito dallo “Spiegel” una sorta di “'bibbia verde' del passaggio di millennio”. E suscitò stupore che un'associazione ambientalista e un'organizzazione ecclesiale per l'aiuto allo sviluppo elaborassero insieme - sulla scia della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 - un progetto realistico e dettagliato per il futuro sostenibile di un Paese industriale, proponendo una combinazione di efficienza e di sufficienza.

Quindici anni dopo si può dire che quel libro ha contribuito a quel cambiamento sotterraneo che ha permesso alla Germania di diventare uno dei precursori nel settore delle tecnologie e delle politiche rispettose delle risorse. Da allora, tuttavia, alcuni scenari sono cambiati, soprattutto dal punto di vista della finanza, e la nuova ricerca parte proprio da qui. “Ai vertici della politica e dell'economia – si legge - hanno cominciato a vacillare certezze di lunga data. Sono finiti i giorni d'euforia neoliberista e di trionfante globalizzazione. Una rimozione durata anni sembra terminare. L'uragano Katrina, gli iceberg che si sciolgono, le ondate di caldo ricorrenti e gli uccelli migratori disorientati sembrano suggerire ai popoli e ai loro leader: la natura restituisce i colpi che subisce”.

Eppure, mentre da un lato la società è divenuta consapevole che la minaccia del caos climatico richiede un'inversione di marcia, dall'altro si continua ad andare avanti come sempre. In sostanza, se nel dibattito pubblico e nei media quasi tutti sembrano favorevoli a una politica per il clima, di fatto l'uso di energia e combustibili fossili continua ad aumentare. E la sensibilità ecologica viene gratificata con poche concessioni: un po' di elettricità “verde”, qualche costosissima auto elettrica, e così via.

“Mentre la retorica ufficiale è piena di preoccupazioni, i Paesi industrializzati – è la constatazione dei ricercatori - continuano a essere tra le principali minacce per l'ambiente globale. Negli anni della rimozione, infatti, le loro élite economiche si sono date abbondantemente da fare per espandere a livello mondiale un'economia di rapina ecologica”. E oggi l'ascesa delle economie emergenti “ha reso drammaticamente visibile l'incompatibilità tra l'integrità della biosfera e il modello di sviluppo tradizionale”. Così, se a parole nessuno vuole negare agli abitanti del Sud l'uscita dalla povertà, il conflitto tra speranze di sviluppo e limiti ecologici si inasprisce. “Cercare di mitigare la povertà senza voler mitigare la ricchezza non è altro che ipocrisia”. Perché una certezza esiste: i limiti della natura non sono eliminabili, e se non si cambia, il modello di sviluppo dominante è destinato al capolinea.

Un cambiamento è tuttavia in atto, ma non è guidato dai governi. A premere su questa via sono scienziati, imprenditori, gruppi della società civile e associazioni, che hanno prodotto in molti Paesi pratiche e conoscenze per far diventare più ecocompatibili e più giuste società ed economia. L'idea di fondo – che poi è la tesi dello studio – è che “il cambiamento climatico richiede un cambiamento di civiltà. Il passaggio a una civiltà post-fossile sarà l'impegno determinante di questo secolo, soprattutto per le società industrializzate”. Si tratta di una sfida tecnologica, cioè la riorganizzazione del sistema in tecnologie meno dispendiose e rispettose della natura. Un'impresa epocale per le scienze economiche e politiche, ma soprattutto tema di confronto nei parlamenti, alla ricerca di idee guida sia per l'azione, sia come riferimento esistenziale: dallo stile di vita personale all'etica professionale, fino alle priorità della collettività.

“Queste idee guida – si legge ancora nel volume - dovranno permettere di percepire la realtà nel suo insieme e dovranno ruotare intorno al giusto equilibrio tra uomo e natura. Saranno ispirate da una responsabilità cosmopolita e collegheranno lo stile di vita personale al contesto globale”. E in una tale prospettiva, nel cosiddetto “triangolo della sostenibilità”, crescita economica, sicurezza sociale e compatibilità ambientale dovranno essere considerati di pari importanza. Fermo restando che “mantenere le dinamiche economiche all'interno dei guard-rail del rispetto dell'ambiente e dei diritti umani è il programma centrale della sostenibilità”.

Ovviamente in un tale programma l'economia non può essere considerata il motore dello sviluppo sociale. “In ogni caso – si sostiene - il cambiamento di rotta verso la sostenibilità esige l'addio definitivo al neoliberismo”. Un sistema che tra l'altro si è dimostrato impotente di fronte alle crisi globali della povertà e dell'ambiente. Allo stesso modo, dal punto di vista della tutela ambientale, “non si potrà salvaguardare la biosfera senza congedarsi dalla posizione d'egemonia del Nord nella politica mondiale. È ovvio che una politica di ordinamento mondiale può riuscire in materia di ecologia solo in uno sforzo comune dei Paesi ricchi e poveri”.

I due fattori naturalmente sono interconnessi. Secondo lo studio - che non si limita ad analizzare la situazione, ma detta un'agenda con proposte politiche e operative, partendo da esperienze reali, dal locale al globale e viceversa - “una politica ambientale che non è allo stesso tempo politica di solidarietà rimarrà senza successo. La bomba a orologeria della povertà globale potrà essere disinnescata solo se una politica di solidarietà diverrà il punto centrale delle relazioni internazionali. Incentivazione dello sviluppo, non dell'economia: questo deve contraddistinguere l'architettura della società globale. Senza una svolta nella politica d'egemonia, soprattutto su debiti, brevetti e accordi commerciali, non c'è da aspettarsi una seria cooperazione dei Paesi del Sud per l'uscita dall'economia basata sui combustibili fossili”.
Gaetano Vallini


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