La novità negativa pare non esser piaciuta al Governo dei tecnici. Dopo l’acclamazione a reti unificate del 12 novembre scorso, quando Silvio Berlusconi salì al Colle per dare le dimissioni, favorendo così una fase di responsabile transizione, e la popolarità record registrata agli inizi di Marzo (60%), ora l’Esecutivo a guida Monti naviga in acque buie, stretto tra la morsa dei partiti e quella di un’opinione pubblica che non gradisce più come prima i provvedimenti che con il passare dei giorni stanno prendendo forma.
Il sondaggio pubblicato domenica scorsa sul Corriere, a firma di Renato Mannheimer, parla chiaro: il consenso nei confronti del Governo Monti è sceso di 15 punti nell’ultimo mese, attestandosi al 44%, il minimo da quando il professore della Bocconi ha varcato la soglia di Palazzo Chigi.
Che sia una reazione momentanea ai duri provvedimenti sul lavoro che il Governo vuole varare, come scrive Mannheimer? Può anche darsi, ma questa flessione dei consensi non dovrebbe essere sottovalutata da Mario Monti, il quale sta iniziando a fare i conti con un problema senza dubbio maggiore rispetto al protagonismo mediatico dei partiti, alle ideologie novecentesche e corporative della Camusso e all’attivismo di quelle correnti trasversali che in Parlamento vorrebbero buttarlo giù dal piedistallo: il fattore novità.
Già, perché la novità è un fattore da sempre determinante nel panorama politico italiano sin da tempi non sospetti. Prima di Monti a esser rimasti vittime del fattore novità, e dunque dell’enfasi portata da questo, furono in tanti: Giuseppe Garibaldi, Umberto II, Benito Mussolini, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, solo per citarne alcuni.
Accostare tra loro questi nomi può sembrare un azzardo. E in effetti lo è, se non fosse che tutti questi grandi personaggi, chi in positivo, chi in negativo, sono stati accomunati da una folla festante che li ha accolti come salvatori della Patria e li ha cacciati come infausti traditori.
Così anche Mario Monti, accolto in maniera epica da un paese che con il passare dei giorni sta rimpiangendo l’ottimismo berlusconiano, è finito nella morsa dell’ingratitudine italiana. Quell'ingratitudine che porta l'italiano medio a non considerare i contenuti, le idee, i progetti, ma solo la propria convenienza.
I tempi d’oro sono finiti per i professori, perché ora dovranno fare i conti con il dissenso e con le critiche, alle quali sembrano non essere abituati. Sarà dura da qui al 2013 (ci arriveranno?) per Mario Monti. Sarà dura perché forse questa non l’aveva messa in conto. Non aveva calcolato che l’Italia non ha mai avuto grandi statisti, ma solo mode passeggere.
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