24/03/12

IL GIORNO PRIMO E L'OTTAVO/17. Da Michelangelo al nostro cuore.


CCXLVI [1552-54]

Gl’infiniti pensier mie’, d’error pieni,
negli ultim’anni della vita mia,
ristringer si dovrien ’n un sol che sia
guida agli etterni suo giorni sereni.

Ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni
coll’usata ineffabil cortesia?

…………………………….

Frammento, probabilmente di sonetto, in: M.BUONARROTI, Le rime, Torino 1930, 178.

Non sapevo, o almeno non ricordavo più, che Michelangelo ...
fosse anche poeta. Anzi: verso il termine della sua vita egli si considerava più poeta che pittore, scultore o architetto. Da non credere!

Lo si può capire, però, se si legge questo frammento di sonetto, composto tra il 1552 e il ’54, nel pieno della sua collaborazione alla fabbrica di San Pietro e della realizzazione della serie delle Pietà. Aveva già più di 75 anni, secondo questa datazione: un tempo adatto a guardarsi dentro con verità, al di là di tutta la fama che ormai gli veniva attribuita e di cui egli era ben cosciente.
Cosciente della fama, ma non al punto di esserne inebriato e dunque distratto. Così scrisse questi versetti, a noi giunti incompiuti. Io li ho ascoltati, e scoperti, mentre mi trovavo davanti alla statua del Mosè, realizzata come parte della tomba di Giulio II, nella chiesa di San Pietro in Vincoli, a Roma. Fino ad un istante prima ero rimasto tutto preso dalla spiegazione del valore di quella statua possente e la stavo ancora guardando, ammirato da come il genio avesse potuto trarre dal marmo quelle forme così espressive e cariche di energia. All’udir però la rima, mi son girato verso il lettore e commentatore, che era in questo caso Davide Rondoni. Mi son girato soprattutto alla declamazione degli ultimi due versi: “…Ma che poss’io, Signore, s’a me non vieni coll’usata, ineffabil cortesia?

Che poss’io… e lo diceva quel così gran artista.
Signor, se a me non vieni
Coll’usata… che consapevolezza, in questo usata: è come dire che la conosco, perché continuamente la vedo, abitualmente la sperimento.
Ineffabil cortesia. Questi son attributi di Dio: l’ineffabilità, cioè il fatto che ciò che è proprio di Dio trabocchi continuamente rispetto al linguaggio umano che pur si sforza di descriverlo, riuscendo sempre a dire poco e ignorare molto di più.

Ma è soprattutto la cortesia l’attributo che qui viene predicato di Dio. Cortesia: vi è contenuta tutta la raffinatezza, la nobiltà, tutta l’ispirazione dell’amor cortese del Medioevo del sec. XII; e pure tutta la passione della Chiesa del Cinquecento, impegnata, contro Lutero, ad affermare la necessità della collaborazione dell’uomo all’opera divina, ma senza dimenticare che, come pure lui riteneva, tutto è Grazia, tutto ha origine nella Grazia, l’espressione più concreta e percepibile dell’amore divino.

La Grazia è cortesia divina. Davanti ad essa, il grande Michelangelo pensava più ai propri peccati ed errori che non alle proprie opere favolose. Davanti alla bellezza divina, anche ciò che sembra più nobile in noi è comunque sempre un po’ offuscato. Soprattutto alla bellezza della cortesia che perdona. Mi sono commosso e un po' ho pianto, sottilmente...

Don Alberto

1 commento:

  1. Grazie don Alberto che "cordialmente" hai condiviso con noi questo momento di alta poesia

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