23/04/12

Genoa-Siena: pensavo fosse uno scambio di maglie coi tifosi

Quello che è successo a Genova ieri, all'inizio del secondo tempo della partita tra Genoa e Siena e sul risultato di 4 a 0 per gli ospiti, ha dell'incredibile per il resto del mondo, per l'Italia un po' meno. Si tollera tutto qui, anche che dei tifosi (Beh, tifosi....meglio chiamarli teppisti no?)
interrompano la partita di calcio in corso, pretendano la consegna delle maglie della squadra dai giocatori ritenuti indegni di indossarle, tengano
ostaggio in uno stadio decine di migliaia di persone con figli al seguito e con loro l'Italia intera e le sue forze dell'ordine.
Il capitano del Genoa, invece di affrontarli a muso duro, raccoglie le maglie dei compagni per consegnarle ai tifosi manco fosse la bella lavanderina che lava i fazzoletti.
Due mi sembra reagiscano: Sculli e Frey, non se la tolgono, sembrano dire: vieni a prendertela.
Non si finisce mai di stupirsi in questo calcio ed io, illuso dal clima d'amore e riflessione dell'Italia del pallone post Morosini, ho creduto che i giocatori volessero scambiarsi le maglie addirittura coi tifosi.
Niente di tutto questo. Maglie consegnate secondo il volere dei tifosi, rimbalzo di accuse tra questura e presidente del Genoa, c'è chi si complimenta perché la farsa italiana almeno non si è trasformata in tragedia e dicono che poi la partita sia ripresa.
Ora inizieranno i processi, le dichiarazioni, i Daspo, ed i politici che diranno la loro: Morosini, mi spiace, ma qui è ripreso tutto come prima.

1 commento:

  1. Follia ultrà Genoa, quale?
    Capita che l’indignazione per gli ultrà del Genoa salga alle stelle. E capita pure che, da lassù in ‘alto’, si corra il rischio di appiattire tutto, comprese valutazioni ‘altre’ sulla sospensione del match di Marassi. Mi perdoni l’ortodossia del pensiero unico, ma preferisco scrivere ‘d’altro’. Non è un gioco di parole, ma al resto ci pensino loro.

    Punto primo, follia simbolica. Niente sintetizza più delle parole di Damiano Tommasi (“La maglia non la darei mai”) e Gianni Petrucci: “La maglia è il simbolo intangibile di una squadra e non può essere né offesa, né vilipesa o, tantomeno, oggetto di trattative”. Domanda: perché Presidente di Assocalciatori e Premier dello Sport italiano tacciono sugli effetti (culturalmente devastanti) delle trattative, pardon della mutazione genetica del calcio, intrapresa senza scrupoli dalla globalizzazione di banche, multinazionali e finanza? Sconfitto il ritualismo della contemporaneità di gioco (spezzatino di anticipi e postici tv), tra l’indifferenza generale sono caduti colori di maglia e toponomastica dei templi del tifo.

    In nome di chi? E di cosa? Non certo per spirito decoubertiano. In Spagna il Getafe di Madrid – comprato dagli arabi del Royal Emirates Group – ha cambiato logo e nome, diventando Getafe Team Dubai. In Austria il Salisburgo – comprato dalla Red Bull – oltre al nome ha cambiato logo e colori sociali. In Inghilterra l’Arsenal di Londra, abbattuto il mitico Highbury ‘febbre a 90’ col petrolio degli sceicchi, oggi gioca nell’Emirates Stadium, proprio come in Germania – stesso brand naming – Bayern Monaco e Monaco 1860 giocano nell’Allianz Arena. E se i Mondiali 2022 vanno in Qatar (micro-emirato evidentemente con grande tradizione calcistica!) in Italia il nuovissimo Juventus Stadium rischia di votarsi ad un Dio Sponsor mentre la Roma a stelle e strisce (dopo un pensiero sul restyling del logo lupa) vuole il derby con la Lazio in USA, anziché all’ombra del Colosseo. Che ne pensano Tommasi e Petrucci?

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