La Repubblica Popolare Cinese invade e occupa il Tibet nel 1950 commettendo un vero proprio atto di aggressione e violazione della legge internazionale. Il Dalai Lama, capo politico e spirituale del Tibet, tentò la strada della convivenza pacifica con i cinesi, ma le mire colonialiste della Cina diedero vita a ad una sistematica politica di sottomissione del popolo tibetano. Dagli anni ’50 ad oggi l’occupazione cinese ha causato la morte di oltre 1 milione di tibetani, la distruzione del 90% del loro patrimonio artistico e architettonico (monumenti, templi, monasteri e stupa), il danneggiamento irreversibile dell’ecosistema con il continuo scarico di rifiuti nucleari.
Nel corso degli anni il problema è stato oggetto di una crescente attenzione da parte della comunità internazionale. Il Dalai Lama è stato insignito, nel 1989, del Premio Nobel per la Pace ed è stato ricevuto da molti capi di stato. Gli Stati Uniti, l'Australia e l'Unione Europea a più riprese hanno inviato in Tibet delegazioni parlamentari d'inchiesta. La situazione però rimane grave: continua l’afflusso dei coloni cinesi che hanno orami ridotto i tibetani ad una minoranza, le attività religiose e la libertà di culto sono fortemente ostacolate, 500 mila soldati della Repubblica Popolare sono di stanza nella regione, proseguono gli arresti e le detenzioni arbitrarie, in carcere la tortura e le percosse sono pratiche usuali, il miracolo economico cinese non reca alcun concreto vantaggio ai tibetani che sono emarginati dal punto di vista economico e sociale.
Nonostante le severe punizioni e dopo oltre sessant’anni di occupazione la resistenza della popolazione continua. Negli ultimi mesi 27 persone (studenti, monaci e donne) si sono immolati per la libertà del Tibet ed il ritorno del Dalai Lama dandosi volontariamente fuoco. Le torce umani dovrebbero far capire a Pechino quale sia il livello di frustrazione e disperazione di questo popolo, ma il governo cinese risponde con la chiusura ermetica del territorio ai turisti, alla stampa, alle organizzazioni umanitarie. Nonostante questo stato di cose, Lobsang Sangay, Primo Ministro del governo tibetano in esilio, nella sua recente visita in Italia continua ad impegnarsi per la politica della “Via di Mezzo” che aspira ad una genuina autonomia sulla base dell’ordinamento giuridico cinese.
Nel corso degli anni il problema è stato oggetto di una crescente attenzione da parte della comunità internazionale. Il Dalai Lama è stato insignito, nel 1989, del Premio Nobel per la Pace ed è stato ricevuto da molti capi di stato. Gli Stati Uniti, l'Australia e l'Unione Europea a più riprese hanno inviato in Tibet delegazioni parlamentari d'inchiesta. La situazione però rimane grave: continua l’afflusso dei coloni cinesi che hanno orami ridotto i tibetani ad una minoranza, le attività religiose e la libertà di culto sono fortemente ostacolate, 500 mila soldati della Repubblica Popolare sono di stanza nella regione, proseguono gli arresti e le detenzioni arbitrarie, in carcere la tortura e le percosse sono pratiche usuali, il miracolo economico cinese non reca alcun concreto vantaggio ai tibetani che sono emarginati dal punto di vista economico e sociale.
Nonostante le severe punizioni e dopo oltre sessant’anni di occupazione la resistenza della popolazione continua. Negli ultimi mesi 27 persone (studenti, monaci e donne) si sono immolati per la libertà del Tibet ed il ritorno del Dalai Lama dandosi volontariamente fuoco. Le torce umani dovrebbero far capire a Pechino quale sia il livello di frustrazione e disperazione di questo popolo, ma il governo cinese risponde con la chiusura ermetica del territorio ai turisti, alla stampa, alle organizzazioni umanitarie. Nonostante questo stato di cose, Lobsang Sangay, Primo Ministro del governo tibetano in esilio, nella sua recente visita in Italia continua ad impegnarsi per la politica della “Via di Mezzo” che aspira ad una genuina autonomia sulla base dell’ordinamento giuridico cinese.
Scrivendo queste poche righe mi è venuto naturale interrogarmi su come io possa contribuire affinché venga riconosciuto il diritto all’autodeterminazione e siano garantiti le fondamentali libertà civili al popolo tibetano. Ho deciso quindi di sottoscrivere gli appelli di Avaaz (https://secure.avaaz.org/fr/save_tibetan_lives_fr/?vl) e di International Tibet Network (http://standupfortibet.org/enough/dk-speakup-petition-1/). E’ facile, basta un clik!
Maria Leone
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