29/04/12

IL GIORNO PRIMO E L’OTTAVO/20. Vita, cristianesimo e conoscenza


Vorrei fare una considerazione che concerne la questione della conoscenza.

La conoscenza è componente essenziale del vivere cristiano. Tuttavia è stata molto messa in ombra, nella sua importanza, per il fatto che si è voluto per alcuni decenni sostituirla con ...
...altre componenti, ritenute più decisive. Si è voluto dire che la fede è anzitutto un sentimento: qualcosa che nasce da dentro l’uomo e ne esprime il fattore assolutamente personale. Da un altro canto, si è messa al primo posto la carità, intesa sia come amore al prossimo, sia come attenzione ai suoi bisogni più concreti: l’agire caritatevole è stato fatto coincidere con l’essenza del credere cristiano, fino a dire che là dove c’è un cristiano deve esserci la carità e là dove c’è una necessità sociale lì deve pure esserci un cristiano. Così, la conoscenza è stata declassata: intesa come qualcosa di costruito, di non “personale”; compresa come una componente astratta e artefatta del vivere in quanto sinonimo di non-immediatezza; rimando ad un rapporto troppo formale.

Eppure. Vi faccio un esempio per capire quanto la conoscenza sia invece un fattore ben più decisivo.

Il vangelo di questa domenica è centrato sulla figura di Gesù come buon pastore. Io non so cosa a voi dica questa immagine: probabilmente essa fa risuonare qualcosa che è legato al sedimento di memoria e di esperienza che c’è in ognuno di noi. Io collego l’immagine soprattutto alle parole del salmo 21 (22): “Il Signore è il mio pastore, nulla mi può mancare”. La trovo un’immagine che dice dell’atteggiamento di Dio verso di me e noi.

Ma! La figura del pastore è stata consacrata nel nostro immaginario esattamente da parole di Gesù trasmesse dall’evangelista Giovanni, il quale la inserisce in un discorso del Maestro che troviamo al capitolo 10: ciò significa che quel testo è decisivo per comprenderla in tutto il suo significato e soprattutto legarla alla volontà di Gesù stesso. Però, se non si conosce quel discorso, quel significato è destinato a perdersi e ciò che verrà trattenuto in noi rischierà di coincidere più col nostro personale immaginario che con il pensiero inteso dal Signore.

In particolare, mi son reso conto che in quel testo di Giovanni era contenuto pure un passaggio che dice come lo stesso gregge guidato dal pastore, gregge che è formato dai seguaci di Gesù e che quindi coincide con la Chiesa, è destinato a sua volta a divenire pastore! Ecco la citazione: «ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore». Non solo il gregge è curato e radunato dal pastore: QUESTO GREGGE, che fuori di metafora è la Chiesa, cioè tutto l’insieme dei battezzati, per una proprietà transitiva viene investito del ruolo di pastore! Da questo deriva che godere delle cure del pastore –la parte comoda!! – porta poi a doverne condividere la fatica e il ruolo: e non è questione riservata solo ai preti. Capite? Se mi fermo a pensare che il pastore è Dio, mi limito a stare nella mia comodità e passività; se mi rendo conto del passaggio ulteriore, la mia vita viene investita di una dinamica di responsabilità e di valore senza paragone!

Conoscere: senza conoscenza, non c’è coscienza e quindi non c’è un vivere davvero centrato sul suo scopo. La conoscenza è impegnativa, certamente. Non è detto che la conoscenza sia acquisibile solo attraverso i libri: ma certamente deve prevedere la pazienza e lo stare di fronte a qualcosa che sia novità, alterità da noi. Esige di fermarsi, esige di dare la precedenza all’ascolto più che al fare. Fare costruisce, ma un fare senza conoscenza e coscienza porta lontano da un vivere dignitoso. Quanto tutto ciò mi sembra vero per l’oggi.

Due quindi i pensieri: amare il conoscere e, cristianamente, sentire che l’amore di Dio prevede la proprietà transitiva del vivere il suo ruolo nel mondo.

Don Alberto

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