25/10/11

L'umanità non è una semplice questione di geni


Come dobbiamo comportarci di fronte al progresso della scienza? L'UE,  da poco, ha dato la sua risposta definitiva con una sentenza epocale che semplicemente, promuove l'essere umano nella sua totale integrità. Non i suoi singoli geni. Sembrerebbe una scelta  controcorrente o fuori dal coro, eppure la Corte europea di Lussemburgo con la decisione sulla causa Brustle- Greanpeace, ha voluto scardinare quella parte della cultura moderna che non intende rispettare la vita umana più  fragile ovvero la vita non ritenuta degna di essere difesa, sempre e comunque.
Dopo anni di silenzio, finalmente in Europa la tutela della vita  viene sancita proprio sul banco degli imputati, dove ancora una volta nella storia del diritto, si discute se e da quale momento in poi, la vita umana sia meritevole di considerazione. Ma il segnale del cambiamento non proviene dallo slogan secondo il quale la vita a volte giustifica la morte ma da un'altra filosofia che vede iniziare l'esistenza di ogni essere umano, sin dal suo concepimento. Dunque secondo la Corte europea,  non importa come si sia giunti alla procreazione della vita, naturalmente o artificialmente; quello che conta infatti, è il rispetto della dignità dell'esistenza umana in sé per sé considerata, malgrado le esigenze di sviluppo della ricerca scientifica; perchè sin dalla fusione dei due pronuclei maschile e femminile, ogni giorno nel mondo può nascere un nuovo uomo. Questa - a parere della Corte - è l'unica, prima, vera sfida che ogni civiltà di qualunque parte del mondo, deve affrontare senza nessuna titubanza e soprattutto senza soggiacere ad alcuna pressione di potere, proveniente da questa o quella lobby economica.  Queste basilari considerazioni, hanno fugato tutte le ragioni economiche eccepite della parte ricorrente che non sono valse a nulla  per evitare il diniego di brevettabilità delle cellule staminali embrionali.
 La sentenza allora riporta le cose al senso di giustizia e restituendo piena dignità al concepito, lo trae al di fuori del regno delle cose che non appartengono a nessuno come le res nullius. Di certo è stata determinante la difesa dell'avv. Bot, chiamato a contestare la pretesa del sig. Brustle, il titolare  di un brevetto tedesco, relativo a cellule progenitrici neurali che avrebbero dovuto essere prodotte partendo da cellule staminali embrionali.
La questione, stando all’interpretazione fornita dall’avv. Bot, non poteva essere decisa positivamente dalla Corte per una serie di ragioni che coinvolgono un preciso contesto normativo di diritto internazionale, e dell’Unione europea.
Sotto il primo profilo, è giusto ricordare alcuni importanti documenti internazionali passati che in più occasioni, hanno tentato di integrare i testi di varie dichiarazioni, con affermazioni dirette a riconoscere giuridicamente la dignità del concepito. Citiamo ad esempio la Dichiarazione di Ginevra adottata dalla World Medical Associaton contenenti le seguenti parole: Rispetterò la vita umana a partire dal concepimento; la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959 che rappresentò un vero e proprio argine di difesa a favore dei minori in considerazione della loro particolare debolezza; il Patto Internazionale sui diritti civili e politici del 1966 che ai sensi degli art. 6 e art. 16, affermò il diritto alla vita, inerente alla persona umana; successivamente nel 1969, la Convenzione americana sui diritti dell’uomo di San Josè di Costarica, all’art.4 affermò: Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita. Tale diritto deve essere protetto dalla legge sin dal momento del concepimento. E ancora citiamo altri due testi. In primo luogo, la raccomandazione del Consiglio d’Europa, n.1046 del 1986, Assemblée Parlamentare du Conseil de L’Europe, Recommandation 1046 (1986) relative all’utilization des’embryons et foetus humains à des fins diagnostique, thérapeutiques, scientifiques, industrielles et commerciales, dove nel testo si auspica un “bilanciamento tra il principio della libertà di ricerca e il rispetto della vita umana e altri aspetti dei diritti umani”; poiché preso atto del potere manipolatorio sulla vita umana nascente da parte delle nuove tecnologie, si ritenne  necessaria la definizione di uno status biologico dell’embrione per la sua protezione. In secondo luogo, la Dichiarazione universale sul genoma e i diritti umani del 1997. Ma tornando ad oggi, la Corte di Lussemburgo per decidere la causa contro Burstle, ha inoltre valutato da una parte “l’Accordo di Trips, sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio” che costituisce l’allegato 1 C dell’Accordo e che a sua volta istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994. In esso l’art.27 al punto primo, definisce che oggetto del brevetto possono essere le invenzioni, di prodotto o di procedimento, in tutti i campi della tecnologia che siano nuove e che implichino un’attività inventiva e che siano atte ad avere un’applicazione industriale; al punto secondo l’articolo, entra nel vivo della questione, affermando che i membri possono escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio deve essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere  la vita o la salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali….purchè l’esclusione sia non dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalle loro legislazioni. (…). E dall’altra invece, prende in considerazione la Convenzione sulla concessione dei brevetti europei CBE, firmata a Monaco il 5 ottobre 1973; quest’ultima all’art. 53, lettera a) afferma che non vengono concessi brevetti europei per quelle invenzioni il cui obiettivo commerciale, contrasta con l’ordine pubblico e il buon costume. Non  diversamente si atteggia la normativa comunitaria che assume rilievo, con la direttiva  n. 98/44 avente lo scopo di regolamentare e sostenere la ricerca biotecnologica, nel campo assolutamente centrale della ingegneria genetica. Vediamo di capire da vicino di cosa si tratta.  L’obiettivo primario della direttiva è stato quello di abbattere  le incertezze sulla brevettabilità della materia vivente, ricorrendo al principio ispiratore  della c.d. “armonizzazione”, appositamente invocato per armonizzare le differenti istanze bioetiche, provenienti dai veri paesi  membri della comunità.   Pertanto essa ha compiuto una attenta valutazione della biotecnologia in generale, rispettando determinati principi etici fondamentali sulla base dei quali all’art.5, n.1 afferma (il) corpo umano, ai vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, (…), non possono costituire invenzioni brevettabili. Mentre -  continua all’art. 5, n. 2 – un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto mediante un procedimento tecnico può essere oggetto di invenzione, anche se preesisteva allo stato naturale. Ma vi è di più, ai considerando 38 e 39, si esclude ogni procedimento di modificazione dell’identità genetica germinale e di clonazione dell’essere umano. Ma allora, ai fini della questione trattata in questa sede, il punto qual’è? Valutando che la vita umana appena concepita, non è riducibile alla materia vivente tout court, ci accorgiamo che la direttiva seppur lodevole,  presenta tutt’oggi un grave vulnus che non consente di definire  chiaramente in termini scientifici, il momento a partire dal quale la vita umana concepita, debba essere qualificata a tutti gli effetti un embrione. Esattamente, l’avvocato Bot  spiega che notoriamente la biotecnologia si è sempre occupata della materia vivente ma questa, ad avviso della Corte, è allo stesso tempo un essere umano! E la circostanza non equivale ad un piccolo dettaglio, poiché la questione sollevata dalla direttiva 98/44 non è la soggettività giuridica della vita umana; quanto la mera definizione del corpo, descritto nei vari stadi di avanzamento biologico, ritenuto meritevole di protezione e dunque non brevettabile.
Ma oggi questa conclusione, alla Corte non è sembrata sufficiente e infatti l’ha superata facendo le seguenti considerazioni. Pur se la tecnologia è progredita in modo esponenziale, tuttavia non è ancora riuscita a spiegarci con precisione, quando per la prima volta, quel corpo in evoluzione è allo stesso tempo una persona. Però dall’altra parte, è indiscutibile che sullo status umano dell’embrione, sappiamo tre cose certe: si distingue dalla madre e dal padre; ha una conformazione genetica propria del genere umano; è un organismo “immaturo” ma sufficientemente completo da svilupparsi in modo continuo, fino alla sua maturità. Oltre al fatto che ciascuna cellula “totipotente” è il primo stadio del corpo che diventerà, a causa della sua capacità intrinseca.  A ciò si aggiunge l’art. 8, n.1 della legge tedesca che equipara l’embrione, all’ovulo umano fecondato, capace di svilupparsi autonomamente in un nuovo individuo, dal momento della fusione dei due pronuclei maschile e femminile. Ergo, vengono escluse dalla suddetta considerazione tutte le cellule pluripotenti, potenzialmente finalizzate in un qualsiasi tipo cellulare. Pertanto  - afferma Bot nelle sue conclusioni – le cellule totipotenti (…) devono essere giuridicamente qualificate come embrioni  a prescindere dalla loro capacità o meno di annidarsi, essendo questa una questione priva di pertinenza. Dunque, in base alle ragioni sinora esposte, nell’arco dello sviluppo morfologico del feto, possono di fatto esistere momenti di maggiore e minore importanza? Se vogliamo rimanere fedeli all’evidenza biologica che conferma la sua natura umana, dobbiamo per coerenza rispondere di no. Tuttavia la stessa chiarezza sistematica, è estranea al nostro ordinamento che sinora non è riuscito ad inquadrare l’embrione in nessuna categoria giuridica particolare.
Eppure questa sentenza apre nuovi scenari ai confini della vita umana ad oggi conosciuta, soprattutto in seguito alle ricerche e alla mappazione del DNA. E forse occorrerebbe addirittura ridefinire la stessa Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, firmata nel 1948. Per due motivi. Anzitutto in ossequio ad un vero senso di responsabilità verso le generazioni future, sarebbe auspicabile promuovere un rinnovato diritto laico, autenticamente votato alla difesa sia dei diritti umani e sia della persona umana, la quale – non dimentichiamolo – è il valore cardine dell’intero ordinamento giuridico. Secondariamente non possiamo allora trascurare per la salvezza dell’embrione, l’apporto decisivo dei diritti fondamentali, da sempre strategici nel garantire all’umanità, quello status che lo sottrae alla manipolatività e alla uccisione.
Il tema dei diritti inviolabili, alla dignità, alla vita, alla salute e integrità fisica, pone automaticamente alla ricerca, determinati limiti; poiché il rispetto per lo statuto dell’uomo è anche il limite invalicabile alla sovranità medica e biotecnologica.
Possiamo anche aggiungere che la dignità e il suo senso, deve orientarci per comprendere che essere degni di si contrappone al concetto di res. Infatti soltanto le cose sono prive di dignità e quindi potenziali oggetti di proprietà. L’idea del dominio è opposto all’idea della dignità, almeno così comè configurata negli ordinamenti democratici di tutto il mondo.
In conclusione, il medesimo significato antropologico del diritto, racchiuso nei principi fondamentali, ci aiuta a risolvere la questione del dominio sull’uomo e a concludere in seconda battuta che anche le parti del corpo umano devono essere oggetto di una valutazione valoriale; il che esclude perentoriamente che esse possano essere ridotte, a oggetto di proprietà al pari di una res.

Dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. Roma




0 commenti:

Posta un commento