La Grande Camera della Corte di Strasburgo ha confermato, il favore dei giudici europei per i diritti dell'uomo, facendo pendere per la seconda volta l'ago della bilancia a favore dei più piccoli e indifesi: quelli che non hanno voce. Questo vulnus però non ha impedito alla Corte europea, di rendere un alta testimonianza di civiltà laica ai concepiti, portandoli ad essere i veri protagonisti del nuovo millennio. Almeno nel nostro caro, vecchio continente.
Il caso S. H. e Altri c. Austria, porta alla ribalta delle cronache la storia di due coppie di Bregen che hanno portato alla sbarra il governo austriaco, ritenuto colpevole di avere violato l'art.8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nel quale è specificamente tutelato "il diritto al rispetto della vita privata e familiare". La questione di per sè molto problematica, ha origine nel divieto della fecondazione eterologa che per procreare una nuova vita, deve necessariamente utilizzare gameti estranei alla coppia. Stando al parere della Corte, si tratta di una pratica che autorizzerebbe una inevitabile dissociazione all'interno della paternità e della maternità; con ciò ponendo delle fittizzie distinzioni verbali - biologico-sociale-legale che smantellerebbero lo stesso istituto della filiazione, così come lo ritroviamo negli ordinamenti comuni di diritto positivo.
Ora, con questa decisione, la Corte non entra nel merito della vicenda personale delle coppie interessate ma pone l'alt alla genitorialità non biologica, cercando di bilanciare i differenti interessi in gioco, di ordine culturale, etico, storico, giuridico e sociale con i fondamentali principi di ordine pubblico. Esattamente perchè - affermano i giudici - la legge austriaca "riflette lo stato corrente (dell'epoca) della medicina e del consenso sociale..". Certo a prima vista, impedire per legge la genitorialità a chi non è in grado di raggiungerla naturalmente, sembrerebbe un gesto di illecita interferenza da parte delle istituzioni. Infatti per la stessa ragione, sempre l'Austria nel 2010, era stata condannata con sentenza da una delle due camere della stessa Corte per avere violato indirettamente, il diritto "naturale" alla fecondazione in vitro. Con la motivazione che l'art.8 della CEDU includesse, nell'ambito del diritto al rispetto della vita privata e familiare, anche il ricorso alla procreazione medicalmente assistita per chi volesse diventare genitore; se leggiamo l'articolo, esso recita"...non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine....alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti o delle libertà altrui".
Tuttavia in seguito ad una più attenta riflessione, il medesimo collegio ad un anno di distanza è tornato indietro sui suoi passi, rimanendo sulla stessa linea dell'Italia dove sappiamo vige dal 2004 la L.40, votata trasversalmente a maggioranza per garantire a tutti i soggetti "compreso il concepito" i medesimi diritti di tutela alla vita, all'integrità fisica e quindi alla dignità.
Ci chiediamo: può il desiderio di una coppia spingersi al di là del bene e del male dei propri figli anche futuri? Mettendo a repentaglio la certezza dell'identità genitoriale? Dove va a finire il diritto delle generazioni future alla propria identità biologica? Devono nascere persone che avranno un valore minore rispetto alle altre? E se così fosse, in nome di che cosa? A parere di chi scrive, occorrerebbe anzitutto fare appello al principio di precauzione che ci obbliga a non sottovalutare i primari interessi delle generazioni future; come si evince ad esempio dalla Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future dove appunto si parla in termini di doveri verso chi verrà dopo di noi.
Questa considerazione ci porta ad affermare inoltre che la manipolazione del non nato nel mero interesse dei vivi, è un atto in sè biasimevole che lo priverebbe della nostra compassione. Forse il problema è quello di non giocare alla lotteria con chi non ci ha chiesto di venire al mondo senza una propria identità genetica. Perchè nel nome di un padre, tutti hanno il diritto di conoscere le origini del proprio dna. Per non sentirsi "figli a metà" afferma perentoriamente e con rabbia Joanna Rose, una trentenne nata a Londra grazie al seme di un donatore, la quale nel 2002 fece causa alla HFEA ovvero alla massima autorità bioetica inglese per la fecondazione assistita che regola e controlla tutti i centri per la fertilità in Inghilterra. Va detto in proposito che quest'ultima non ha nascosto pesanti dubbi sui "fallimenti nei controlli sulla sicurezza delle nuove tecnologie" che addirittura "possono essere catastrofici e creare angosce non dette e vite danneggiate per sempre": come l'angoscia di Joanna che ha rivendicato con forza la speranza di incontrare fra molti visi anonimi, quello familiare del padre o di una sorella.
dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
U.C.S.C. Roma
dott.ssa Silvia Bosio
Dottore di Ricerca in Bioetica
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