30/05/12

Grazie Di Ba, il Torquemada del calcio


Non c'era il Fantacalcio, non c'era l'uomo partita Sky, ma c'erano le figurine Panini, c'era 90' Minuto e sopratutto c'era lui, "Ago", il grande umile capitano, di quelli che hanno fatto scuola di vita e di attaccamento alla maglia, di lavoro duro, metodico, silenzioso e ragionato. A metà tra il bianco e nero ed il colore, all'Olimpico cantavamo tutti in coro "O Agostino, o Ago, Ago, Agostino Gol".  Si giocava a "palletta" in casa, a scuola e si faceva a gara nel chiamarsi Agostino Di Bartolomei, Magica Roma, numero 10.
Nato e vissuto nella Roma, come noi, come i suoi modelli Losi, Lojacono, Angelillo, Cudicini. Cresce in borgata a Tor Marancia, esordio il 22 aprile 1973 a 18 anni a San Siro contro l'Inter, 306 gare, 66 gol, uno scudetto, tre Coppe Italia. Per moli poco, per noi tanto.

E' stato scritto: "Il Torquemada del calcio. Le sue punizioni sono altrettante condanne al rogo per le mani del portiere. Ha un tiro che non perdona; un vero anatema!" Era proprio cosí, parola mia. L'allenatore Nils Liedholm lo posizionava davanti alla difesa, come un baluardo a centrocampo. Nella sua avventura romana ha ricevuto solo un'espulsione, la piú dolce, mai cosí gradita, dopo aver segnato il gol della vittoria contro la nemica di sempre la ... Giuve! Nel 1984, con l'arrivo di Sven Goran Eriksson sulla panchina, venne ceduto. Giocò la sua ultima partita in maglia giallorossa nella finale di Coppa Italia vinta contro il Verona. I tifosi gli dedicarono uno striscione: «Ti hanno tolto la Roma ma non la tua curva» Poi Milan, Cesena, Salenitana. E dopo una vita dedicata al calcio, fondo e allenò la scuola calcio che portava il suo nome a Castellabate, il paese di origine della compagna, nel quale risiedeva stabilmente.

Rimanemmo tutti di sasso alla notizia della sua morte. Suicida, la mattina del 30 maggio 1994 a San Marco (frazione di Castellabate), dove viveva, sparandosi nel petto con la sua pistola Smith & Wesson calibro 38. Erano trascorsi dieci anni esatti dalla finale di Coppa dei Campioni 1983-1984 persa dalla Roma contro il Liverpool. Una sconfitta, un dramma che tutti ricordiamo ma che non é nulla in confronto alla perdita del grande Di Ba, di Ago. I motivi del suicidio (si parlò di alcuni investimenti andati male e di un prestito che gli era stato appena rifiutato) divennero abbastanza chiari quando fu trovato un biglietto in cui il calciatore spiegava il suo gesto, da ricollegarsi probabilmente alle porte chiuse che il calcio serrava di fronte a lui: «mi sento chiuso in un buco», scrisse. Credo che il suo ricordo, oggi giorno dell'anniversario della sua morte, debba essere un monito importante in questo grave momento del calcio italiano, in balia di scommesse, malaffare, cattivi esempi che rischiano di far morire l'affetto e la passione per il mondo del pallone.

Riportare la gioia semplice di giocare a pallone, rianimare la passione nelle scuole calcio, umanizzare il gioco piú bello del mondo é un imperativo categorico per chi vuole veramente bene ai nostri giovani ed al nostro Paese.  Rilanciare i campi da gioco come luoghi non di competizione esasperata o di emulazione di campioni coperti di soldi e sponsor ma piuttosto farne luogo di creazione di amicizie, di legami forti, di altruismo, di amore per le regole, per una maglia, per un sogno, forse come quello che Agostino provó, giocare una finale di Champions League, di vincerla o di perderla. Non avere paura di tirare un calcio di rigore, sbagliarlo magari, non importa, l'importante é esserci stato in questo mondo e rimanere vivo nel ricordo di tanti, tantissimi e continuare a vivere come oggi Ago vive in ognuno di noi. Grazie Di Ba! 
Paolo Voltaggio

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