Avevo 7 anni e solo allora cominciavo a comprendere la magia del calcio e la passione per una squadra. Eravamo alle soglie dei mondiali statunitensi, una novità per un calcio che sino ad allora aveva acceso i propri riflettori internazionali solamente in zone dove il football era vitale. Segno di un cambiamento inesorabile che da li a poco avrebbe snaturato ed ucciso questo sport. Probabilmente non sapevo ancora chi fosse Agostino. Me lo fece conoscere mio padre attraverso le sue videocassette dello scudetto 82/83. Quel ragazzo di Tor Marancia mi fece subito uno strano effetto. Indossava la maglia con i colori che vedevo ovunque in giro per la città. Issati su palazzi, su scuole e biblioteche. Ricordo, e sempre con un brivido sulla pelle, l'immagine del suo gol all'Avellino (la giornata in cui per una manciata di minuti la Roma fu Campione d'Italia) su punizione, la sua corsa conclusa in ginocchio coi pugni protesi al cielo. Nel bel mezzo di un cattedrale che osannava Ago ed i suoi compagni. Io ti ricordo così mio capitano. Mio, anche se non ti ho mai visto calcare i campi. Mio perchè per me resterai sempre il calcio. Resterai sempre quella parte di Roma e della Roma che ancora fa innamorare e sognare bambini e qualche adulto. Gli stessi che quest'oggi, di nascosto, versano una lacrima per te.
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