Il caso dei due marines italiani in carcere in Kerala e dell'uccisione di due pescatori indiani nell'incidente con la petroliera italiana "Enrica Lexie", "è stato viziato da troppi errori, di tutti gli attori in campo". "A questo punto l'unica strada è lasciare che il governo italiano e quello indiano si confrontino in tribunale, e che la controversia sia risolta legalmente. La questione cruciale è quella dei confini marittimi e del diritto internazionale": è quanto dice all'Agenzia Fides John Dayal, intellettuale cristiano, attivista per i diritti umani. Secondo Dayal, Segretario Generale dell'organizzazione ecumenica "All Indian Christian Council", "tutti i protagonisti, il governo italiano, gli armatori, il governo indiano e la Chiesa indiana hanno contribuito a intricare la matassa". "Gli armatori - spiega Dayal - avrebbero dovuto immediatamente scusarsi, stanziare una legittima compensazione e poi lasciare la questione al governo italiano. I! l governo italiano avrebbe dovuto istruire un processo per i due marines, senza discutere di cavilli con il governo indiano. Per quanto riguarda gli indiani, i sentimenti nazionalisti che accecano la popolazione non hanno alcuna logica e non vogliono sentire ragioni: si vogliono soltanto punire i marines". Il caso, dunque, secondo l'attivista, risulta inquinato e sempre più complicato, tanto che "ora resta solo la via giudiziaria".
Intanto il Ministro federale della difesa, A.K. Antony, e il Ministro degli Esteri S.M. Krishna hanno ribadito che "i due marines saranno giudicati secondo la legge indiana". Il Primo Ministro dello stato del Kerala, Oommen Chandy, alla vigilia del voto del 17 marzo, in cui sarò assegnato un seggio nel Parlamento del Kerala, ha affermato che "i tribunali sostengono la posizione dello stato del Kerala, sul diritto di processare i due militari sul suolo indiano". Secondo gli osservatori, i due, se ritenuti colpevoli, rischiano anche una condanna a morte. (PA) (Agenzia Fides 15/3/2012)
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