Da questo sistema di carrozze che giravano per mezza Europa, iniziò una delle prime esperienze di trasporto pubblico, tanto che il nome di Taxi deriva ancor oggi da quello della famiglia emigrata dalla Lombardia. La realtà è che più che ad un moderno taxi quei trasporti assomigliavano più a piccoli bus, colmi di gente e masserizie.
In Europa svariati passi sono stati compiuti da quei giorni. In moltissime metropoli veloci e capillari linee di metropolitana suppliscono alle esigenze di numeri ingenti di cittadini che necessitano di spostarsi da un punto all’altro dell’abitato. Ad integrare il servizio vi sono i mezzi di superficie, integrati dai taxi e dai più svariati sistemi di trasporto condiviso: bici, macchine in condivisione, traghetti fluviali, risciò e quei curiosi trabiccoli che per qualche strana stregoneria stanno in equilibrio su due ruote. A Francoforte, città di 800 mila abitanti, mi colpì il fatto che le auto erano davvero pochissime. D’altra parte vi erano 7 linee di metro più altre ferrovie di superficie, bus e chissà che altro: tutto ciò rendeva davvero stupido usare la macchina per spostarsi. Male non se la cavano neppure Parigi, Madrid, Berlino, Londra, Milano e molte altre città che devono, tuttavia, continuare, come la Palermo del film di Benigni, a combattere contro il problema del traffico.
Roma rappresenta, in tutto questo, un’infelice eccezione. E non credo di usare la spocchia del leghista in vacanza nell’asserirlo. I mezzi pubblici romani sono sporchi, lenti, vecchi e inadeguati. Certamente non bisogna essere azzardati: tra questi e quelli della famiglia Taxis esistono notevoli differenze. Nelle carrozze, ad esempio, difficilmente si rimaneva in piedi e solitamente si arrivava in orario. Sui bus dell’Atac no. E, purtuttavia, la Taxis non dava certo lavoro, come invece fa l’Atac, a 12.600 dipendenti, tra cui le 854 new entries di ultimo (taluni aggiungono clientelare) arrivo, contribuendo al benessere sociale nella città eterna.
Qualcuno penserà che io abbia il dente avvelenato. Niente di più vero: una settimana fa mi si è rotto il motorino ed ho ripreso, dopo qualche tempo in cui lo facevo solo occasionalmente, i mezzi pubblici, e specie i bus, con sistematicità. Alcuni tra i più ingenui penseranno che i mezzi di superficie del Comune di Roma funzionino come un meccanismo ad orologeria, data la mancanza di metropolitane. Per carità, ad arrivare arrivano. Solitamente sono 2 o 3 in rapida successione, lasciando buchi di qualche decina di minuti a coloro che lo perdono al volo. Ma arrivano, non si può dire di no. Proprio a questo proposito resterà sempre per me un mistero della fede il reale motivo per cui, nonostante sia arcinoto che questa è pratica diffusa, non si ponga in essere alcun tipo di rimedio. Mentre io aspetto alla fermata, penso a soluzioni molto in voga nel medioevo come ruote, fruste ed altri sistemi di tortura, ma potrebbe benissimo andar bene una richiesta di spiegazioni, dato che anche io stesso con il mio telefono riesco a seguire le allegre processioni di questi gruppi organizzati di autisti in libera uscita.
Certo, forse questa è la minore delle lamentele. Non provo neppure a dire che i bus non rispettano gli orari indicati, né i tempi di attesa. Passerò a descrivere la conseguenza più diretta di tutto questo: la calca. Tranne che per le linee più sfigate, che per unire due punti tra cui esiste una connessione diretta costringono a lunghe e panoramiche circumnavigazioni, molti bus, in una discreta parte delle ore della giornata, sono più colmi dell’Olimpico durante il derby. In questa situazione si è spesso costretti ad assumere pose plastiche, cercando in ogni modo di evitare che la ragazza spalmata addosso a te come burro sul pane pensi che tu sia un maniaco sessuale se ti muovi per tirar fuori dalla tasca il cellulare quando squilla. O che la signora che ti preme la borsa su una costola fino alla frattura non decida che tu sia un ladro, dato che eserciti pressione sull’oggetto in questione. Per non parlare del profluvio di aromi che alcuni hanno la bontà di farti gustare, a pochi centimetri di distanza, quando non curano in modo perfetto l’igiene personale.
Se si pensa tuttavia che questo sia l’unico disagio in cui sia possibile incappare a bordo, ci si sbaglia di grosso. Questa situazione è oltremodo aggravata d’estate, quando l’autista, per sentirsi a suo agio, decide di regolare il condizionatore su una temperatura “freddo glaciazione” o “caldo inferno nella stagione estiva”. La risposta all’implorazione di non voler aggravare la broncopolmonite attualmente in atto che continui a trascinarti dall’inverno precedente è la medesima: “non possiamo regolare la temperatura”.
Alcuni suggeriranno che si potrebbe implementare il servizio se tutti lo pagassero. Eppure mi sembra impossibile che nessuno abbia mai avuto la geniale idea che, se si aumentasse il numero dei controllori, forse vi sarebbe una aumento direttamente proporzionale dei pagamenti delle corse. Intendiamoci: a me va benissimo anche così. Anch’io qualche volta, in ritardo della mia solita mezzora, mi accorgo di essere senza biglietto. In quei casi la macchinetta erogatrice a bordo sicuramente non c’è o non funziona e mi trovo nell’unico luogo di Roma in cui occorre marciare per 1 km in salita per trovare un rivenditore di biglietti. O, peggio, in un orario in cui non troverò neppure un bar/edicola/tabacchi aperto. Se non trovo mai, tuttavia, un controllore nell’arco di più di 6 mesi, mi viene da pensare che, a conti fatti, convenga pagare 50 euro di multa in misura ridotta piuttosto che svariati abbonamenti mensili da 30 euro cadauno.
Insomma, comincerete a capire il motivo per cui, quando a Novembre l’amministratore delegato di Atac Carlo Tosi scrisse ai dipendenti annunciando che l’azienda era ad un passo dal fallimento, non mi stracciai le vesti. Certo, solidarietà ai lavoratori, ma, se si fosse ripartiti da capo, forse così male non avrebbe fatto.
Mi riservo di continuare la prossima settimana con questo piccolo sfogo, anche perchè non credo che il mio motorino sarà già pronto… nel frattempo, checchè ne dicano alcuni, ricordate: Atac significa semplicemente “arrivano tardi, arrivano colmi”. Perciò lasciate ogni sperava voi ch’entrare
Marcello Spirandelli
Marcello Spirandelli
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