Fu qualche mese prima che Berlusconi cadesse - non
il berlusconismo, quello grazie a Dio è ancora in piedi vivo e vegeto - che
molti iniziarono a chiedersi chi, dopo quell'imprenditore tanto bravo quanto
carismatico, avesse preso il suo posto, continuando le sue storiche battaglie
per migliorare l'Italia. La scelta del
partito, o quanto meno di gran parte di esso, ricadde su Angelino Alfano,
giovane delfino di Berlusconi molto promettente e dalle ìdee chiare. Il sigillo
di quell'investitura fu la nomina a segretario politico di quello che era
ancora il primo partito italiano.
Da quel dì sono passati molti mesi, è cambiato un
Governo e, soprattutto, è mutato il quadro politico oltre che quello sociale
di un'Italia che se prima arrivava con fatica alla terza settimana, ora arriva
a stento alla seconda. In questo contesto a dir poco catastrofico, però, il
bravo Angelino non è riuscito a fare quello che tutti si aspettavano, restando
prigioniero delle correnti che ancor prima della sua nomina avevano dilaniato
il Pdl e non riuscendo, dunque, a dare al partito quella scossa che serviva per
rilanciare un'immagine ormai vittima degli scandali sessuali che avevano
accompagnato gli ultimi due anni del Berlusconi quater. Molto bene, si potrebbe
obiettare che sotto la guida Alfano il partito ha intrapreso un processo di
democratizzazione che serviva per uscire dall'era del leader carismatico padre
e padrone. E si potrebbero anche ricordare i numerosi congressi svoltisi in
tutta Italia e le primarie per la scelta dei candidati sindaci di alcune città
che si apprestano a rinnovare le amministrazioni comunali. Magnifico, ma questo
non basta, non e' bastato - lampante prova sono i sondaggi che vedono il Pdl in
caduta libera - e non basterà. Perché il Pdl, come tutti gli altri partiti,
potrà fare mille primarie e due mila congressi, potrà riunire cento volte
l'ufficio di presidenza e discutere per ore la giusta linea da seguire. Ma fino
a che non tornerà tra la gente a sentire quali sono i veri bisogni, a toccare
con mano la realtà di chi ormai fatica a mettere in tavola un piatto di
minestra ogni giorno, tutto sarà vano. E' forse questa la chiave di volta
dell'era Alfano? E' forse questo che il segretario del Pdl e i colonnelli del
partito non hanno capito? Senza dubbio e' così. Ecco perché diventa inevitabile
chiedersi se non era meglio quando si stava peggio, se il partito era più coeso
e razionale quando Berlusconi era a capo del Governo e del partito. Ci sono
molte probabilità che la risposta a questi due quesiti sia positiva, così come
ci sono buone speranze che Berlusconi abbandoni il ruolo di regista, che non
gli calza così a pennello, e torni a fare il protagonista della nuova stagione
politica. E' molto difficile che il partito, spinto dalla errata convizione che
questo rappresenti un passo indietro, possa accettare questa eventualità. Ma
non è così. Anzi, sarebbe un grande passo avanti, perché un ritorno di
Berlusconi sarebbe qualcosa di molto simile alla vendetta del Conte di
Montecristo. Almeno si farebbe un po' di pulizia in un partito dove le idee
sono ormai ai margini, confinate dai giochi di potere indegni di chi ha
contribuito a ridurre la politica in fin di vita.
Eugenio Cipolla
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