Il terremoto dell'Emilia è il mio terremoto. Sono nato a Ferrara, ma sono della provincia di Rovigo, di un piccolo paese chiamato Trecenta, che riposa a pochi chilometri dal Po. È per questa ragione che la tragedia che ha colpito il Nordest in queste ore non poteva scuotere anche la mia anima.
È vero, io ero molto distante dal mio Veneto quando tutto è successo e, se dovessi ricordare una scossa sismica che ho vissuto più da vicino dovrei senza dubbio ritornare a quella de L'Aquila. Ma i paesi sventrati da questo moto inconsulto della terra sono quelli della mia infanzia. I mattoni rossi dell'Emilia, le strade di Ferrara, le Chiese affogate nella campagna hanno ricordi che sono intessuti inesorabilmente con le cellule che compongono il mio corpo, sono il mio tessuto connettivo di cui sono imbevuti i miei pensieri, sono i miei ricordi.
Vedere il Castello Estense lesionato mi fa venire in mente i gelati che prendevo da piccino al Duca d'Este con la mia famiglia. La Chiesa di Ficarolo circondata dai vigili del fuoco mi ricorda l'Eridania con i suoi autovelox e quel campanile che sembrava pendere troppo. A Bondeno ci ho lavorato, in uno zuccherificio, respirando l'odore di barbabietola, in uno stabilimento che lavorava in stretto contatto con quello di Finale Emilia. A San Felice sul Panaro ho amici da molti anni.
Vedere le immagini per televisione ridesta molto più rispetto alle solite tragedie quotidiane che vengono lavate via da qualche minuto di compassione. È osservare lo snaturamento di una realtà perfetta, di un paesaggio onirico, che diviene incompleto, sventrato paradossale. La torre dell'orologio di Finale spaccata a metà non è solo il crollo di un edificio. È la fine di un'epoca.
Molti penseranno che mi stia riferendo a qualcosa di strettamente personale, ma temo che si tratti di qualcosa di collettivo, il segno di una frattura. Nessuno potrà capire la bellezza che io vedevo nei paesaggi della mia infanzia, nella sua campagna rigogliosa, nelle sue piatte prospettive. Ma tutti comprenderanno che questo terremoto si abbatte su un'Italia produttiva ma stremata come un colpo di grazia. Territori che avevano vissuto di benessere e di sogni, ammantati dal rosso della Ferrari e dei mattoni cotti dal sole, sono oggi interrotti a metà, privati di tutti quegli elementi che sapevano renderli poetici e belli. Si chiude la visione dell'Italia post agricola e anche questa terra perde la sua sognante innocenza. Cosa seguirà? Sta a noi deciderlo.
Ogni crisi, ogni frattura non è altro che un cambiamento. Dobbiamo solo ritrovare la fiducia e la speranza per credere che il futuro può essere ancora migliore. Questo è il nostro terremoto. Lasciamo la terra sfogarsi. Da domani è già tempo di ricostruire
trovo profondo e toccante questo tuo ricordo, potrei chiamarti e dirti queste cose per telefono ma voglio scrivertele, perchè questi episodi drammatici toccano un po tutti quanti, e cosi sento la necessità di condividere con tutti l'abbraccio ideale che adesso mando a te. questo fine settimana è stato particolarmente duro con il nostro Paese, ed oggi il pensiero deve essere rivolto a tutte le persone colpite da eventi cosi disastrosi.
RispondiEliminaEnzo... grazie. Come al solito sei gentilissimo. Mi unico al tuo pensiero.
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