di Andrea Menegotto
1° agosto 2011
La difficoltà nel comprendere un fenomeno complesso quale quello del New Age è del tutto giustificata. Non a caso, con un pizzico di civetteria, i portavoce del New Age affermano o, meglio – come diremo – affermavano, che la realtà che essi proclamano e diffondono è talmente originale e innovativa che non può essere definita in alcun modo. In verità, gli studiosi hanno ormai raggiunto un consenso su una descrizione che permette di aprire sul New Age quattro finestre che, complessivamente, danno un quadro piuttosto completo e preciso del fenomeno.
Dal punto di vista psicologico il New Age è uno stato d’animo: è la sensazione di essere alla vigilia o di essere già entrati in una “Età dell’Oro” in cui tutto cambia, nella cultura, nella qualità della vita, nell’accostamento alla medicina, nella religione, nella politica, nell’arte, nella letteratura e così via.
Dal punto di vista storico il New Age è un movimento di risveglio all’interno della cultura di un mondo laico interessato a tematiche di tipo magico, occulto ed esoterico, che verso la metà del ventesimo secolo conosceva un momento di crisi e su cui l’idea di un imminente avvento dell’”Età dell’Oro” intervenne apportando nuovo vigore.
Dal punto di vista sociologico il New Age appare privo di gerarchie e strutture, non è un nuovo movimento religioso o una «setta», ma è piuttosto un network, una «rete» fluida di diversi gruppi che si ritrovano per iniziative o intorno a idee comuni, ma che possono presentare fra loro anche differenze e contraddizioni. Più precisamente, il New Age è una “rete di reti” – un metanetwork – che fa incontrare tra loro tutta una serie di network, che esistevano in qualche caso da decenni, se non da secoli, ma non comunicavano tra loro. In particolare, si possono individuare tre network principali: spiritualità alternative (fra cui dominano il channeling – forma moderna dello spiritismo –, un grande interesse per le religioni orientali, l’occultismo, l’esoterismo, l’astrologia, i dischi volanti e le credenze reincarnazioniste), terapie alternative (medicine “olistiche”) e politiche alternative (come quella dell’”ecologia profonda”, teorizzata nel 1972 dal filosofo norvegese Arne Naëss (1912-2009), secondo cui il vero avversario delle riforme ambientalistiche è l’antropocentrismo e la visione che risale alla Bibbia per cui l’uomo è qualitativamente superiore alle altre forme della natura).
Infine, dal punto di vista dottrinale, si deve notare che anche se all’interno del fenomeno coesistono, insieme a temi diffusi, idee diverse e contraddittorie, il New Age è tenuto insieme da un principio di carattere epistemologico che può essere definito «relativismo volontarista», per cui ognuno di noi può creare il suo mondo, e ogni mondo ha la sua verità. Se non esiste la verità, naturalmente non esisteranno le verità (morali, filosofiche, religiose), ma solo infinite possibilità sostanzialmente di uguale valore. Il New Age preferisce parlare di “spiritualità”, che non comporta il riferimento a dogmi o tesi precise, piuttosto che di “religione”. Tale spiritualità è di tipo sincretista e panteista: il mondo è descritto come un oceano di energia, di cui noi stessi siamo parte. In questo senso per il New Age si può dire che noi – propriamente – siamo Dio, secondo la celebre espressione dell’attrice Shirley MacLaine, una delle principali portavoce.
Per i motivi accennati si comprende perché il beato Papa Giovanni Paolo II nonché l’allora cardinale Joseph Ratzinger ─ attuale Pontefice ─, nella veste di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si siano sempre espressi in termini fortemente critici nei confronti di questo fenomeno. In effetti, del New Age si è detto molto ─ anche in Italia ─ sino a qualche anno fa, tanto che a tale realtà è stato dedicato pure un importante documento della Santa Sede, Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul New Age, a cura del Pontificio Consiglio per la Cultura e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, presentato il 3 febbraio 2003.
Tuttavia, oggi questa etichetta non è più di moda e, peraltro, di «crisi» e di «fine» del New Age si è parlato negli Stati Uniti sin dall’inizio degli anni 1990, mentre i sintomi di questa si sono fatti sentire anche nel nostro Paese fra la metà e la fine di quel decennio. Una delle cause della «fine» è la commercializzazione del fenomeno, tuttavia il motivo più profondo è quello intrinseco a tutti i millenarismi di carattere ottimista e dunque utopico: si attendeva l’Età dell’Oro, cioè un’epoca di pace, di progresso e felicità, ma questa Era non è venuta. Al contrario, invece, ci sono state guerre, miserie, scandali, malattie (Bosnia, AIDS....). Giova comunque ricordare che le novità culturali americane giungono nel Vecchio Continente con un certo ritardo, per cui un fenomeno che è alla fine negli Stati Uniti potrà essere all’apogeo in Italia e solo ai suoi inizi in Paesi come la Russia o l’Albania, che per diverse cause sono più arretrati in fatto di alcune mode e culture. Inoltre, la «fine» del New Age significa solamente la «fine» del metanetwork, mentre i singoli gruppi possono continuare ad esistere pur essendo caratterizzati probabilmente da maggiore autonomia.
[Continua con l’articolo Dal New Age al Next Age: la svolta individualista, che sarà pubblicato lunedì 8 agosto]
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