Alla presentazione del “Rapporto annuale sulla pena di morte in Iran” dell’Iran Human Rights (IHR), svoltasi oggi al Senato, si è scoperto come nel 2011 in Iran si sia registrato il più alto numero di condanne a morte. Nello scorso anno sono state 676 gli uomini, le donne ed i bambini (alcuni erano minorenni) condannati a morte e nella maggior parte dei casi giustiziati in pubblico.
"Non c'è stata alcuna svolta. Si tratta di cambiamenti di facciata che hanno lo scopo di ingannare la comunità internazionale" così Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce di IHR, commenta la notizia, diffusa nei giorni scorsi, della cancellazione delle esecuzioni di minorenni e della condanna alla lapidazione per il reato di adulterio nel nuovo codice penale in Iran. Il portavoce spiega a Frews i motivi della sua valutazione in merito alle modifiche del codice penale: "Anche se è stata cancellata la parola lapidazione dal codice penale, è sempre prevista la pena di morte per l'adulterio, ma non è specificato come si deve procedere. L'articolo 221 stabilisce che se il giudice non trova il tipo di pena da applicare nel codice penale deve fare riferimento all'articolo 167 della costituzione, il quale prevede che le pene sono stabilite dalla Sharia. E la legge islamica stabilisce che l'adulterio deve essere punito con la lapidazione. La situazione ora è peggio di prima".
Il caso di Sakineh – la donna iraniana condannata a morte per adulterio – dimostra che quanto c’è pressione dell’opinione pubblica internazionale le autorità della Repubblica islamica vengo meno nel perseguire i loro violenti intenti. In quel caso, infatti, la gogna mediatica sarebbe stato un prezzo troppo altro per un’esecuzione. Ecco dunque l’importanza dell’informazione e della mobilitazione non solo delle istituzioni, ma anche e soprattutto della società civile nell’esprimere il fermo e convinto no alla violenza di stato.
Maria Leone
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