24/04/12

La fede in Occidente: ateismo debole e Nuova Evangelizzazione


Lo scorso 18 aprile, il National Opinion Research Center dell'Università di Chicago ha pubblicato un importante studio sulle Credenze a proposito di Dio attraverso il tempo e i Paesi, riguardante i dati  sulla religiosità in trenta nazioni.
Da esso – a un primo sguardo – emerge un calo fra chi si dichiara credente; tuttavia non pare neppure che il mondo si dimentichi di Dio, infatti se la ricerca in questione sottolinea una certa crescita del numero di chi si dichiara ateo, al contempo rivela situazioni
in controtendenza. Gli stessi ricercatori propongono due letture fondamentali dei dati: la prima si concentra sul fatto che – appunto – c’è un lieve aumento di coloro che si dichiarano “non credenti”, ma questo aumento è talmente ridotto in numeri assoluti da rientrare nel margine dell’errore statistico;  il secondo aspetto rilevante riguarda invece le grandissime differenze intercorrenti  fra i diversi Paesi.

La complessità dell’interpretazione dei dati richiede tuttavia, in questo caso, un intervento di un osservatore particolarmente autorevole quale il sociologo e direttore del CESNUR Massimo Introvigne – con cui ho l’onore di collaborare –, il quale prima in un’intervista al Radiogiornale della Radio Vaticana del 20 aprile, poi in un ampio articolo su La Bussola Quotidiana il 21 aprile, nonché in uno scambio informativo con chi scrive, ha sviluppato alcune interessanti considerazioni sul punto, pertanto gli lasciamo di seguito ampiamente la parola.

«Innanzitutto, questo non è uno studio originale – dichiara Introvigne –, ma è un’elaborazione informatica di dati già noti provenienti da tre versioni dell’International Social SurveyProgramme (1991, 1998 e 2008) e riguarda solo un aspetto: le credenze. Naturalmente, i ricercatori sono consapevoli che questo è solo un indicatore. Poi c’è, per esempio, chi si reca ai riti religiosi, ed è tutto un aspetto che loro non hanno preso in esame. Il rapporto adotta categorie sue».

Dal rapporto emerge, fra l’altro, che il livello massimo di credenza in Dio – ovvero, quello che prevede un rapporto personale con Dio che interferisce nella propria vita – tra i giovani con meno di 28 anni è  relativamente alto, sopra al 50% in Italia, mentre in Francia è intorno al 10% (al tema del rapporto fra la fede e i giovani abbiamo già dedicato, mesi fa, un articolo qui su Frews).
Ma, prosegue Introvigne: «Un altro dato: si dice che il numero degli atei aumenti, ma tra il 1998 e il 2008 in Russia è sceso dell’11,8%». Da segnalare, ancora, due altri elementi particolarmente significativi che emergono dal rapporto americano: un deciso calo dei credenti in Irlanda, che è attribuibile alla grande risonanza che ha avuto lo scandalo dei preti pedofili e l’aumento del più 20% dei credenti in Israele, il quale «è correttamente è attribuito non solo alla situazione di guerra, ma anche a un dato demografico: gli ebrei ortodossi hanno da decenni molto più figli degli ebrei secolarizzati».

In linea generale, dalla panoramica riguardante i diversi Paesi, pare poi decisamente emergere un calo della pratica, cui fa da contrappeso un aumento  della ricerca di spiritualità, fenomeno così interpretato da Massimo Introvigne: «Penso che ci sia un dato nuovo e interessante, che peraltro è congruo con molta ricerca sociologica contemporanea e anche con l’attenzione della Chiesa – penso all’iniziativa del Cortile dei Gentili – cioè uno scavo tra diverse forme di ateismo e quindi la distinzione fra un ateismo forte  (quelli che sono veramente convinti di essere atei) e invece un ateismo debole, cioè una sostanziale lontananza dalla religione, specie istituzionale, ma accompagnata da dubbi e da domande. Allora, se per esempio prendo il dato italiano, trovo che gli atei forti sono un numero molto basso: l’1,7%, mentre la sfera, degli atei deboli, a seconda di come si pongono le domande, andrebbe dal 5,9 al 7,4%. Mi sembra che anche dal punto di vista pastorale sia molto importante questa categoria degli atei deboli, cioè di persone lontane dalla religione ma non prive di inquietudini, di domande e di problemi. Lo stesso Santo Padre Benedetto XVI, nell’ultima parte della sua Lettera apostolica Porta fidei [dell’11 ottobre 2011] che indice l’Anno della fede, ci parla proprio di queste categorie come categorie con cui va aperto un dialogo rispettoso nella prospettiva dell’evangelizzazione».

Andrea Menegotto

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