Lo scorso 18 aprile, il National Opinion Research Center
dell'Università di Chicago ha pubblicato un importante studio sulle Credenze a proposito di Dio attraverso il
tempo e i Paesi, riguardante i dati sulla
religiosità in trenta nazioni.
Da esso – a un primo sguardo – emerge un calo fra chi si
dichiara credente; tuttavia non pare neppure che il mondo si dimentichi di Dio,
infatti se la ricerca in questione sottolinea una certa crescita del numero di
chi si dichiara ateo, al contempo rivela situazioni
in controtendenza. Gli
stessi ricercatori propongono due letture fondamentali dei dati: la prima si
concentra sul fatto che – appunto – c’è un lieve aumento di coloro che si
dichiarano “non credenti”, ma questo aumento è talmente ridotto in numeri
assoluti da rientrare nel margine dell’errore statistico; il secondo aspetto rilevante riguarda invece
le grandissime differenze intercorrenti fra
i diversi Paesi.
La complessità dell’interpretazione dei dati richiede
tuttavia, in questo caso, un intervento di un osservatore particolarmente
autorevole quale il sociologo e direttore del CESNUR
Massimo Introvigne – con cui ho l’onore di collaborare –, il quale prima in un’intervista
al Radiogiornale della Radio Vaticana del 20 aprile, poi in un ampio articolo
su La Bussola Quotidiana il 21 aprile, nonché in uno scambio informativo con
chi scrive, ha sviluppato alcune interessanti considerazioni sul punto,
pertanto gli lasciamo di seguito ampiamente la parola.
«Innanzitutto, questo non è uno studio originale – dichiara
Introvigne –, ma è un’elaborazione informatica di dati già noti provenienti da
tre versioni dell’International Social SurveyProgramme (1991, 1998 e 2008) e riguarda solo un aspetto: le credenze.
Naturalmente, i ricercatori sono consapevoli che questo è solo un indicatore.
Poi c’è, per esempio, chi si reca ai riti religiosi, ed è tutto un aspetto che
loro non hanno preso in esame. Il rapporto adotta categorie sue».
Dal rapporto emerge, fra l’altro, che il livello massimo di
credenza in Dio – ovvero, quello che prevede un rapporto personale con Dio che
interferisce nella propria vita – tra i giovani con meno di 28 anni è relativamente alto, sopra al 50% in Italia, mentre
in Francia è intorno al 10% (al tema del rapporto fra la fede e i giovani abbiamo
già dedicato, mesi fa, un articolo
qui su Frews).
Ma, prosegue Introvigne: «Un altro dato: si dice che il
numero degli atei aumenti, ma tra il 1998 e il 2008 in Russia è sceso dell’11,8%».
Da segnalare, ancora, due altri elementi particolarmente significativi che emergono
dal rapporto americano: un deciso calo dei credenti in Irlanda, che è
attribuibile alla grande risonanza che ha avuto lo scandalo dei preti pedofili e l’aumento del più 20%
dei credenti in Israele, il quale «è correttamente è attribuito non solo alla
situazione di guerra, ma anche a un dato demografico: gli ebrei ortodossi hanno
da decenni molto più figli degli ebrei secolarizzati».
In linea generale, dalla panoramica riguardante i diversi
Paesi, pare poi decisamente emergere un calo della pratica, cui fa da
contrappeso un aumento della ricerca di
spiritualità, fenomeno così interpretato da Massimo Introvigne: «Penso che ci
sia un dato nuovo e interessante, che peraltro è congruo con molta ricerca
sociologica contemporanea e anche con l’attenzione della Chiesa – penso all’iniziativa
del Cortile dei Gentili – cioè uno scavo tra diverse forme di ateismo e quindi la
distinzione fra un ateismo forte (quelli
che sono veramente convinti di essere atei) e invece un ateismo debole, cioè
una sostanziale lontananza dalla religione, specie istituzionale, ma
accompagnata da dubbi e da domande. Allora, se per esempio prendo il dato
italiano, trovo che gli atei forti sono un numero molto basso: l’1,7%, mentre la
sfera, degli atei deboli, a seconda di come si pongono le domande, andrebbe dal
5,9 al 7,4%. Mi sembra che anche dal punto di vista pastorale sia molto
importante questa categoria degli atei deboli, cioè di persone lontane dalla
religione ma non prive di inquietudini, di domande e di problemi. Lo stesso
Santo Padre Benedetto XVI, nell’ultima parte della sua Lettera apostolica Porta fidei [dell’11 ottobre 2011] che indice l’Anno della fede, ci parla
proprio di queste categorie come categorie con cui va aperto un dialogo
rispettoso nella prospettiva dell’evangelizzazione».
Andrea Menegotto
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