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18/02/12
IL GIORNO PRIMO E L’OTTAVO/12. Parole in frantumi
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il giorno primo e l'ottavo
Pubblicato da
don alberto
Qualche giorno fa mi ha attirato in Università il manifesto di pubblicizzazione di un convegno al quale era stato dato questo titolo: La scintilla della parola tra parole in frantumi. Studio in una università pontificia e qui il tema della parola è particolarmente di casa, ovviamente. Non ho avuto occasione di frequentare il convegno, ma il titolo mi pareva dicesse già molto: avevo scritto un post sul tema della parola giusto giusto la settimana scorsa, mi rallegravo di trovare altrove il desiderio di fare approfondimento sul tema. Ci ho pensato un po’ e mi son trovato a riscoprire qualcosa di nuovo. ...
In un primo momento mi sembrava che il titolo volesse porre una contrapposizione tra parole umane e parola di altra natura, cioè, visto l’ambiente, Parola di Dio: però parola non era scritto come un nome proprio, bensì come parola comune. Quindi mi son reso conto che era sugli altri elementi che bisognava soffermarsi.
La vera contrapposizione era quella tra un uso della parola o delle parole che non è capace di produrre altro che frantumi, e un uso delle stesse che sia capace di scatenare scintille. I frantumi sono l’opposto della costruzione: son quindi inutili, o per lo meno sono accatastati in un modo che non permette di vedere la logica che li potrebbe unire. La scintilla, invece, non è qui da interpretare come origine di un fuoco distruttivo: è più come l’intuizione, quella luce che irrompe improvvisamente e permette di capire, di metter insieme, di costruire verso una mèta, un progetto, un orizzonte organico e pieno di senso.
Parole in frantumi: sono le parole, i discorsi, gli scambi, le relazioni, le comunicazioni, nel momento in cui vengono utilizzati e vissuti senza aver più coscienza di un motivo nobile e alto. L’esito di questo utilizzo è lo snaturamento della comunicazione e quindi delle parole stesse. Snaturamento!
Già: forse è questo che dovremmo prendere in considerazione con maggior attenzione. Da ormai molto tempo viviamo in una società democratica, che ha fatto dei princìpi dell’uguaglianza e della libertà i suoi presupposti indiscutibili. È stata ribaltata una società fissa in schemi inaccettabili, costruiti su disumane logiche di potere: sotto sotto, però, si è solo dato vita ad altri poteri e la situazione è abitualmente peggiore di prima. Uno degli esiti è pure il fatto che oggi tutti parlano, pieni del diritto di aprire bocca e di poter dire che la loro parola può risuonare come quella di tutti: ma al di là delle esibizioni della libertà, sono poche le parole che hanno senso, che aiutano, che rappresentano delle luci collettive, per la collettività. In una collettività fatta per lo più di individui liberi e liberati, risuonano parole senza senso: questo l’esito nefasto!
Quel titolo ci fa riflettere in questa direzione: sulla necessità che le parole che risuonano possano tornare ad essere parole pesanti, piene, significative, attraenti; c’è bisogno che le parole diventino qualcosa in cui gli uomini si riconoscono, perché accendono scintille, illuminano il buio, entrano in noi e si incontrano con la ricerca, il desiderio che c’è in noi. Ma questo porta a un grande interrogativo: possono le parole umane, dette da uomini, nate da uomini che provano ad essere del tutto autonomi, riuscire a diventare parole collettive, piene di rispetto e di senso per tutti, senza dover utilizzare dello strumento della forza e del sopruso?
Io qui temo di dover dire di no. Per quello che sono la mia esperienza, studio e confronto, non ho mai trovato parole umane che riuscissero a rappresentare insieme una prospettiva di vita fatta contemporaneamente di rispetto, di amore e di unità concreta tra gli uomini. Io questo non l’ho mai trovato. È per questo che torno alla mia prima interpretazione del titolo: le parole umane, in un modo o nell’altro, sono e saranno parole in frantumi, incapaci di accendere la scintilla che possa illuminare la vita. Tendono, vorrebbero, desiderano suscitare la scintilla, ma non ne sono capaci di tanto.
Già. Le parole umane. Ma, nella storia umana, anche un’altra Parola è risuonata. Per me è un fatto storicamente incontrovertibile. E una scintilla, l’unica!
Don Alberto
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Grazie Don Alberto!Per tutto quello che sei capace di capire nel senso di accogliere e per tutto quello che sei capace di dare nel senso di trasmettere!Con questo post mi hai acceso una scintilla!Volevo iscrivermi a lettere e filosofia,ma la facoltà è un pò lontana e se invece la mia strada fosse iscrivermi a teologia?......
RispondiEliminaHo letto il Suo post e le Sue riflessioni hanno fatto affiorare dalla memoria alcuni versi di una poesia di Montale,studiata in gioventù e mai dimenticata.
RispondiEliminaMi permetto di aggiungerla qui di seguito ...
Non Chiederci La Parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
E. Montale
Pensavo : Le parole umane in frantumi, incapaci di produrre scintille ? Forse non ora . O meglio: forse non ancora!
Non trova che sostituendo il Suo " non ho mai trovato " con " non ho ancora trovato " la prospettiva possa decisamente cambiare ?
Vorrei commentare l'idea di Francesca.
RispondiEliminaDove mi trovo in Università ci sono diversi laici che studiano teologia. Lo fanno con le motivazioni più diverse. C'è una donna poliziotto che sente l'esigenza di approfondire la sua conoscenza di Dio. Ci sono due ragazze mussulmane, non italiane, che hanno deciso di approfondire le culture del mediterraneo. Ci sono ragazze tedesche che vedono in questo anche la possibilità di un futuro lavorativo.
Nel passato, nel primo millennio d.C., la teologia era ritenuta disciplina superiore a tutte: la filosofia era ritenuta la superiore tra le scienze umane, ma incapace di illuminare le risposte alle domande più profonde. Per me, invece, la teologia è come un mare nel quale entra la piccola goccia che io sono: non sarò mai sazio della conoscenza che mi offre, che è davvero sempre nuova. Tanto più se è davvero collegata con la ricerca personale.
Quindi: non mi sentirei di far altro che sponsorizzarla.
commento il post anonimo.
RispondiEliminaMi pare che la scelta dell'accostamento della poesia che Lei ha individuato sia un travisamento del topic del mio intervento. Probabilmente, però, senza voler fare il "guru indovina tutto", non è un caso che Lei abbia scelto quella poesia: probabilmente ha a che fare col Suo modo di essere
Il Suo finale è in linea col Suo post. Mi pare che il risultato sia: io Le ho offerto una prospettiva di senso, Lei mi toglie qualsiasi prospettiva perchè mi da solo una ipotesi formale, tant'è vero che non mi o ci dice di nessun contenuto, di nessuna parola umana illuminante nel senso che ho descritto. Per formale intendo questo: una cosa detta come mera possibilità, sulla quale si poggia un atteggiamento che non vuole fare i conti con la realtà, ma ha sempre bisogno di immaginarne un'altra e credere a quella fantasia più che alla esperienza. In questo è molto probabile che ci sia qualcosa di Lei....