14/03/12

Come Alfano può impedire l’esplosione del Pdl –Lettera aperta ad un Segretario che studia da leader


E’ ormai un segreto di Pulcinella che il Pdl rischia, ogni giorno di più, di essere un partito in via d’estinzione. Malpancisti, malumoristi, antipapi e una corte di scontenti vari tramano, intrigano e imbrogliano per cercare di salvare la pellaccia ed avere un futuro oltre il 2013. C’è chi pensa di staccarsi, chi di veleggiare verso il centro, chi di attendere alla finestra l’epifania di qualche segnale chiarificatore che possa portare alla salvezza.

La verità, se proprio ce la vogliamo dire, è che il Popolo della Libertà ha due problemi. Il primo lo condivide con l’interezza del panorama politico, il secondo è una sua peculiarità strutturale.

Partiamo dunque con ordine e guardiamo a quello in comproprietà. Il sistema politico italiano, a causa di quella parte delle leggi elettorali che prevedono che si possa essere eletti anche senza godere di un solo voto personale (e ciò non avviene solo al Parlamento nazionale), è composta da due tipologie di esponenti: quelli che hanno una forza territoriale e quelli che godono del gradimento del vertice. Io non sono tra coloro che pensano che sia necessariamente un male se la scelta ricade su persone che, anche se non “popolari”, sono in qualche modo “meritevoli”: studiosi, esperti, persino simboli o vecchie glorie, che se si trovassero costretti a raccattare preferenze, probabilmente nelle assemblee elettive non entrerebbero affatto. Sembra, tuttavia (ma non ce ne dobbiamo poi meravigliare), sia invalsa la prassi di privilegiare al merito un altro requisito: la “fedeltà”. Nel ceto politico abbiamo quindi costituito due gruppi ben identificabili: uno caratterizzato prevalentemente da un buon livello di rappresentatività dell’elettorato, uno mediamente poco rappresentativo e poco preparato. E questo fenomeno è riscontrabile, ove più, ove meno, in tutti i partiti presenti in Parlamento.

Il secondo problema, come si accennava, è invece peculiare al Popolo della Libertà. Questo partito, e lo sanno anche i bambini, ha la struttura liquida e leggera propria del modello carismatico. Andando a studiare qualche vecchio saggio scopriamo che il livello di istituzionalizzazione (che potremmo alquanto sbrigativamente definire come organizzazione interna) è basso sia quando c’è una scarsa coesione all’interno della leadership, sia quando, a capo del partito, vi è un leader carismatico. Ora si pone un problema: quando il leader carismatico passa il testimone, o il partito è in una fase di strutturazione o difficilmente sopravvive. Alfano sta facendo i salti mortali in entrambe le direzioni, cercando da una parte di rafforzare la sua figura (alla ricerca del quid) e di dare un minimo di legittimità democratica almeno ai livelli territoriali inferiori, tramite i congressi.

Se a questi due problemi, a mio avviso assai seri, sommiamo la particolare contingenza storica, in un contesto di sgretolamento dell’assetto tendenzialmente bipolare finora conosciuto e di caduta verticale della credibilità delle classi dirigenti, comprendiamo che ci troviamo di fronte ad un pericoloso countdown: riuscirà Alfano a costituirsi come leader più velocemente di quanto proceda lo sgretolamento del suo Partito?

Quello che vorrei provare a spiegare, nelle poche righe che mi separano dal calo dell’attenzione del lettore, è che c’è una seconda opzione, assolutamente percorribile per tentare di salvare il Pdl: basta procedere ad una maggiore strutturazione, con il coinvolgimento dei livelli di rappresentanza più bassi, e alla costituzione di un minimo di burocrazia di partito (il che suona come una parolaccia, ma significa semplicemente dare una voce e un’operatività agli organismi intermedi). Ciò che propongo, più concretamente, è quello di trasformare il Popolo della Libertà in un partito vero, con strutture che consentano il confronto e la deliberazione. E’ ovvio che ci si deve mantenere lontani dalle macchine pachidermiche e costose della Prima Repubblica. Ma è necessario dare operatività alle consulte, forza di proposta ai coordinamenti, opportunità di ascolto ai rappresentanti territoriali. Ed è importante aprire maggiormente il partito a chi sul territorio ha i voti e il sostegno degli iscritti. Avere il coraggio di discutere sulle linee politiche, sui programmi, spalancare le porte alle proposte e alle idee, eliminando l’autoreferenzialità insita nella dizione di “partito dei moderati”.

Impedire questo processo corrisponderà inevitabilmente a promuoverlo, ma in altre sedi. Né le primarie all’italiana (negli altri Paesi in cui esistono solitamente si vota solo se si è in qualche modo “iscritti” o aderenti al partito) serviranno ad evitare che il malcontento dei perdenti si traduca in spaccature, guerre o defezioni.

Il momento è delicato e perdere tempo non è più un lusso che il Pdl possa consentirsi. Non si tratta più di raccogliere allori all’ombra della figura del capo. Ora “ha da passà a’ nuttata”




Marcello Spirandelli

2 commenti:

  1. Bell'intervento, condivisibile su tutta la linea. L'idea di un partito più strutturato e radicato sul territorio, cioè tutto quello che non è mai stato il PDL oggi e FI prima, sembra certamente una buona soluzione tecnica, necessaria a ritrovare anche anche la meritocrazia che spesso sembra essere sfuggita ai vertici. Una sola domanda mi sorge spontanea: è possibile riuscire a rifondare il concetto di partito in una sociaetà che ruota sempre di più introno all'immagine dei leader e vive una crisi trasversale delle istituzioi partitiche stesse? Il modello di riferimento vincente è forse quello leghista?!

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  2. Il mio parere è che l'asserto secondo cui la società moderna ruota sempre più intorno ad un leader non è oggi totalmente corretto. Come nella Dc esistono oggi tanti piccoli leader e il rischio che nessuno riesca ad imporsi può generare, se non vi sono regole a normare il conflitto, all'anarchia. Anche nella lega, d'altra parte, mi sembra che il modello del capo stia venendo messo in discussione...

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