30/04/12

Rapporto primavera araba un anno dopo 3: Egitto


La sezione dedicata all’Egitto si apre con una ricognizione dello stato dei diritti umani all'inizio del 2011, connotato da una popolazione oppressa da un trentennio di stato di emergenza, da una repressione del dissenso definita spietata, da alti livelli di corruzione e da povertà endemica, con forze di sicurezza operanti in condizione di quasi totale impunità e responsabili di diffuse e quasi quotidiane violazioni dei diritti umani, tra cui arresti arbitrari, torture e processi iniqui.
Nei 18 giorni di imponenti manifestazioni contro il regime, iniziate il 25 gennaio e durate sino all’11 febbraio 2011 giorno dell’annuncio delle dimissioni del Presidente Hosni Mubarak, le stesse forze di sicurezza, nonché teppisti “assunti dalle autorità” hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, 840 persone sono state uccise e circa 6.000 ferite. Nel Report sono segnalate anche l’arresto, la tortura, la sparizione forzata di persone, di attivisti dei diritti umani e di operatori dell’informazione. Il fatto che in molti casi le violazioni siano state commesse da membri della polizia militare rafforza il timore che tortura e maltrattamenti, in mancanza di un’imputazione di responsabilità a carico di chi commette tali abusi, possano diventare una caratteristica endemica degli apparati di applicazione della legge in Egitto.

Dopo l’assunzione del potere da parte del Consiglio superiore delle Forze armate sono state introdotte riforme che hanno inciso sui diritti umani talora in senso positivo, talora in senso contrario. Positivo è stato lo scioglimento delle State Security Investigations, l’agenzia di sicurezza di polizia “nota per le violazioni di diritti umani” e la modifica della legge sui partiti politici, che ora consente una più ampia partecipazione alle competizioni elettorali nazionali, estesa anche ai Fratelli Musulmani. Anche il riconoscimento di sindacati indipendenti e del loro diritto a federarsi e ad associarsi alle confederazioni sindacali operanti a livello internazionale viene annoverato tra gli elementi positivi anche se interviene a limitare la libertà di azione sindacale stabilendo una pena detentiva e una multa assai elevata per chi partecipa o incoraggia altri a unirsi in sit-in o qualsiasi altra attività che impedisca, ritardi o interrompa il lavoro di enti pubblici o pubbliche autorità.



Permangono elementi negativi quali il mantenimento dello stato di emergenza, in vigore dal 1981, nonché taluni provvedimenti legislativi. Innanzitutto la conferma dell’applicazione integrale della Emergency Law del 1958 estesa alla criminalizzazione di atti come il blocco stradale, le comunicazioni e gli attacchi alla libertà di lavorare, modifiche che minacciano direttamente la libertà di espressione e associazione ed il diritto di assemblea e di sciopero, rovesciando quelle riforme che lo stesso Mubarak era stato costretto ad attuare; la legge sul teppismo che criminalizza intimidazione e disturbo della quiete con il raddoppio delle pene già previste nel Codice penale arrivando anche ad introdurre la pena capitale. Vengono poi segnalate nel Report la restrizioni alla libertà dei mezzi di comunicazione, con particolare riferimento alla possibilità di muovere critiche “without prior consultation and permission” nei confronti delle Forze Armate. Misure restrittive hanno interessato la possibilità per le ONG di ricevere finanziamenti esteri senza autorizzazione e si segnala l’incarcerazione di operatori dell’informazione e di giudici colpevoli di aver denunciato violazioni dei diritti umani e abusi da parte dei militari, nonché mancate riforme.

Dalla fine di febbraio 2011 in poi le forze armate hanno usato la violenza per disperdere i manifestanti in varie occasioni; l’inchiesta che il Consiglio Superiore delle Forze Armate afferma di aver ordinato in proposito non ha prodotto esiti pubblici. I manifestanti che a piazza Tahrir il 19 novembre chiedevano tra il resto il passaggio dei poteri ad un governo civile sono stati dispersi con un uso eccessivo della forza che ha provocato morti e feriti. La magistratura militare ha affermato di aver giudicato, tra fine gennaio e agosto, circa 12.000 persone con condanne che, per violazione de coprifuoco, violenza e possesso di armi contemplavano pene che andavo da alcuni mesi di carcere sino alla pena capitale. Il 3 agosto è iniziato anche il processo all’ex presidente Mubarak, test importante per valutare l’impegno delle autorità per la giustizia e la lotta all’impunità.

Quanto alla situazione delle donne, in prima linea nei giorni della rivoluzione, non solo nulla è stato fatto per garantirne la partecipazione equa ai processi decisionali, ma è stato eliminato il previgente sistema delle quote previsto nella legge elettorale a favore del requisito della presenza di almeno una donna nella lista di ciascun partito, senza richiesta di collocazione in posizione apicale.

Un anno dopo la rivolta, il Consiglio superiore delle Forze armate, conclude il Report, è ben lontano dall’aver dato adeguato riscontro alle speranze e alle aspirazioni che l’avevano innescata.



Maria Leone

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