02/02/12

Ikea rinuncia a Pisa: ecco i veri motivi di questo disinvestimento


Il presidente della commissione europea, José Manuel Barroso, parlando delle difficoltà burocratiche che in alcuni paesi frenano lo sviluppo e gli investimenti, ha portato ad esempio il caso dell’Ikea che a Vecchiano, in provincia di Pisa, dopo sei anni di tira e molla, lo scorso anno è stata costretta a rinunciare al suo progetto di insediamento. Apriti cielo, lesa maestà citare un episodio che va ad incrinare la perfezione del “modello Toscana” ed il governatore Enrico Rossi, in perfetta sintonia con il proprio cognome e con il credo politico, vede letteralmente rosso. Eccolo dunque tuonare contro l’uscita di Barroso per “l’enorme danno di immagine” e conseguente invito a correggere la sua posizione. Di lì l’accomodante risposta della portavoce di Bruxelles: era solo un esempio, la Toscana fa tante cose buone e via dicendo.

Il problema è che quell’esempio, che certo può valere anche per altri casi e altri territori, era e resta pienamente calzante. L’annuncio con il quale nel 2011 l’Ikea motivava la rinuncia al progetto, presentato per la prima volta sei anni prima, a causa “dell’eccessiva dilazione dei tempi di decisione da parte delle autorità locali”, esplose come una bomba sulle pagine del Sole 24 Ore. Assieme all’investimento da 70 milioni di euro finiva nel cestino anche la creazione di 350 posti di lavoro: tutti giovani, a proposito della sinistra che si straccia le vesti per l’alta percentuale di disoccupazione dei nostri figli.
Ora il governatore Rossi butta la palla dall’altra parte del campo, dicendo che l’area sulla quale si era intestardita l’Ikea è a destinazione agricola, a rischio esondazione, in contrasto con le previsioni urbanistiche. E che rifiutò l’offerta di spostarsi in altra area di 10mila metri quadrati.

Risibile la sola ipotesi che una multinazionale di tal fatta, che i conti li sa fare, possa aver deciso di collocare un proprio insediamento laddove poteva finire sott’acqua da un giorno all’altro. Risibile che potesse accettare di ridurre del 75%, da 40mila a 10mila metri quadri, un progetto tanto costoso e strategico. Risibile che le autorità politiche si siano mostrate irremovibili nel loro “no”, altrimenti come spiegare che le trattative sono andate avanti sei anni e che soltanto tre mesi prima della rinuncia l’Ikea confermava l’apertura del punto vendita? Vero è che il governatore, vista la mala parata, è poi intervenuto offrendo ponti d’oro e fulminei nulla osta all’Ikea nella zona di Pisa, dove lo stabilimento si farà “in tempi cinesi”. Cioè quelli normalmente riservati agli insediamenti della Coop.
Di Paolo

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