C’è un asse trasversale che siede al tavolo del confronto sulla riforma del mercato del lavoro voluto da Mario Monti. Ma stavolta l’ostracismo che si sta consumando non appartiene a nessun partito. Non c’è il Pdl, non c’è l’Udc e nemmeno il Pd, nonostante sia in grande difficoltà su questo tema. Stavolta l’asse, anche se sarebbe più corretto definirlo come una lobby federata che difende gli interessi di pochi, è rappresentato dai sindacati. Monti lo sa ed è per questo che sull’unica riforma credibile che il suo Governo può tirare fuori prima della scadenza naturale della Legislatura ha preferito trovare prima un accordo con i partiti e poi sedersi al tavolo del confronto con i sindacati. Quest’ultimi, che rappresentano poco meno di un terzo del paese, nulla in confronto ai voti raccolti alle ultime politiche da tutti i partiti messi assieme, stanno cercando di condurre la partita adottando la stessa tecnica che con il Governo Berlusconi fu vincente.
Nessuna proposta alternativa alle linee guida annunciate nelle scorse settimane dalla Fornero, nessuna apertura al confronto. Solo idee preconcette e tanto rumore mediatico, per farla breve. Ecco perché Mario Monti deve proseguire lo stesso sulla strada tracciata dal suo Governo e concordata con i maggiori partiti. Lo deve fare a costo di rinunciare a quella sobrietà istituzionale che in questo caso può trasformarsi in un boomerang.
Perché l’Italia ha bisogno di un restyling del mercato del lavoro proprio per ricominciare a crescere. Altrimenti il suo Esecutivo sarà ricordato solamente per la “paccata” di tasse che stanno mettendo in seria difficoltà le famiglie italiane.
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